Magia nera, sonniferi e droga fatta ingoiare. Così Adilma e l’amante avrebbero ucciso Michele Della Malva

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L’indagine sull’omicidio di Michele Della Malva, avvenuto il 10 dicembre 2011, sembra la trama di un film di Quentin Tarantino. La ricostruzione fornita dal sostituto procuratore di Busto Arsizio Ciro Caramore svela un complesso intreccio di relazioni clandestine, motivazioni economiche e responsabilità omissive che coinvolgono la moglie della vittima, Adilma Pereira Carneiro, già a processo per l’omicidio dell’ultimo compagno di vita Fabio Ravasio, e il suo presunto amante pluripregiudicato, Maurizio Massè.

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Le dinamiche della notte dell’omicidio

Secondo le ricostruzioni, Massé era sicuramente l’amante di Adilma, come confermato da una vicina di casa che lo aveva visto entrare la sera e uscire al mattino presto per mesi da casa della brasiliana e dalla figlia di quest’ultima, Ariane che ha deciso con le sue dichiarazioni di abbandonare le ambiguità e raccontare i segreti relativi alle mille vite di mamma Adilma. È stata proprio lei a riconoscerlo quando gli inquirenti le hanno sottoposto una serie di foto.

La sera del 9 dicembre, intorno alle 22:30-23:00, Maurizio Massé entrò nella villetta di via Solferino 7 a Mesero (Mi), insieme a Michele Della Malva. I due erano ex cognati ma avrebbero mantenuto un rapporto anche dopo il divorzio di Della Malva con la sorella di Massè legato ad affari nel mondo della droga. Una volta entrati in casa  si appartarono in una stanza del piano ribassato della villetta.  In casa, in quel momento, c’erano i tre figli grandi di Adilma dei quali almeno due avrebbero visto Massè e Della Malva in casa insieme.

All’alba del 10 dicembre, intorno alle 5 del mattino, Massé fu visto uscire furtivamente dall’abitazione da una vicina di casa, una testimone chiave del caso che lo ha riconosciuto come l’uomo che spesso entrava e usciva da casa di Adilma quando il marito era assente. Poco dopo, Michele Della Malva si trovò in preda a dolori lancinanti e a sintomi di delirio, probabilmente dovuti all’ingestione di cocaina adulterata o a una sostanza tossica.

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L’elemento chiave dell’omicidio di Michele Della Malva è l’ipotesi che sia stato avvelenato. Diverse testimonianze e prove raccolte dagli inquirenti suggeriscono che non si sia trattato di una semplice overdose accidentale, ma di una somministrazione intenzionale di una sostanza letale. Prova ne è l’autopsia svolta prima che il corpo venisse cremato (come richiesto da Adilma) e durante la quale vennero rinvenuti nello stomaco due sacchetti di plastica non sigillati con tracce importanti di cocaina. Circostanza che il pm che indagò allora, quel Ferdinando Esposito poi radiato dalla magistratura, non approfondì mai.

Il metodo: avvelenamento con una sostanza paralizzante

Secondo quanto riferito da Igor Benedito, Michele Della Malva era noto per la sua prestanza fisica e la capacità di difendersi in caso di aggressione. Questo elemento porta a escludere l’ipotesi di un attacco fisico diretto. Benedito riferisce che l’unico modo per eliminarlo sarebbe stato avvelenarlo, poiché era improbabile che qualcuno potesse sopraffarlo in un confronto diretto.

Le indagini hanno rivelato che sul corpo della vittima erano presenti segni compatibili con iniezioni nei talloni. Questo dettaglio, riportato nelle dichiarazioni di alcuni testimoni, è ritenuto particolarmente significativo dal pm. Il veleno potrebbe essere stato somministrato attraverso una bevanda, possibilmente alcolica, contenente un sonnifero. Successivamente, una sostanza paralizzante sarebbe stata iniettata attraverso i talloni, impedendo a Michele Della Malva di reagire. Una volta immobilizzato, gli sarebbe stata somministrata una dose letale di cocaina, forse tagliata con una sostanza tossica, inscenando così un’overdose accidentale. Secondo la ricostruzione, questo piano avrebbe permesso agli assassini di eliminare Della Malva senza lasciare segni evidenti di lotta e senza destare immediati sospetti.

