Italia, crollo dei giovani imprenditori. Invece in Europa crescono

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Un decennio in ritirata: numeri e tendenze

In Italia, ogni giorno negli ultimi dieci anni sono scomparse 42 imprese guidate da under 35. Un declino costante che ha portato il numero di aziende giovanili dalle quasi 640mila del 2014 alle 486mila di fine 2024. Il dato emerge dall’analisi Unioncamere-InfoCamere, che evidenzia un profondo cambiamento nella struttura imprenditoriale del Paese, spinto sia da fattori demografici che da mutamenti strutturali dell’economia.

Il calo complessivo del 24% è un riflesso della progressiva diminuzione della popolazione giovane e della difficoltà di avviare e mantenere un’attività in settori tradizionali. Tuttavia, non tutti i comparti hanno subito lo stesso destino: mentre il commercio e l’edilizia hanno registrato un crollo senza precedenti, altri settori hanno visto una crescita, seppur contenuta.

Chi cresce e chi scompare: i settori più colpiti

L’analisi mostra come le nuove generazioni si stiano orientando verso attività ad alto valore aggiunto. I servizi alle imprese sono tra i pochi comparti in crescita, con un aumento del 3,5% e quasi 2mila nuove aziende under 35 nel decennio. Anche l’agricoltura resiste, mantenendo stabile la sua quota di giovani imprenditori (+0,06%), confermandosi una scelta concreta per chi punta su sostenibilità e innovazione.

La tendenza opposta si registra invece in settori tradizionalmente trainanti. Il commercio ha perso oltre 66mila imprese giovanili (-36,2%), mentre le costruzioni ne hanno lasciate sul campo quasi 40mila (-38,7%). Il settore manifatturiero ha visto svanire oltre 14mila aziende (-35,9%), segnando un forte ridimensionamento della produzione industriale a guida giovane.

Ad essere particolarmente colpito è stato il mondo dell’artigianato, con una contrazione del 28,1% e una perdita di oltre 47mila imprese. Non va meglio all’imprenditoria femminile under 35, che ha subito un calo del 24,5% (oltre 43mila aziende in meno), né a quella straniera, che ha perso il 27,4% delle sue attività (-35mila imprese).

Le cause della crisi: tra demografia, burocrazia e accesso al credito

Le motivazioni dietro questa emorragia di imprese giovanili sono molteplici e interconnesse.

1. Invecchiamento della popolazione L’Italia è tra i Paesi con il più basso tasso di natalità in Europa. Il numero di giovani imprenditori diminuisce anche perché ci sono meno giovani in generale.

2. Accesso al credito – Ottenere finanziamenti per avviare una nuova attività è sempre più difficile. Le banche tendono a richiedere garanzie elevate, che i giovani spesso non possiedono.

3. Burocrazia complessa – L’Italia è nota per la sua macchinosa burocrazia. Secondo l’ultimo rapporto della Banca Mondiale sul “Doing Business”, aprire e gestire un’impresa nel nostro Paese richiede più tempo e più passaggi rispetto ad altre economie avanzate.

4. Cambiamento dei modelli di consumo – L’avvento del digitale ha trasformato il modo in cui le persone acquistano beni e servizi, penalizzando le attività tradizionali. Molti giovani preferiscono investire nel digitale piuttosto che in negozi fisici.

5. Costo del lavoro e pressione fiscale – L’Italia ha uno dei più alti cunei fiscali in Europa, ovvero la differenza tra quanto un’azienda paga per un dipendente e quanto quest’ultimo riceve in busta paga. Questo rende difficile assumere e crescere.



Le parole degli esperti


Il presidente di Unioncamere, Andrea Prete (foto), ha commentato così i dati: “Il dato è figlio del contesto economico, ma è chiaro che su di esso ha pesato l’invecchiamento della popolazione. Del resto, secondo il CNEL, negli ultimi 20 anni abbiamo avuto oltre 2 milioni di lavoratori under 35 in meno”.

Secondo Prete, però, il cambiamento non è solo negativo: “La nuova mappa settoriale dell’impresa giovanile mostra una maggiore presenza in settori che richiedono competenze specializzate e promettono margini di innovazione. I giovani che scelgono di fare impresa puntano su attività in cui competenza e tecnologia sono fattori distintivi”,

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Il confronto con l’Europa: cosa succede altrove?

Se in Italia l’imprenditoria giovanile è in calo, altri Paesi europei stanno mostrando segnali diversi. In Francia, ad esempio, negli ultimi dieci anni il numero di start-up avviate da giovani è cresciuto, grazie a incentivi fiscali e finanziamenti pubblici dedicati. Anche in Germania sono stati introdotti programmi per favorire l’autoimpiego giovanile, con fondi specifici per il digitale e l’innovazione.

Un modello interessante è quello del Regno Unito, dove il governo ha semplificato le procedure di apertura di un’impresa, riducendo al minimo i tempi burocratici e introducendo finanziamenti agevolati per i giovani imprenditori.

Strategie per il futuro: come invertire la rotta?

Per contrastare questa tendenza negativa, gli esperti propongono alcune soluzioni:

Miglior accesso al credito – Introdurre finanziamenti agevolati per i giovani imprenditori, simili a quelli adottati in Francia e Germania.

Riduzione della burocrazia – Digitalizzare i processi e ridurre i tempi necessari per aprire e gestire un’impresa.

Sostegno alle competenze – Investire nella formazione per le competenze richieste dal mercato, in particolare in settori come l’ICT e i servizi avanzati.

Incentivi per il rientro dei giovani dall’estero – Creare politiche per attrarre talenti italiani emigrati, offrendo vantaggi fiscali e finanziamenti per chi decide di avviare un’attività in Italia.

Un futuro incerto ma con opportunità

Il declino dell’imprenditoria giovanile in Italia non è un fenomeno irreversibile, ma richiede interventi mirati e una visione a lungo termine. La sfida è duplice: da un lato, bisogna rendere più semplice e conveniente l’avvio di un’attività, dall’altro è necessario indirizzare i giovani verso settori con maggiori prospettive di crescita.

Se il Paese saprà rispondere con politiche efficaci e un supporto concreto, le nuove generazioni potranno ancora giocare un ruolo chiave nell’innovazione e nello sviluppo economico italiano. Senza un’inversione di rotta, il rischio è quello di un ulteriore svuotamento del tessuto imprenditoriale giovanile, con conseguenze di lungo termine per l’intera economia nazionale.



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