Nel 2024, l’Italia ha intensificato la propria presenza nell’Indo-Pacifico tramite iniziative bilaterali e la partecipazione a progetti multilaterali. La stessa Presidenza del G7 è servita anche per continuare a riflettere sul ruolo dei Sette nell’area, malgrado l’urgenza di altri dossier, evidenziando varie preoccupazioni, tra cui quelle per il Mar Cinese Meridionale. Tale proattività governativa affianca e supporta l’interesse del business italiano per i mercati asiatici, compresi quelli della difesa.
L’industria della difesa italiana ha infatti avviato da tempo proficue collaborazioni con i governi del Mar Cinese Meridionale, aiutata dai profondi cambiamenti in atto nei mercati locali. I rapporti fra le parti sono già stati testati negli ultimi anni, e Roma si è progressivamente inserita nei piani di investimento nazionali in maniera diretta, dimostrando la compatibilità fra la domanda locale e gli obiettivi di espansione commerciale dell’offerta italiana. Le imprese italiane continuano, nello specifico, a dare seguito operativo ai propri obiettivi di crescita fra gli Stati fuori dall’orbita di Pechino, con le Filippine, l’Indonesia e la Malesia che hanno registrato un aumento delle acquisizioni, consolidando il trend degli anni precedenti.
Opportunità sui mercati in espansione e diversificazione
Una disamina delle dinamiche nei mercati locali della difesa suggerisce che in futuro la penetrazione dell’industria italiana potrebbe aumentare. Alla base degli incentivi all’ingresso vi sono i sostenuti tassi di crescita economica che caratterizzano le economie del Sudest asiatico, che in passato non avevano investito a sufficienza nel comparto della difesa, la oramai perenne tensione nell’area e l’incapacità della base industriale locale di far fronte alla domanda. Inoltre, le opportunità sono moltiplicate da alcune variabili sistemiche, quali la competizione fra la Repubblica Popolare Cinese e gli Stati Uniti, e lo stato dei rapporti fra l’Occidente e la Federazione Russa.
La fase di espansione economica determina che gli Stati dell’area possiedano un forte interesse per la preservazione dello status quo. In termini di politiche, ciò si sostanzia nel perseguimento di strategie di hedging volte ad evitare di alimentare la competizione sino-americana, percepita come minaccia diretta alla globalizzazione che ha consentito le attuali fortune economiche. Le implicazioni di tali strategie sono multidimensionali e si estendono fino alle scelte di procurement. Nella dinamica competitiva, affidarsi all’industria americana o cinese significa segnalare all’altra potenza una netta presa di posizione, inoltre, è spesso la stessa Pechino a porre in essere le minacce alla sicurezza. Di conseguenza, gli attori locali puntano a una diversificazione degli approvvigionamenti.
Al contempo, i tassi di crescita economica costituiscono un driver naturale dell’incremento della spesa militare effettiva nella regione. Quest’ultima continua per altro a espandersi anche in termini relativi. Sono rilevanti a tal proposito gli ultimi annunci di Brunei, Filippine, Indonesia, Malesia e Vietnam riguardo nuove spese record nel settore. Gli incrementi dei budget sono necessari al finanziamento dei costosi progetti di acquisizione e aggiornamento delle capacità, finalizzate a riadattare le Forze armate nazionali al mutato contesto di sicurezza.
Da ultimo, nei mercati si è oramai attestata una cospicua perdita di influenza dell’industria russa. Mosca ha rappresentato a lungo il maggior fornitore nella regione, grazie soprattutto alla competitività della sua industria, all’affinità politica con alcuni regimi locali e all’assenza di vincoli di natura politica imposti agli acquirenti. Le sanzioni sulle importazioni di armi russe e il conflitto in Ucraina hanno sensibilmente cambiato la situazione. Il progressivo scivolamento al margine del mercato da parte della Federazione Russa rivela dunque un vuoto nell’offerta che, date le condizioni di cui sopra, si fa sempre più significativo.
La prospettiva italiana sulla sicurezza regionale e internazionale
L’interesse dell’industria della difesa italiana per i mercati asiatici ricade nella più generale attrattività delle economie asiatiche per tutto il Sistema Paese. Tuttavia, l’assenza di una convergenza di interessi in alcuni contesi subregionali, come appunto il Mar Cinese Meridionale, innesca una logica a somma zero fra gli attori locali. Tra le altre cose, questa dinamica determina che gli interventi di Stati terzi non comportino i medesimi benefici per ciascuno. Questo è particolarmente evidente nei confronti della Repubblica Popolare Cinese. Le iniziative dell’industria italiana invitano così a riflettere sulla più ampia portata politica delle collaborazioni nel settore delle difesa fra Roma e gli interlocutori locali.
L’Italia, in quanto media potenza, è portata a rispondere alle esigenze dei Paesi alleati più direttamente coinvolti nell’Indo-Pacifico, in primis Stati Uniti e Giappone. Inoltre, nel Mar Cinese Meridionale, i tentativi di erosione del principio di libertà di navigazione hanno un effetto indiretto anche sulla Penisola italiana, la cui economia è fortemente votata all’export via mare. Questi tentativi sono per altro posti in essere da un soggetto, Pechino, che sempre più aumenta la sua proiezione in zone tradizionalmente rilevanti per la politica estera italiana, quali l’Africa e i Balcani.
La mancanza di una formale strategia per l’Indo-Pacifico implica delle conseguenze per l’azione esterna italiana, specie se questa si articola anche attraverso la cooperazione nel settore della difesa. Alcune questioni sono particolarmente evidenti, come sul piano della comunicazione. Il Sistema Paese fatica a proiettare in modo chiaro, coerente e continuativo gli interessi nazionali. In tale contesto, gli altri Paesi, più o meno allineati con Roma, sono costretti a dedurre la strategia italiana interpretando segnali isolati tra loro. D’altra parte, sembra evidente come la postura attuale, per certi versi più flessibile e graduale, possa offrire all’Italia un margine di manovra più ampio in un contesto regionale comunque frammentato.
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