Sì, avete ragione: in un certo senso ci sono sempre stati. Però erano diversi il contesto e le possibilità di capitalizzare. E diversa, rispetto al passato, è anche la necessità di sostentarsi, per la maggior parte degli artisti e delle etichette – non dovete pensare solo alle star in cima alla piramide dello streaming o al cartello di Universal, Warner e Sony, le tre bulimiche megamultinazionali (che salutiamo).
Con questo abbiamo sbrigativamente risposto alla prima delle possibili domande sul concetto di Superfans – se preferite Super Fans, staccato, è troppo tardi, avreste dovuto dircelo prima. Perché è già ora di passare ad altre possibili domande. Per esempio: perché negli ultimi anni nel retrobottega della musica si parla così tanto, molto più di prima, di Superfans? Ma poi, cosa distingue i Superfans dai fans – che come dice la parola, sono fans, non semplici estimatori? E che tipo di artisti hanno più Superfans? E sono un patrimonio esclusivo, oppure si spendono e spendono anche per altri?
Proviamo a dare qualche risposta. Tutta l’eccitazione è cominciata, come spesso capita nella vita, da una banca. Nel luglio 2023 un rapporto della Goldman Sachs faceva notare che il 20% degli abbonati a piattaforme di streaming aveva il potenziale per essere trasformato in Superfans, una fascia alta di devoti disponibili a spendere anche il doppio di quanto già facevano. Rispetto al mondo dello sport e dei videogame, questa fascia non era sfruttata a dovere, eppure avrebbe potuto far salire di altri 4,2 miliardi di dollari gli introiti del vorace comparto musicale. Dopo qualche mese si sono scusati, la previsione era sbagliata: se ne potevano spremere di più: 4,5 miliardi di dollari. Gli analisti di Luminate hanno confermato la percentuale: il 20% degli ascoltatori americani risponde al profilo del Superfan, che oltre a battersi ogni giorno per diffondere e difendere gli artisti che ama, spende l’80% in più per la musica in generale rispetto all’ascoltatore medio. Ed entrambe le percentuali sono in crescita.
Come per magia, i boss del business delle canzoncine nel 2024 hanno iniziato a indicare ai vassalli la via della felicità. Lucian Grainge della Universal e Robert Kyncl della Warner hanno annunciato agli azionisti che si sarebbero impegnati a dovere per creare opportunità per i Superfans, incrementando i prodotti pensati per loro e le modalità di interazione dirette per favorire, nelle parole di Grainge, «un legame più intenso con gli artisti che amano». Poi c’è Spotify, che ha annunciato l’intenzione di inserire modalità di interazione più soddisfacenti per i Super Ascoltatori, il 2% di abbonati che però generano il 18% degli ascolti mensili. La prima, secondo Bloomberg, sarebbe Music Pro, nuovo piano che per qualche dollaro in più (5,99 al mese è l’ipotesi) fornirà agli abbonati Pro una qualità audio più alta, la possibilità di remixare le canzoni mediante intelligenza artificiale, nonché contenuti esclusivi e prevendite mirate per concerti con accesso al backstage.
Parlando di concerti, Live Nation sta preparando nuovi pacchetti per accontentare chi vuole viverli come un’esperienza suprema: il suo CEO Michael Rapino ha spiegato che per ogni show bisogna pensare a un 20% di spettatori da inserire nel segmento Premium Fans, ed è meglio che i luoghi dove suonare siano adatti a ospitarli a dovere. D’altronde il rapporto di Luminate indica che i Superfans per i concerti spendono il 66% in più rispetto alla media. Un’altra percentuale in aumento, come quella del tempo dedicato all’attività “evangelica” sui social, per sostenere il lavoro dei propri beniamini online. Secondo lo studio, c’è solo un tipo di attività davanti alla quale i Superfans iniziano a essere più tiepidi che caldi, ed è la partecipazione dell’artista a eventi virtuali o apparizioni live nei videogiochi che le rendono possibili. Ma forse nuovi giochi cambieranno le cose.
Tutto questo non interessa solo i pezzi grossi, ma anche (e soprattutto) etichette e artisti indipendenti. Tutti ne abbiamo preso atto, l’offerta di musica e artisti aumenta in modo delirante ed esponenziale. Arrivare alla massa di ascoltatori che porta al jackpot dello streaming è difficilissimo, un’apparizione in tv o un pezzo in una pubblicità o una colonna sonora fanno sempre meno la differenza. La cosa più sensata, più che cercare il grande pubblico, è migliorare il rapporto con un proprio pubblico abbastanza numeroso e appassionato da sostenere economicamente il business plan, grande o piccolo, degli artisti o della label. Del resto è ciò che chiedono, e per cui sono disposti a spendere ancora più di quanto fanno per prodotti o esperienze limitati se non unici. Essere vicini agli artisti che amano, essere visti e considerati – non solo sui social, ché quello son buoni tutti, veh. Ma pure far parte di un club esclusivo all’interno del quale condividere la propria passione con anime affini. Potrebbe pure nascere un Tinder declinato sui fans. Non ridete, sembra che lo stato di eccitazione e la pulsione di base dei Superfans, analizzati anche dal punto di vista psicologico, sia incoraggiante.
