Parigi: tre mostre di moda a Parigi imperdibili

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Nonostante da sempre siano state dedicate pagine su pagine alla città di Parigi, alla sua bellezza, al suo romanticismo, ai suoi misteri, non si può negare che grande rilevanza ha avuto quella creatività che si respira dietro la Grandeur, creatività che quasi inevitabilmente sembra rimandare alla moda. Parigi come ogni capitale in fermento che si rispetti, ha una capacità intrinseca di rinnovarsi e stupire e lo fa perché, ed è difficile ammetterlo per noi italiani, riesce a mescolare commercio e arte, invitando sulle sue passerelle personalità uniche ed eccentriche come Rick Owens e Alexander McQueen o all’avanguardia, come i designer giapponesi, riesce a dare spazio a nomi emergenti e a maison storiche, mentre al tempo stesso è diventata la città da cui è iniziato il fenomeno dei grandi conglomerati del lusso.

Yves, Gabrielle, Karl, ma anche Rei e Yohji, LVMH e Kering, bellezza, marketing, stile in un mix affascinante ed esplosivo. Ma una cosa che colpisce dei francesi è sicuramente la capacità di fare squadra e di trasformare una risorsa, come può essere quella della creatività di moda, in cultura. Parigi diventa sempre di più luogo preferenziale dove quel sottile filo che lega ispirazione e creazione, arte e profitto, craftmanship e fantasia, può essere portato ad esempio e mostrato con orgoglio. La moda entra nei musei, anche quelli che l’hanno sempre ignorata, e lo fa perché finalmente si prende il merito di essere linguaggio importante, se non fondamentale, per esprimere i cambiamenti di questa società, di saper essere storytelling tanto quanto, e forse in maniera più immediata e riconoscibile, forme artistiche solitamente più esaltate e portate ad esempio.

Ed ecco che Parigi risulta costantemente teatro elettivo di mostre che raccontano il fashion system e le connessioni che gli abiti sono in grado di creare. 

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La mostra Louvre Couture: Objets d’art, objets de mode in mostra a Parigi

Si parte da uno dei luoghi più famosi al mondo, quasi una città dentro la città, e stiamo chiaramente parlando del Museo del Louvre. E colpisce che per la prima volta un nome così legato alla capitale francese e all’arte sia finalmente arrivato a dedicare una mostra alla moda. 

Un abito armatura di Balenciaga e un mini dress metallico di Paco Rabanne sono perfettamente inseriti in un contesto fatto di spade e armature, quello di Iris Van Herpen, che sembra realizzato da rami intrecciati, quasi il corpetto di uno strano insetto, si confonde nello scenario rappresentato dall’opera d’arte alle sue spalle, l’abito oro di Versace, sospeso fra riferimenti gotici e un’ispirazione alla sacralità della religione cattolica dialoga con oggetti d’arte che sembrano venire dal moodboard da cui ha attinto il creatore.

Poi il mondo degli arazzi si traduce nei total look di Marine Serre e di Dries Van Noten, le ispirazioni bizantine dell’abito di Dolce e Gabbana si specchiano in frammenti di mosaici che arrivano dal Sacro Romano Impero. Ma c’è molto di più, da McQueen a Chanel, passando per il Loewe di JW Anderson, in mostra con un abito dalle ali dorate per un angelo contemporaneo e stilosissimo.

La mostra si chiama Louvre CoutureObjets d’art, objets de mode, un nome che sembra quasi riduttivo per una esposizione che, attraverso 60 capi e 45 maison coinvolte, mira a spiegare il legame diretto fra gli oggetti antichi del Dipartimento delle arti decorative del museo e la creatività dei designer di moda. La mostra è aperta fino al 21 luglio e ci si augura che non sia un momento episodico per il Louvre, ma che diventi un appuntamento più frequente.

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La mostra Louvre Couture: Objets d’art, objets de mode a Parigi. Credit: Emanuele Leo @silvermantouch

Galerie Dior, una esposizione tra abiti e scatti del fotografo Peter Lindbergh

In Louvre Couture non mancano capi della maison Dior, ma un viaggio nella città francese, quando all’insegna della moda, non può prescindere da una tappa a La Galerie Dior. Anche qui continuano i giochi di rimandi e i dialoghi artistici, perché accanto all’esposizione degli abiti di Christian Dior, declinati anche attraverso i vari creatori che si sono succeduti dalla scomparsa dello stilista francese, ci sono gli scatti del fotografo Peter Lindbergh.

All’undici di Rue François 1er, che di fatto è dietro l’angolo dallo storico civico 30 di Avenue Montaigne, dove il mito di Dior iniziò più di 70 anni fa, accanto ad una scenografia che già di per sé è un meraviglioso racconto di questi decenni del marchio trovano spazio le immagini scattate dal fotografo che ci ha lasciato nel 2021.

Una mostra, che continuerà fino al 4 maggio, nata in collaborazione con la Peter Lindbergh Foundation, che comprende oltre un centinaio di scatti, realizzati tra il 1988 e il 2018, non solo immagini iconiche, frammenti di editoriali o foto di advertising, ma anche il famoso progetto con cui Lindbergh ebbe accesso all’archivio storico della Maison, a raccontare con fotografie sospese fra lo street style e il documentario l’estrema modernità e attualità del lavoro di Christian Dior. 

Stephen Jones, chapeaux d’artiste, la mostra presso il Palais Galliera

Inevitabile che continui a colpire la necessità che la moda ha di farsi dialogo e racconto e la conferma l’abbiamo dalla terza delle mostre che abbiamo visto. In un luogo importantissimo come il Palais Galliera, il Museo della Moda di Parigi, trova spazio il mondo di Stephen Jones. Il modista inglese, formatosi alla prestigiosa Central Saint Martins, capace nel suo percorso di designer di cappelli di trarre ispirazione dalla musica, le sue connessioni con la scena inglese anni 80 sono particolarmente chiare, e da praticamente qualsiasi ambito e oggetto, come un novello Andy Warhol degli accessori. Ma ancora una volta saltano all’occhio i forti legami che possono crearsi fra anime creative affini e ampio spazio nella mostra è dato al lavoro che Jones ha portato avanti con nomi come Jean Paul Gaultier, il John Galliano di Dior, Thom Browne, Azzedine Alaïa e il Marc Jacobs di Louis Vuitton.

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Stephen Jones, chapeaux d’artiste rimane aperta fino al sedici marzo, consigliatissima per respirare quella capacità tutta inglese di unire sapienza sartoriale a humor, il quotidiano e lo straordinario.

E dopo tanta bellezza, se ancora ci fosse poco chiara la risposta alla domanda: «Perché questo succede a Parigi?», basta entrare in un locale, mangiare un ramen in un’atmosfera suggestiva sospesa tra Blade Runner e le strade di Hong Kong, mentre al tavolo di fianco ridono, scherzano, flirtano ragazzi e ragazze delle più svariate nazionalità, in un flusso di parole e sorrisi che sa di incontro di culture. Se è vero, come sosteneva Diana Vreeland che «Gli occhi devono viaggiare», le ali di questo meraviglioso aereo sono la creatività, mentre il motore è proprio la capacità di dialogare e connettersi. Dove può accadere tutto questo, se non a Parigi?



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