Il ritardo nei soccorsi e la responsabilità di Adilma Pereira Carneiro

Le testimonianze raccolte evidenziano come Adilma Pereira Carneiro fosse consapevole della gravità della situazione sin dalle prime ore del mattino del 10 dicembre. Ariane, che vide morire davanti ai suoi occhi il patrigno, cercò ripetutamente di allertare la madre, la quale, tuttavia, minimizzò il pericolo e non si attivò per chiamare i soccorsi. Lo fece solo alle 10:34 del mattino, circa cinque ore dopo la morte del marito. Adilma effettuò la chiamata, fingendo di esserne venuta a conoscenza solo in quel momento e precipitandosi a casa per inscenare tutto il suo dolore per il marito morto.

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Questa omissione viene considerata dall’accusa come una condotta dolosa che contribuì in modo determinante alla morte di Della Malva. Se anche non fosse dimostrabile un accordo premeditato con Massé per ucciderlo, il comportamento di Adilma integra quantomeno una responsabilità per omissione di soccorso.

Il movente economico

L’inchiesta evidenzia come l’omicidio possa essere stato motivato da interessi economici. Secondo le dichiarazioni di Igor Benedito, Massé e Adilma intendevano appropriarsi di un “tesoretto” fatto di soldi e orologi di valore che Della Malva custodiva nella casa del cognato, in via Cascina dei Prati n°25, a Milano. Per questo motivo, la Pereira, con l’aiuto di complici, avrebbe organizzato delle perquisizioni illegali nell’abitazione alla ricerca di denaro e beni di valore rimanendo a bocca asciutta.

L’altro figlio, Igor Benedito oggi a processo per l’omicidio di Ravasio, riporta inoltre che Adilma era solita frequentare ambienti legati al narcotraffico e alla criminalità, lasciando ipotizzare che la vittima potesse essere stata avvelenata deliberatamente, per facilitare l’appropriazione del denaro.

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Le incongruenze nelle dichiarazioni di Massé

Massé, noto come spacciatore di droga nel quartiere di Quarto Oggiaro a Milano e in seguito arrestato per estorsione, avrebbe rilasciato dichiarazioni agli inquirenti che si sono rivelate altamente inattendibili. Ha finto di non ricordare il nome della moglie di Michele e ha cercato di accreditare la tesi di un Della Malva affranto e incline al suicidio. Secondo il pubblico ministero, questa versione non regge di fronte alle prove raccolte e appare come un tentativo maldestro di sviare le indagini.

Inoltre, Massé ha dichiarato che Della Malva fosse un uomo succube della moglie e incline a episodi di violenza domestica sotto l’effetto della droga. Tuttavia, queste affermazioni sono state smentite da testimoni come una vicina di casa e i figli di Adilma, che lo hanno descritto in maniera diametralmente opposta.

Il contesto di altre morti sospette

Un ulteriore elemento inquietante riguarda la connessione tra questo caso e altre morti avvenute in circostanze simili. Il PM sottolinea che l’omicidio di Della Malva potrebbe inserirsi in un più ampio “disegno criminoso”, ricollegandosi all’omicidio Ravasio e alla morte, nel 2001, di Paulo Benedito (padre di Igor) in un conflitto a fuoco. Anche in questo caso Adilma avrebbe dato versioni sempre diverse con l’intento di creare una cortina fumogena attorno a sue possibili responsabilità.

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Le indagini rivelano inoltre che in Brasile era stato ucciso anche Paulo Benedito, ex marito di Adilma e padre di Igor Benedito. Secondo alcune fonti, Paulo sarebbe stato assassinato su ordine della Pereira, forse a causa di dissapori personali o per motivazioni economiche. Il figlio Igor Benedito ha dichiarato che sua madre gli ripeteva spesso la frase: “O vivevo io, o viveva lui”, suggerendo una mentalità omicida nell’eliminare chiunque le fosse di ostacolo.

Influenze magico-religiose e pratiche esoteriche

Infine c’è l’aspetto più inquietante dell’inchiesta che riguarda il coinvolgimento di Adilma Pereira Carneiro in pratiche magico-religiose. La donna era dedita non solo al culto afro-brasiliano del Candomblè in cui aveva il grado di “Mai de Santo” ma anche della Quimbanda, una forma di magia nera.

Secondo il figlio Igor Benedito, Adilma avrebbe partecipato a rituali di purificazione che includevano sacrifici animali e pratiche esoteriche. Nell’ultima casa in cui ha vissuto, a Parabiago, è stata trovata una stanza piena di bambole e oggetti rituali. Gli inquirenti suggeriscono che la Pereira possa aver interpretato l’omicidio come una soluzione “rituale” ai suoi problemi, rafforzando il quadro di una personalità incline alla manipolazione e all’eliminazione fisica dei propri compagni di vita.


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