Sons d’hiver, l’incanto di fare musica

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Fino al 1970 si chiamava Le Gaîté Palace, ed era un grande cinema di quartiere; dal 2006 è diventato Le Génerateur, uno spazio di 600 metri quadri consacrato alla creazione contemporanea, gestito in maniera indipendente da artisti nella forma di associazione senza scopo di lucro, riconosciuta di utilità pubblica, che lavora in partnership con festival e soggetti culturali dell’Île-de-France. “A 100 metri del 13simo Arrondissement di Parigi”, come ama presentarsi, si trova a Gentilly: dentro è uno stanzone con pareti bianche e pavimento in cemento liscio. Le Génerateur è l’ultima tappa di Sons d’hiver, manifestazione che si svolge abitualmente a cavallo fra gennaio e febbraio nei comuni del dipartimento della Val-de-Marne – che cinge il lato sud-est della capitale – o in sedi parigine al limite della città verso il dipartimento. I finanziamenti vengono appunto dalla Val-de-Marne e dalla regione dell’Île-de-France. La rassegna, che si appoggia su teatri e spazi culturali con formula itinerante, potendo contare così sul pubblico locale che li frequenta, guarda alle musiche innovative, soprattutto jazz, musiche nere, world music.

LE GENERATEUR è perfetto per una serata di “Blacktronika”. King Britt è un produttore, Dj, musicista, ma anche docente universitario, di Philadelphia; negli anni novanta ha lavorato col gruppo hip hop Digable Planets e con la artista di spoken word Ursula Rucker, e ne ha fatte poi un po’ di tutti i colori nel mare dell’elettronica, house, techno, eccetera: in una prospettiva “afrofuturista”, Britt vuole enfatizzare il ruolo pionieristico giocato dagli afroamericani nelle musiche elettroniche. Con lui al Génerateur ci sono il Dj e produttore Charlie Dark e la vocalist MidnightRoba, cioè due terzi del gruppo britannico Attica Blues (nato nel ‘94 prendendo il nome da un famoso album del sassofonista Archie Shepp, storico alfiere del free jazz), la vocalist e polistrumentista originaria di Los Angeles Christina Wheeler, e l’elettronico londinese Yaw Evans. Cominciano con un’elettronica vivacemente sincopata, ondeggiante; Evans sposta poi l’atmosfera su fasci sonori brumosi, gracchianti; poi si torna ad un andamento veloce, pulsante; voci campionate parlano di giustizia e di unità africana; MidnightRoba interviene con una vocalità a volte urlata, o lamentosa, e certi tratti sono con evidenza da cantante araba (in effetti è di origine egiziana); Christina Wheeler vocalizza tenendosi però meno in primo piano, e suona una mbira elettronica; si continua con dei riff, poi con delle scariche ritmiche, quindi con suoni bassi e vibranti come i segnali di navi in manovra. E’ un flusso vivace, verrebbe da dire cordiale, non pesante come impatto sonoro, e piuttosto nitido nella sua fisionomia, in cui Britt officia bonariamente. Presentando alla fine i musicisti, Britt ricorda l’importanza del ruolo di Charlie Dark, in particolare per gli storici party londinesi di Blacktronika tra fine secolo e primi anni del nuovo millennio.

MENO FELICE, la sera precedente, una prima serata all’insegna della Blacktronika al parigino Théâtre de la Cité Internationale, con un ensemble costruito intorno a King Britt e a Tyshawn Sorey, pluritalentuoso strumentista e compositore afroamericano fresco di Pulitzer per la musica: in gioventù, mentre ascoltava con passione dischi di jazz e suonava la batteria in gruppi rhythm’n’blues, Sorey, poi diventato un fuoriclasse della batteria nel jazz di ricerca e un compositore accreditato anche in ambito accademico, non si faceva mancare l’elettronica, così come l’hip hop. Con loro la vocalist China Moses, il bassista Anthony Tidd, il tastierista Jonny Stallings Cardenas e la flautista Allison Loggins-Hull. Nel 2020, giusto due giorni prima del lockdown, Britt e Sorey, senza aver mai suonato assieme in precedenza, e mossi dalla reciproca stima, si incontrarono in studio: ne è uscito l’album Tyshawn & King. Sarebbe probabilmente stato più stimolante ritrovare dal vivo la dimensione cruda del disco, elettronica e batteria, senza orpelli: qui invece la musica rimane un po’ confusa, e ha qualcosa di vecchio, e il fatto – a differenza che al Génerateur – che gli spettatori siano tutti ordinatamente seduti e non possano sgranchirsi al suono dell’ensemble non aiuta. Naturalmente rimane il piacere di vedere/sentire all’opera Sorey, che alla batteria cambia ritmi in corsa con una disinvoltura strabiliante e va avanti a rullo compressore. Tyshawn Sorey alla batteria anche la terzultima sera della rassegna, al Théâtre Antoine Vitez di Ivry-sur-Seine, alle porte di Parigi: Sorey è con il suo trio, Aaron Diehl al piano e Harish Raghavan al contrabbasso. Il pianismo di Diehl è pacato, impressionistico, e tende a dilatare il senso del tempo, a volte con un gioco di contrasto della batteria di Sorey che comincia sottilissimo ma poi spesso è invece molto dinamico e incalzante. Tre pezzi in tutto, uno è di Sorey e non ha ancora un titolo, due sono presi dal recente album del trio The Susceptible Now: cominciano con Your Good Lies dello svedese (adottato dallo Sri Lanka) Daniel Gunnarsson, un brano R&B intestato a Vividry (uno dei tanti pseudonimi di Gunnarsson?) che ha spopolato; poi, dopo il brano di Sorey, A Chair in the Sky di Mingus/Joni Mitchell.

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Ma c’è un diffuso rischio di perbenismo oggi nei trii piano/contrabbasso/batteria, e questo riguarda un po’ anche il certo molto sofisticato trio di Sorey.

PRIMA DEL TRIO di Sorey quello della pianista svizzera, newyorkese di adozione, Sylvie Courvoisier, con Drew Gress al contrabbasso e Kenny Wollesen alla batteria: Courvoisier è una eccellente pianista, ma qui il suo atteggiamento appare un po’ troppo studiato e calligrafico, e così anche il trio nel suo insieme. Ma c’è un diffuso rischio di perbenismo oggi nei trii piano/contrabbasso/batteria, e questo riguarda un po’ anche il certo molto sofisticato trio di Sorey. Il discorso sarebbe lungo, ma meglio forse allora il trio della pianista canadese, anche lei newyorkese di adozione, Kris Davis, con Robert Hurst al contrabbasso e Johnathan Blake alla batteria, che ha suonato in una serata precedente (lo abbiamo ascoltato nell’ambito della loro tournée al Blue Note di Milano): con un Blake di un’esuberanza persino soverchiante, ma un trio con una bella vitalità. All’inizio della serata Christophe Adriani, direttore del teatro di Ivry, ha parlato delle inquietudini legate al finanziamento della cultura in Francia: l’Antoine Vitez esiste perché è sostenuto al 90 per cento dalla municipalità, che ha confermato i finanziamenti per la cultura. Ma altrove e a livello nazionale i chiari di luna non sono bellissimi: Adriani ha chiesto alla platea di alzarsi simbolicamente per la cultura, e ha fatto immortalare dai fotografi il pubblico in piedi.



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