Sì, certo, voi sapete sempre tutto e state ricordando le teenager che perdevano l’autocontrollo per Sinatra e poi i Beatles, i Duran Duran e poi i Take That. Ma gli studi includono anche cinquantenni che si sentono rimescolare quando escono i biglietti degli AC/DC o trentenni che dimenticano la loro coolness quando si tratta di Lana Del Rey. A quanto pare, l’appagamento segue gli stessi meccanismi. E questa disponibilità al coinvolgimento spesso fa sì, per rispondere a una delle domande iniziali, che molti Superfans non si limitino a dare amore a una sola persona o band, ma siano – come dire? – poligami. Se poi c’è la benedizione dell’artista o della band amata, diventa tutto allegramente pansessuale.
E qui veniamo alle altre domande iniziali. Perché il concetto sta diventando prioritario ora, sì – ma sicuramente vi sono già venuti in mente esempi storici di Superfans, dai tempi di Mecenate a quelli di Mozart, dalla nicchia dei primi appassionati di jazz a jam band come i Grateful Dead che, prima ancora che delle vendite dei dischi, vivevano della leggendaria dedizione del pubblico dei loro concerti, e della loro disponibilità a diffondere il verbo della band, ben prima che i social moltiplicassero il proselitismo virale. Il che permette di rispondere al quesito su chi ha più Superfans: la sensazione di non essere strettamente di fronte a una corrente mainstream aiuta – ed è affascinante che questo porti a una superfandom come quella di Taylor Swift, compattata anche dal fatto che TayTay ha tantissimi haters (un dono dei social). Ma in realtà, tutti i tipi di artisti possono trovare una loro comunità di Superfans, anche se a quanto dice il rapporto di Luminate il rap, col suo approccio aggressivo e alimentato da una certa distruttività anche nei confronti della propria storia, tende a far nascere meno passioni di pop e rock (anche se il genere con i Superfans più assidui, per qualche motivo, è l’Afrobeat).
Ok. Un’altra domanda, forse lo ricordate, era: perché ora? Ovviamente ogni avanzamento tecnologico ha offerto possibilità in più. Ce lo ricorda per esempio il colpaccio di Amanda Palmer dei Dresden Dolls, che nel 2012 tramite la piattaforma Kickstarter ottenne da 24.883 sostenitori la sommetta di un milione e duecentomila dollari per l’album Theatre Is Evil. E già nel 2020 la piattaforma Immersion spudoratamente rivolgeva (e lo fa tuttora) l’invito: «Perché non far lavorare per te i tuoi Superfans?». E non c’è artista che non chieda alla fanbase un piccolo sforzo per mandare la traccia appena uscita al numero uno nel mondo o perlomeno nella top 100 italiana. Ma fino ad oggi non c’erano mai stati la carota miliardaria mostrata da Goldman Sachs, e neppure il bastone di un vero approccio analitico sui dati (“The new science of Superfans” è il titolo eloquente di una serie di articoli tecnici di Billboard USA).
Anche nell’era della sicumera dei geek, il passato recentissimo si rivela costellato di tentativi falliti, come (rieccola qui) Swift Life. Perché l’interattivissima Taylor ci era arrivata già nel 2018. Eppure, pur contando sul solido amore che circonda l’artista pennsilvana, il suo staff non aveva considerato tutte le preferenze dei SuperSwifties, e la app ha chiuso i battenti nel 2019. Cosa accaduta, nello stesso periodo, alla piattaforma per Superfans Apple Connect, il cui errore fatale, a suo modo tipico del brand con più Superfans di tutti, era stato escludere d’imperio le possibilità di condivisione con Instagram, YouTube, TikTok e Facebook.
E quindi, in sostanza: i Superfans ci sono sempre stati, ma ci sono due motivi per cui sono nel mirino in questo momento. Il primo è che la gente che vuole la torta è sempre di più, ma la torta non può aumentare più di tanto – e anche se Daniel Ek di Spotify rivedesse in modalità socialista i meccanismi di compensazione della sua piattaforma, più che di fette parleremmo di briciole. Non è mai stato così facile creare e distribuire musica, non è mai stato così difficile viverne.
