C’è davvero tutta questa biodiversità nella produzione olearia italiana come si va ripetendo da tempo? E quanto vale?
Domande che potrebbero apparire impertinenti per i paladini della specificità dell’olio italiano, che ricordano come il nostro paese possa vantare almeno 530 diverse varietà olivicole e ogni regione sa esprimere la propria identità olearia con caratteristiche uniche ed irripetibili.
L’incontro sull’olio di oliva tenutosi alla sede della Confagricoltura di Roma è stata l’occasione per una riflessione ad alta voce su quanto a livello produttivo incida questa biodiversità e quale valore riesce a generare. E sono dati che fanno riflettere.
Partendo dalle produzioni certificate, quelle che dovrebbero esprimere al meglio le varietà del territorio. A ben vedere, su 32 Dop e 8 Igp regionali, l’analista di Ismea Tiziana Sarnari ha evidenziato che la produzione di tali tipologie di olio resta ferma a poche migliaia di tonnellate, nonostante un panorama ampelografico unico al mondo e la presenza di territori vocati e aziende d’eccellenza.
Bassi volumi certificati
Tra l’altro i volumi sono concentrati su pochissimi prodotti: Terre di Bari Dop e Toscano Igp, le prime due indicazioni geografiche, rappresentano il 52% della produzione totale di oli Dop e Igp e con le prime quattro (dunque ricomprendendo anche Igp Sicilia e Val di Mazara Dop) si arriva al 71%. Le restanti 36 indicazioni geografiche hanno viceversa volumi estremamente ridotti: giusto Umbria Dop, Valli Trapanesi Dop e Riviera Ligure Dop raggiungono il 3% della produzione totale di olio con certificazione d’origine.
Poche cultivar utilizzate
E, a ben vedere, anche le cultivar utilizzate per la maggior parte dell’olio così certificato sono estremamente modeste. Lo ha rilevato il prof. Salvatore Camposeo, docente di arboricoltura all’Università di Bari, ricordando come la Terra di Bari Dop, vale a dire la principale Dop italiana, viene prevalentemente realizzata con appena due varietà (Coratina e Cima di Bitonto) rispetto alle 250 presenti a livello regionale. Poche le varietà prevalenti anche nelle due Igp che seguono a ruota. Quello Toscano ne conta cinque (Frantoio, Leccino, Moraiolo, Maurino e Pendolino) sulle circa 120 che può annoverare la regione, quello di Sicilia arriva a sei (Nocellara del Belice, Biancolilla, Cerasuola, Nocellara Etnea, Tonda Iblea e Moresca) tra le 50 presenti nell’isola.
Una modesta remunerazione
Una biodiversità dunque non così marcata per chi scegli di identificare e certificare con la propria territorialità le produzioni. Con l’aggiunta di una modesta remunerazione.
Al riguardo, l’analista Ismea evidenzia che il prezzo di mercato di alcune indicazioni geografiche non si scosta molto dal prezzo dell’olio convenzionale delle stesse aree, fatto questo non è particolarmente incentivante per gli operatori.
In generale – è stato evidenziato nell’analisi – gli oli Dop e Igp italiani hanno registrato sì incrementi dei prezzi alla produzione dal 2021 al 2024, ma con tassi di incremento decisamente inferiori rispetto agli oli convenzionali. E questa è una caratteristica che si è osservata sia nella fase di produzione che in quelle successive della filiera fino al consumo. Le indicazioni geografiche – è stata la naturale conclusione – restano un prodotto di nicchia senza riuscire a conquistare quote di mercato significative. In molti casi, peraltro, il prezzo di mercato di alcune di esse non si scosta molto dal prezzo dell’olio convenzionale delle stesse aree e questo non è particolarmente incentivante per gli operatori.
La possibile soluzione
Come gestire, sotto il profilo economico, questa complessità? Certamente valorizzando comunque la biodiversità, ma in una logica diversa. “Inesperienza e scarsa visione – è stato evidenziato – hanno infatti favorito la creazione di numerossimi riconoscimenti di indicazione geografica senza pensare alla necessità di distintività da inserire nel disciplinare e alla evocatività del nome fuori dal territorio”.
In parole più pragmatiche: non sarebbe male ripensare le Dop territoriali, puntando sulle Igp dove vi è maggiore potenzalità produttiva e commerciale e dove il nome della regione è certamente più conosciuto anche per i mercati internazionali, nel solco del successo ottenuto dalla Toscana che è stata la prima a intraprendere questo percorso e di quello a ruota della Sicilia.
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