Il metodo del Venture Capital, come si può intuire dal nome, è un approccio alla valutazione che si adatta particolarmente alle fasi di early stage, sulle quali i fondi di investimento istituzionale in capitale di rischio si focalizzano maggiormente: pertanto, esso rappresenta il metodo di valutazione alternativo più rilevante nel contesto di analisi del presente elaborato. Bil Sahlman, professore universitario presso la Harvard Business School, introdusse il Venture Capital Method nel 1987: lo scopo era quello di fornire un modello coerente con la valutazione di investimenti altamente rischiosi, ma giustificati da buone prospettive di crescita future, alimentate dal contenuto innovativo e dallo sviluppo del mercato di riferimento. Di conseguenza, l’orizzonte temporale considerato risulta cruciale per una stima corretta, tenendo presente l’orientamento del metodo in questione al medio-lungo termine: periodi troppo ristretti rischierebbero di non cogliere le potenzialità attese, perdendo parte integrante del valore che risiede nel futuro, dato lo scarso livello di redditività e di asset nei primi stadi di sviluppo. In sostanza, il Venture Capital Method determina il valore prospettico della startup, da attualizzare alla data presente, ovvero al momento dell’investimento in capitale di rischio, considerando gli effetti diluitivi di Il modello in esame prevede due alternative di applicazione che, nonostante presentino delle differenze dal punto di vista della procedura di calcolo, conducono in realtà al medesimo output finale, ovvero il valore della giovane impresa.
Il primo approccio è il Venture Capital Method vero e proprio, scomponibile nei seguenti passaggi: Determinazione del terminal value; Determinazione del valore attuale; Determinazione della quota di partecipazione al capitale di rischio; Stima del numero di azioni sottoscritte e del prezzo per azione.
Il terminal value, il quale non è altro che il valore finale attribuito all’impresa ad una certa data futura, rappresenta una variabile già menzionata nell’ambito del discounted cash flow. Tuttavia, se nel metodo finanziario esso rappresentava un’approssimazione del valore oltre uno specifico orizzonte, da aggiungere al valore generato nell’intervallo precedente, nel metodo del venture capital costituisce un vero e proprio punto di partenza; inoltre, se nel primo caso veniva calcolato tramite la formula della rendita perpetua, ipotizzando una normalizzazione dei flussi di cassa oltre un determinato numero di anni, il venture capital method si avvale del metodo dei multipli. Questi ultimi vengono calcolati in base ai ricavi di vendita o agli utili di imprese comparables, nonostante la prima opzione sia spesso preferita per la mancata redditività nelle fasi iniziali del ciclo di vita; in alternativa, è possibile costruire multipli ad hoc, basati su parametri peculiari delle startup nel campione. Una volta definita la variabile economica attraverso la quale costruire il multiplo, occorre effettuare un’analisi prospettica relativa all’impresa valutata, stimando quale sarà, nel periodo preso in considerazione, il valore della grandezza scelta. Successivamente, occorre definire l’arco temporale relativo al processo di valutazione, solitamente non superiore ai cinque anni. Quest’ultimo è determinato in base alle aspettative di disinvestimento, momento in cui i fondi di venture capital potranno liquidare la loro quota e monetizzare i guadagni in conto capitale: il terminal value è dunque il valore che la startup potrà raggiungere in fase di exit. Terminata la raccolta delle informazioni fin qui riportate e moltiplicando il multiplo per i valori della società attesi in futuro, è possibile determinare la valutazione finale che essa avrà nell’anno prescelto. Tuttavia, è necessario considerare l’ipotesi posta alla base del Venture Capital Method: dall’investimento iniziale alla fase di disinvestimento, si presume che l’impresa sia costante nel conseguimento dei milestone, ovvero degli obiettivi propedeutici al raggiungimento di buone performance, quali lo sviluppo del minimum viable product e il successo sul mercato.
Tale ipotesi relativa al migliore scenario raggiungibile consente di prevedere una fase di exit in cui sarà effettivamente possibile monetizzare l’investimento con il rendimento desiderato, da cui dipendono i calcoli del metodo. Per quanto concerne la formula del terminal value due opzioni sostanzialmente matematiche che posso fornire in un confronto diretto sul mio sito personale. La fase successiva consiste nella determinazione del valore attuale dell’impresa, tramite il tasso di sconto che consente di attualizzare il valore finale: ovvero un rendimento target, o un ROI, che il fondo ritiene equo viste le condizioni dell’investimento. Quest’ultimo sarà caratterizzato da un profilo di rischio elevato, per via della giovane età dell’impresa finanziata, dell’incertezza a proposito del raggiungimento di stadi di sviluppo futuri o della crescita del mercato di riferimento e a causa della minore liquidità dell’investimento: tali caratteristiche fanno sì che il rendimento domandato sia maggiore, in modo tale da giustificare l’assunzione di un rischio che si eviterebbe impiegando i propri fondi in società quotate e più stabili.