Il secondo è che oggi la tecnologia e i dati a disposizione permettono di sapere per chi sareste disposti a spendere di più, e in che cosa. Ci sono possibilità di aumentare gli introiti che vanno molto oltre la quotidiana routine del brano in featuring con altri imprenditori della rima, oppure la ricerca delle città in cui i concerti sarebbero più remunerativi. I Superfans spendono più del doppio dei “normali” fans per gli acquisti di oggetti – non solo merchandising, ma anche dischi rotondi: iniziative antiche e facili come i vinili colorati autografati dall’artista non sono da archiviare, ma da incrementare. Ma si può fare di più. Per fare esempi spiccioli, individuare le marche di abbigliamento preferite dai fans, per vedere se si può combinare una sponsorizzazione dell’artista o accordarsi con un produttore in modo che il vostro rapper di fiducia citi nel pezzo una pistola che sembra rispondere a tutte le vostre esigenze. Ma le opzioni per il futuro vanno in direzione di coinvolgimento e collaborazione sempre maggiori.
Nel maggio dell’anno scorso Rockol Music Biz ha organizzato una masterclass sui Superfans al Conservatorio di Milano: il fondatore e amministratore delegato, Giampiero Di Carlo, ha illustrato alcune delle strade che presumibilmente verranno percorse, tra le quali spicca la collaborazione con i fans sulle canzoni durante la lavorazione, in modalità che vanno dai semplici pareri, a suggerimenti più dettagliati, fino a collaborazioni e remix. Grazie ai quali fare anche qualche soldo – è la strada tutt’altro che semplice che sta cercando di percorrere per esempio la app Hook: cercare di convincere artisti e label a scendere a compromessi (remunerati) con i remix non autorizzati. Se avete idee che vi frullano in testa, è il momento di provarci: c’è una piccola bolla che spinge in alto app come l’americana Even, nata nell’aprile 2024, che propone agli artisti di vendere la loro musica ai fans prima che a tutti gli altri. Warner ha investito in Fave, piattaforma per Superfans apprezzata dagli evangelisti di Bruno Mars, BTS e… Taylor Swift. Universal ha messo soldi in Weverse, che diffonde video, film, live stream e merchandising.
Perché quest’ultimo rimane rilevante: una lezione che Eliah Seton di SoundCloud afferma di portarsi dietro dai suoi anni alla Warner è data da «uno dei nostri principali successi commerciali: un box set di Keith Richards contenuto in una custodia di legno laccato. 1200 persone sul pianeta hanno desiderato questo costoso oggetto di arredamento nel proprio salotto: nessuno ascoltava la musica, che era su Spotify. Era un pegno della propria fede. Ed è su questo tipo di attenzione per i desideri dei SuperFans che stiamo indirizzando sempre di più la nostra piattaforma». Una delle opzioni offerte da SoundCloud è in effetti quella delle fan-powered royalties, che afferma di calcolare i proventi dello streaming in base alla costanza dei fans e non alla viralità delle hit.
Guarda caso, sembra che un’analisi più accurata della domanda (ovvero: noi) stia per indirizzare Spotify verso una nuova strategia più attenta ai fans attivi rispetto agli ascoltatori passivi di playlist e top 40, incoraggiando tra l’altro gli appassionati di Music Discovery. Anche se fosse semplicemente una virata per evitare che la gente vada su altre piattaforme, potremmo viverla come una momentanea sconfitta dell’algoritmo rispetto all’investimento personale del pubblico. Poi, va da sé, arriverebbe un’altra domanda: si può misurare questa passione con il tempo e soprattutto con i soldi che si possono spendere? Scientificamente parlando, sono punti di vista che si possono a loro volta valutare sulla base della sintonia con i fans, sulla scia di artisti diversi come Cure o Garth Brooks, che impone un prezzo uguale per prime e ultime file («Non voglio che i genitori debbano dire ai figli che non possono avere posti migliori perché non se li possono permettere»).
Le polemiche sui costi dei biglietti e il dynamic pricing, da Bruce Springsteen agli Oasis, chiamano direttamente in causa i Superfans. Sempre Rapino di Live Nation, riportato da Music Business WorldWide: «Ci sono fans che sono disposti a pagare di più ed è sensato che i loro soldi vadano agli artisti o a chi ha contribuito al loro show, invece che a chi specula sul secondary ticketing». E poi: «Nello sport spendere tanto per vedere una partita diventa un titolo onorifico per i tifosi, mentre nella musica, che costa molto meno, risulta un grave problema. Anche se poi, i primi posti che vanno sold out sono quelli della fascia premium».
Il messaggio è chiaro: chi compra i biglietti di lusso non lo fa perché gli altri sono sold out: lo fa perché vuole l’esperienza più intensa sul mercato, con postazione privilegiata o backstage pass. Però se fino a ieri si pensava che solo gli emiri potessero ospitare concerti di megastar a casa propria, ora andiamo verso app che renderanno più facile prenotare una band in città mobilitando la fanbase. Ma anche esperienze più personali, come regalare al vostro partner i suoi idoli per il vostro matrimonio. O come misura di emergenza per scongiurare il divorzio: i dati dicono che vi costeranno meno.
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