La terra come realtà trascendentale. Perché i palestinesi non lasceranno mai la Striscia di Gaza

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Prestito personale

Delibera veloce

 



Tragedia Palestina Israele © OKM

Donald Trump ha dichiarato che “gli Stati Uniti prenderanno il controllo della Striscia, trasformandola in un resort turistico.”

Ancora una volta il neo presidente americano Donald Trump ha dimostrato la sua totale ignoranza nei confronti della storia del Vicino Oriente e del popolo palestinese, che da decenni vive sotto l’occupazione militare israeliana, rendendo la vita di milioni di persone un inferno. Circa dieci giorni fa ha rilasciato una dichiarazione a dir poco agghiacciante: “gli Stati Uniti si impegneranno nella ricostruzione della Striscia di Gaza, ridotta in macerie a seguito della guerra contro Israele scoppiata il 7 ottobre 2023, dopo che Hamas – l’organizzazione considerata terroristica dall’Occidente che da quasi vent’anni controlla l’enclave palestinese – ha attaccato il paese ebraico, trucidando 1200 civili e militari, e prendendone in ostaggio 250.”

Trump la farà ricostruire per un motivo preciso: prenderne il controllo, trasformandola nella cosiddetta “riviera del Medioriente,” alludendo all’allestimento di hotel, ristoranti e luoghi di divertimento, oltre che di abitazioni.

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

Il piano non è frutto di un atteggiamento filantropico nei confronti dei palestinesi di Gaza, poiché sono proprio loro, gli abitanti originari di quella terra martoriata e contesa, gli esclusi; Trump ha infatti pianificato, come fossero merce da spostare da un magazzino all’altro, di trasferirli nei paesi arabi vicini, come l’Egitto e l’Arabia Saudita, in una una vera e propria deportazione di massa che va contro i princìpi del diritto internazionale.

Insomma, il tycoon andrebbe a coronare il sogno di migliaia di estremisti ebraici, soprattutto coloni, che sognano una Palestina senza arabi.

Com’era prevedibile, Netanyahu – il presidente israeliano di destra assai poco tollerante nei confronti dei palestinesi e assai troppo indulgente verso i coloni ebraici che continuano tutt’oggi a rubare terra agli arabi – ha gradito le parole del suo omonimo. Hamas invece si è limitata a rispondere che “il piano è ridicolo e irrealizzabile.”

Siamo davanti a un grave problema di ignoranza, sia storica che politica. Intenzioni come quelle del presidente Trump affossano il Logos, la ragione che ognuno di noi possiede, e fa spazio a quella che i latini chiamavano stultitia, ossia l’idiozia, il contrario della saggezza e della ragionevolezza.

Partendo dal presupposto che nessun presidente, per quanto potente sia, può obbligare un’intera popolazione a lasciare il proprio paese d’origine, i palestinesi in particolare – sia coloro che abitano in Cisgiordania che a Gaza – hanno un rapporto mistico con la loro terra, che difenderanno sempre con le unghie e con i denti, e che sognano di riprendersi – almeno la parte che gli era stata promessa – a costo di sacrificare la vita.

Il motivo è da ricercare nel passato, sia antico che recente.

La Palestina fu governata per quattro secoli dall’Impero Ottomano, che perse dopo la sconfitta subìta nella Prima guerra mondiale. Nel 1922 passò quindi in mano agli inglesi, che decisero di dare asilo agli ebrei provenienti da altre nazioni. Con la conclusione della Seconda guerra mondiale e la tragedia della Shoah, l’Organizzazione delle Nazioni Unite decise di ripartire il territorio in due parti, una in mano agli ebrei e una agli arabi, dando vita di fatto a due stati, ma fin da subito scaturirono contestazioni da entrambe le fazioni, che sfociarono negli anni a seguire in sanguinosi conflitti, tutti vinti da Israele.

A ogni vittoria, il paese ebraico estendeva il suo dominio sui territori assegnati agli arabi e, visti anche gli innumerevoli attentati terroristici di matrice islamica, prese a occupare militarmente la Palestina.

Microcredito

per le aziende

 

Su Gerusalemme, la città santa per le tre religioni abramitiche, scorre un’immaginaria linea verticale: a ovest è sotto il controllo israeliano, a est sotto quello palestinese.

La Striscia di Gaza, la piccola striscia di terra a sud-ovest della Palestina che confina a sud con l’Egitto e affaccia sul Mar Mediterraneo, è governata dal 2007 da Hamas. Israele non occupa Gaza da vent’anni, ma le impone un gravoso embargo, nella speranza di limitare la costruzione di armi e razzi, che andrebbero a colpire le sue città e i suoi kibbutz.

Tuttavia Tel Aviv assume il controllo di ogni merce e bene che arriva nell’enclave palestinese, tra cui l’energia elettrica e le medicine. Come se non bastasse, i suoi confini sono attraversati da una barriera controllata giorno e notte da militari israeliani, soffocando due milioni di persone in un fazzoletto di terra non abbastanza spazioso per contenerli – Gaza ha una delle densità abitative più elevate al mondo.