In questa seconda fase occorre tenere presente la distinzione tra due concetti fondamentali del Venture Capital Method e più profondamente analizzati nelle pagine precedenti del capitolo: pre-money valuation e post- money valuation. L’attualizzazione del terminal value restituisce un valore in cui l’investimento è già inglobato: occorre sottrarre quest’ultimo per tornare ad una valutazione ex ante.
Terminata la seconda fase, ed essendo quindi in possesso di dati sul terminal value, sull’ammontare investito e il valore attuale, si prosegue con gli ultimi due step. In primo luogo, occorre determinare la quota di equity (X) che il venture capitalist ha acquisito sottoscrivendo parte delle azioni costituenti del capitale proprio. In seguito, si prosegue con l’individuazione del numero specifico di nuove azioni acquistate (N), partendo dalla quantità esistente di vecchie azioni (V) e dal nuovo prezzo (P) a seguito dell’investimento: i passaggi qui sopra riportati concludono il processo di valutazione relativo al primo approccio del Venture Capital Method. Tuttavia, come suddetto, esiste una seconda strada perseguibile che si discosta dal modello tradizionale: tra la stima del valore finale e della quota di partecipazione non si procede con il calcolo del valore attuale, bensì con la valutazione del montante desiderato alla fine dell’orizzonte temporale di riferimento, dato un determinato ammontare di risorse investite e uno specifico tasso che remuneri il rischio.
Successivamente, come nel caso precedente, si individua la percentuale di capitale proprio detenuta dal fondo, il numero di azioni sottoscritte e il prezzo delle stesse; solo al passaggio finale, infine, si ricava il valore attuale. Entrambi i modelli qui riportati peccano di una eccessiva semplificazione dal punto di vista del reale funzionamento degli investimenti in capitale di rischio: viene infatti ipotizzato un solo round, nonostante la prassi effettiva sia ben diversa. Innanzitutto, un medesimo fondo suddivide l’apporto di capitale in più tranche, come forma di tutela e di maggior controllo, riducendo l’azzardo morale potenzialmente causato dalle startup finanziate; inoltre, diversi fondi possono intervenire e inserirsi nel capitale delle società in momenti successivi. Tale meccanismo comporta continue diluizioni per i primi investitori e stimola la necessità di aggiustare le procedure di calcolo sopra citate: l’individuazione del tasso di ritenzione (RET)135, indicatore della quota di equity mantenuta rispetto a quella che si possedeva precedentemente, a seguito del nuovo investimento, consente di aggiornare di volta in volta la percentuale di capitale di proprietà del fondo.
Le peculiarità del Venture Capital Method sin qui riportate mettono in evidenza una caratteristica distintiva di quest’ultimo: si tratta di un modello fortemente centrato sulla prospettiva dell’investitore. Infatti, mentre i metodi tradizionali precedentemente analizzati risultano basati su dati relativi all’impresa valutata, come i flussi di cassa o il patrimonio, sbilanciandosi al massimo verso quelli di società comparables, nel Venture Capital Method si considera anche la quota ottenuta dall’investitore, le azioni sottoscritte e il montante che esso intende raggiungere in fase di exit, basato sul rendimento che desidera ottenere. Tuttavia, l’elevata specificità che tale modello presenta relativamente al mercato del venture capital non ne elimina del tutto i limiti. In primo luogo, la scelta di un orizzonte temporale potrebbe portare ad ignorare tutto ciò che avviene nel periodo successivo. In secondo luogo, il punto di partenza del metodo in esame, a prescindere dall’approccio considerato, consiste nel determinare il terminal value tramite multipli dei ricavi o degli utili: il rilevante peso di questi valori potrebbero portare le imprese e i fondi a modificarli in base alle proprie convenienze, rispettivamente rendendoli più elevati, così da ottenere più risorse, e più esigui, così da pagare un prezzo minore a fronte di una medesima quota di equity. Per quanto concerne il tasso impiegato, bisogna mantenere una coerenza con il multiplo utilizzato per la stima del terminal value: se quest’ultimo appartiene alla categoria asset side e, quindi, al numeratore si trova l’enterprise value, risulterebbe scorretto impiegare il costo del capitale proprio. Inoltre, i tassi target richiesti sono elevati per via dal rischio sostenuto: mantenere un unico tasso d’interesse per tutta la durata dell’investimento può risultare scorretto, laddove il rischio si attenui man mano che la startup prosegue lungo il proprio ciclo di vita. Il rendimento richiesto viene spesso portato al di sopra di quanto sarebbe ragionevole pensare considerando il solo rischio sistematico, che è opportuno remunerare in quanto non diversificabile, per via del maggior intervento che i venture capitalists effettuano come partecipatori attivi allo sviluppo delle startup, contribuendo non solo a livello finanziario, ma anche con la loro esperienza e i contatti nel settore. Infine, il ricorso a multipli di imprese comparables quotate espone al rischio che, nel caso in cui il mercato sbagli a prezzarne le azioni, sopravvalutandole, vengano trascinate nel medesimo errore anche le startup finanziate dai venture capitalists. Malgrado tali limiti, rimane il metodo di valutazione alternativo più diffuso in fasi di early stage.
Giuseppe Incarnato
Chairman & Ceo IGI INVESTIMENTI GROUP
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