Non solo fine vita, gli altri “scatti in avanti” della Toscana sui diritti civili: dall’abolizione della pena di morte all’obiezione di coscienza

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Il governatore Eugenio Giani esulta su giornali e tv nazionali per l’approvazione della legge sul fine vita: la Toscana apripista in Italia. Sul fine vita – mentre oggi la voce ufficiale della Chiesa protesta – si ricorda ancora quando il prete “ribelle” dell’Isolotto, don Enzo Mazzi, nel 2009 accolse Beppino Englaro, padre di Eluana, quando arrivò a Firenze per ricevere la cittadinanza onoraria. E ancora fu Michele Gesualdi, ex allievo di don Lorenzo Milani a Barbiana, malato di Sla, a scrivere al Parlamento perché legiferasse sul testamento biologico: “Il mio corpo è come se fosse nel cemento”. E’ abbastanza singolare e da sottolineare come questa regione abbia un particolare “fiuto” per i diritti umani. Una vocazione dalle forti radici storiche. Il 30 novembre 1786, il Granducato di Toscana fu il primo Stato al mondo ad abolire la pena di morte. Merito del granduca Pietro Leopoldo. Venendo ai giorni nostri, concentrandosi al periodo che va dal dopoguerra ad oggi, ecco quattro “scatti in avanti” esemplari, ai quali hanno partecipato anche e soprattutto autorevoli voci del mondo cattolico.

1965. Obiezione di coscienza. La legge è stata approvata nel 1972, ma il merito è in gran parte attribuibile a don Lorenzo Milani. Che nel febbraio di 60 anni fa, in risposta ad un documento dei cappellani militari della Toscana, rispose loro con una lettera in cui criticava le ragioni di tutte le guerre, dall’Unità d’Italia in poi (fatta eccezione per la Resistenza). Clou della lettera questo passaggio: “Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri”. La lettera fu pubblicata da Rinascita, settimanale del Pci. Il suo direttore Luca Pavolini e don Milani furono denunciati. Assoluzione nel processo di primo grado (15 febbraio 1966) e condanna in appello (27 ottobre 1967) quando però il priore di Barbiana era già morto. La lettera ai cappellani militari e la successiva lettera ai giudici furono pubblicate in L’obbedienza non è più una virtù, testo cult del pacifismo che diede il là all’approvazione in parlamento della legge sull’obiezione di coscienza (fino ad allora chi obiettava al militare finiva nel carcere militare di Gaeta). Don Milani, ma non solo. A favore dell’obiezione di coscienza si schierarono in molti, a Firenze, a cominciare dal sindaco Giorgio La Pira e padre Ernesto Balducci, intellettuale e voce cristallina del pacifismo. Primo obiettore di coscienza finito in galera è stato Pietro Pinna, morto a Firenze nel 2016.

Divorzio e aborto. Negli anni Settanta l’Italia ha fatto grandi passi in avanti nel campo dei diritti. Due le grandi battaglie che attraversarono il decennio: il divorzio e l’aborto. Nel 1974 si tenne il referendum che confermò la legge sul divorzio, approvata dal parlamento il 1 dicembre 1970. E il 18 maggio 1978, dopo un iter tormentato, venne promulgata la Legge 194, in base alla quale l’aborto, attuato in determinate condizioni, non era più perseguibile penalmente. Anche per l’aborto si tenne il referendum, il 17 maggio 1981, e oltre il 68 per cento degli italiani votarono per la conferma della legge. Due diritti civili – divorzio e aborto – che mobilitarono l’opinione pubblica nazionale, videro protagonisti le personalità più in vista del cattolicesimo fiorentino e toscano. Da padre Ernesto Balducci a Mario Gozzini, figura di spicco della Sinistra indipendente, cioè di quei cattolici che nel 1976 si candidarono con il Pci di Enrico Berlinguer. Gozzini scrisse Contro l’aborto fra gli abortisti, Gribaudi editore, testo emblematico del dilemma dei cattolici progressisti. Contrari all’aborto in nome dei propri principi cristiani ma anche schierati dalla parte delle ragioni dei fautori della legge.

La riforma carceraria. A metà degli Ottanta si dipana il complesso rapporto tra ex terroristi e figure autorevoli del mondo cattolico, da Carlo Maria Martini a Balducci, da David Maria Turoldo a don Luigi Ciotti. Nel frattempo in parlamento matura la legge di riforma carceraria che porta il nome di Mario Gozzini, che fu approvata nel giugno 1986. “Era il giugno 1986 quando venne sancito il riconoscimento giuridico alla dissociazione, fissando riduzioni alle severissime pene inflitte dalle Corti d’assise ed equiparando le pene a quelle per i delitti comuni, con la modifica dell’ordinamento del 1975 – spiega Giambattista Scirè, autore del libro L’uomo del dialogo (edizioni Marietti 1820) – In breve, si apriva a tutti i detenuti, senza distinzioni di titoli di reato, una maggiore possibilità di reinserimento sociale”.



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