Jan Fabre in mostra alla galleria Mucciaccia di Roma

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Una mostra bipartita con un nuovo corpus di opere del celebre artista Jan Fabre (Anversa, 1958) è ora visitabile alla Galleria Mucciaccia di Roma. Fabre torna in Italia dopo le molte polemiche, a seguito delle note vicende giudiziarie che lo hanno interessato a partire dal 2018. Il piano terra dello spazio espositivo introduce la fruizione al capitolo Songs of the Gypsies. A Tribute to Django Reinhardt and Django Gennaro Fabre. Un ciclo di lavori che omaggiano il figlio dell’artista. Tre riproduzioni del bimbo all’età di 5 mesi, in marmo bianco di carrara, giganteggiano sospese in un’atmosfera pop, piuttosto dissonante rispetto al pregio della materia adoperata, riportando sulla schiena alcune partiture musicali di Django Reinhardt; un chitarrista belga gypsy jazz, carissimo all’artista e al quale egli si è ispirato per il nome del figlio. Le note di “Minor Swing”, “Nuages”, “Manoir de Mes Rêves”, tracciate sul corpo marmoreo del bambino, accompagnano, mute, una jam session di disegni naïve su fogli A4, realizzati da Fabre insieme a suo figlio.

Jan Fabre e il tributo a suo fratello

Più accattivante il secondo capitolo dell’esposizione al piano inferiore della Galleria: Songs of the Canaries. A Tribute to Emiel Fabre and Robert Stroud. Fabre è corso col pensiero alla figura quasi romanzesca di Robert Stroud. Durante la sua prigionia ad Alcatraz egli studiò alcuni uccelli che, anche in cella, riuscivano a cantare allettando la mente del detenuto. Una volta rilasciato, egli dichiarò alla stampa che il suo futuro obiettivo sarebbe stato quello di “misurare le nuvole”.

I lavori con cui Jan Fabre ricorda il fratello Emiel

Da qui prendono forma tre lavori: una serie di marmorei canarini appollaiati su cervelli umani come a regolarne equilibrio ed armonia interiore; una sequenza di disegni su Vantablack (il nero più nero che c’è), ove si alternano lampi, occhi e visioni astratte, accompagnati da moniti legati alla “funzione angelica” degli uccellini. E infine, la grande scultura The Man Who Measures His Own Planet. Un autoritratto dell’artista con le sembianze di suo fratello Emiel, scomparso in giovane età, con le braccia sollevate in alto e un metro tra le mani, a simulare il tentativo di calcolare la vastità dei cieli, in ricordo dell’ornitologo di Alcatraz.

Francesca Romana de Paolis

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