Una fetta consistente della popolazione di Gaza e della Cisgiordania è figlia e nipote dei rifugiati palestinesi che nel 1948 furono costretti a abbandonare le loro abitazioni nel territorio che andò a costituire lo Stato di Israele. Il termine usato dai palestinesi per l’esodo che subirono è Nakba, catastrofe in arabo. Per dargli alloggio vennero allestiti campi profughi non soltanto in Palestina, ma anche in altri paesi arabi, come Siria e Giordania.

Per i palestinesi lasciare la terra natia significherebbe recidere illegame con i loro avi, che hanno combattuto e sofferto per
rivendicarne la proprietà. In casi come questo gli individui portano con sé, oltre alle proprie aspirazioni personali, anche quelle di chi li
ha preceduti. E non possono, in nessun modo, disfarsene; sarebbe come camminare senza gambe. E’ una questione trascendentale,
identitaria. 

Meglio rimanere e rischiare di morire combattendo, che andare via. Yahya Sinwar, divenuto capo di Hamas nella Striscia di
Gaza dopo l’assassinio per mano israeliana del suo predecessore Isma’il Haniyeh, durante un’intervista dichiarò di preferire morire da
martire piuttosto che in altre circostanze. E così, almeno secondo parte del suo popolo, è stato – è deceduto a seguito di un conflitto a
fuoco nella città di Rafah -.

Il documentario Erasmus in Gaza – che racconta di Riccardo, un laureando italiano in medicina che nel 2019 scelse come meta dell’erasmus la Striscia di Gaza – mostra come ogni venerdì, dal 2018 – anno del settantesimo anniversario della Nakba – gli ospedali accolgano pazienti feriti da colpi di arma da fuoco scagliati dai droni nemici a difesa della barriera che separa Gaza da Israele. Come se persone che si vedono buttare giù le proprie abitazioni e rubare i propri terreni, dovessero chinare la testa senza ribellarsi e cambiare paese. 

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

Eh no, non funziona così. I palestinesi hanno tutto il diritto di vivere nella loro terra senza che qualcuno venga a sottrargliela, e ribellarsi alla violenza tramite altra violenza non è un atto legittimo, ma quantomeno umano. Attenzione, la ribellione a cui si fa cenno non ha nulla a che vedere con il terrorismo, pratica deplorevole in qualunque caso, ma agli scontri che si vedono di tanto in tanto sui notiziari tra i palestinesi che si vedono uccidere gli animali da sostentamento e bruciare il raccolto e le case, e i coloni e i militari israeliani.

In The Settlers, documentario che tratta la vita dei settlers, ovvero i coloni israeliani che occupano illegalmente porzioni di territorio della Cisgiordania, una occupante ha fatto intendere che “i palestinesi non se ne vanno dalla Palestina – che per lei, come per i tanti nazionalisti ebrei, dovrebbe essere interamente sotto la bandiera bianca e blu con al centro la Stella di David – solo per onore.”

I palestinesi compongono un popolo impoverito, ridotto alla fame e alla prigionia da Israele, ma come i coloni ebraici godono di una
forte spiritualità; se gli estremisti di destra israeliani credono che gli arabi debbano lasciare la Palestina in quanto – come rivelano le
Sacre Scritture – dio l’ha destinata interamente a loro – insieme a altri paesi vicini, come il Libano e la Giordania – dall’altra parte le
azioni terroristiche di movimenti come Hamas prendono vita dalle parole scritte dal profeta Maometto nel libro sacro dei musulmani, il
Corano, che incita a difendersi con la forza dagli usurpatori – il tutto avviene ovviamente sotto la protezione di Allah -.
A fronte di tutto questo, come si può anche solo pensare allo sfratto di un popolo così determinato, che a Gaza ha costruito chilometri e
chilometri di tunnel sotterranei per condurre operazioni belliche contro Israele? Immaginiamo, qualora accadesse, quante azioni
terroristiche avverrebbero all’interno della Striscia di Gaza e in Occidente, e quanti personaggi di potere si sentirebbero
galvanizzati dall’intraprendere iniziative del genere – pensiamo, ad esempio, agli afroamericani abitanti negli stati del sud degli Stati
Uniti, storicamente repubblicani e in passato governati da chi sosteneva la segregazione razziale -. E poi, non sarebbe forse
guerra aperta contro il mondo arabo, Iran in particolare, acerrima nemica di Stati Uniti e Israele?

Per concludere, Donald Trump dovrebbe pesare le parole, e capire che governare non è un gioco in cui si è concesso stravolgere popolazioni e paesi a proprio piacimento, e soprattutto che il mondo non è fatto di pasta modellabile, dove basta cambiare forma e aggiungere o togliere altra pasta per risolvere i problemi.

Esistono equilibri delicati da tenere in conto e da rispettare.

Sarà all’altezza del suo compito?

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

L’inizio del suo secondo mandato non promette nulla di buono ma, appunto, si tratta dell’inizio. Ci auguriamo che persone a lui vicine lo facciano ragionare a dovere.

Articolo a cura di Paolo Insolia





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Contributi e agevolazioni

per le imprese