Il caso dell’antifascista Rexhino “Gino” Abazaj

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La scorsa settimana la Corte d’Appello di Parigi ha rinviato al 12 marzo l’udienza per decidere sull’estradizione di Rexhino Abazaj, detto “Gino”, un antifascista italo-albanese di 32 anni accusato di aver aggredito due neonazisti nel febbraio del 2023 a Budapest, in Ungheria, nei giorni in cui si tennero le manifestazioni per il “Giorno dell’onore”, una commemorazione che riunisce ogni anno migliaia di militanti di estrema destra da tutta Europa. Sono le stesse accuse rivolte a una decina di altre persone, fra cui Ilaria Salis, che in quei giorni si trovavano a Budapest per partecipare ad alcune contromanifestazioni antifasciste.

Quello di Abazaj è diventato un caso in Francia. Abazaj è infatti detenuto dal 12 novembre dopo essere stato fermato nella periferia di Parigi per via del mandato d’arresto europeo emesso dall’Ungheria. Diversi deputati di sinistra e intellettuali, fra cui la scrittrice e vincitrice del premio Nobel Annie Ernaux, si sono opposti alla sua estradizione. Abazaj, che rischia fino a 16 anni di carcere, nega le accuse che gli sono rivolte, e i suoi avvocati sostengono che siano politicamente motivate.

Come nel caso di Ilaria Salis, i politici e le parti della società civile francese che si stanno occupando del caso ritengono che mantenere alta l’attenzione sui rischi che correrebbe Abazaj se venisse estradato in Ungheria possa agevolare la sua liberazione.

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Abazaj è cittadino albanese, ma è cresciuto in Italia, dove è arrivato quando aveva tre anni e dove tuttora vive la sua famiglia. I suoi genitori hanno la cittadinanza italiana, lui no: la sua richiesta, presentata nel 2013, era stata respinta qualche anno fa, secondo Abazaj perché in precedenza era stato denunciato per la sua partecipazione a proteste del movimento per il diritto alla casa.

Le autorità italiane di solito rifiutano queste richieste in caso di problemi coi documenti presentati, per motivi legati alla mancanza di reddito o per condanne. In Italia una denuncia non esclude automaticamente la possibilità di ottenere la cittadinanza, ma ogni domanda viene valutata in modo discrezionale: le autorità possono sempre decidere di non approvarla per quelli che vengono definiti «comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica».

L’avvocato Eugenio Losco, che ha difeso Ilaria Salis mentre si trovava in Ungheria e che ha rappresentato Abazaj in passato, ha detto che recentemente è stata fatta una richiesta per recuperare le motivazioni del rifiuto della domanda di Abazaj alla prefettura di Pavia, che però non ha risposto. Dato che Abazaj non è suo cittadino, l’Italia non ha giurisdizione sul suo caso.

Una manifestazione per la liberazione di Ilaria Salis a Milano, il 13 gennaio 2024 (Alessandro Bremec/LaPresse)

Dopo il rifiuto della richiesta di cittadinanza Abazaj si era trasferito in Finlandia, dove aveva vissuto per diversi anni e dove era stato arrestato per la prima volta in seguito all’emanazione dello stesso mandato d’arresto ungherese: mentre si trovava ai domiciliari in attesa che un tribunale decidesse sulla sua estradizione era scappato in Francia, dove era stato individuato e arrestato nuovamente dall’unità antiterrorismo della polizia.

Ai giudici francesi ha detto di aver lasciato la Finlandia perché aveva paura che il tribunale decidesse di estradarlo in Ungheria, dove sarebbe sottoposto a un processo non equo e dove alcuni militanti antifascisti accusati degli stessi reati sono o erano detenuti in condizioni definite «disumane» e «spaventose».

Queste condizioni sono note e documentate, e sono state anche raccontate da Ilaria Salis in più occasioni: a febbraio del 2024 fu pubblicata una sua lettera scritta dal carcere in cui diceva di aver dormito per tre mesi in una cella infestata da cimici dei letti e da scarafaggi, dove rimaneva chiusa per 23 ore al giorno, e di essere stata costretta a indossare abiti «sporchi, malconci e puzzolenti» e tacchi a spillo, che aveva indossato per più di un mese. Salis ha passato 15 mesi in detenzione preventiva in Ungheria prima di poter tornare in Italia in seguito alla sua elezione al Parlamento Europeo a giugno del 2024, che le ha garantito l’immunità.

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– Leggi anche: Il sistema giudiziario dell’Ungheria di Orbán è messo molto male

Nello specifico, Abazaj è accusato insieme ad altri attivisti – tra cui Ilaria Salis – di aver partecipato al pestaggio di due cittadini tedeschi, Sabine Brinkmann e Robert Fischer, all’uscita di un concerto rock neonazista organizzato il 10 febbraio del 2023 durante la settimana di celebrazione del “Giorno dell’onore”. I due hanno riportato delle ferite la cui «durata effettiva della guarigione», come si legge nel mandato d’arresto, è stata «dai cinque ai sei giorni».

Il “Giorno dell’onore” è una manifestazione che si svolge ogni anno a Budapest nella settimana dell’11 febbraio con cortei, concerti ed eventi per celebrare un battaglione nazista che nel 1945 tentò di impedire l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa. Non è una ricorrenza ufficiale, ma un anniversario simbolico che è da sempre legato a movimenti di estrema destra. Per questo ogni anno in quei giorni arrivano a Budapest da tutta Europa militanti che non nascondono la loro appartenenza a gruppi radicali, espongono slogan antisemiti e razzisti e si mostrano in pubblico indossando divise e simboli nazisti.

Il governo semiautoritario di estrema destra di Orbán ufficialmente non appoggia queste manifestazioni, ma ne permette lo svolgimento. La polizia ungherese ha detto che in quel contesto nel 2023 furono aggrediti nove militanti di estrema destra, cinque dei quali hanno riportato ferite gravi e quattro ferite lievi.

– Leggi anche: Cos’è il raduno neonazista del “Giorno dell’onore”

Gli avvocati di Abazaj, Youri Krassoulia e Laurent Pasquet-Marinacce, sostengono che la sua estradizione in Ungheria sarebbe una violazione degli articoli 3 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che sanciscono rispettivamente il diritto a non essere sottoposti a trattamenti disumani e degradanti e il diritto a un equo processo. Gli avvocati sostengono che ad Abazaj non sarebbe garantita la presunzione di innocenza, sulla base di alcune dichiarazioni del primo ministro ungherese Viktor Orbán e di membri del suo governo e della progressiva erosione dell’indipendenza del potere giudiziario in Ungheria.

Le accuse ungheresi contro Abazaj sembrano essere deboli. Anzitutto finora non sono emerse prove che abbia effettivamente partecipato all’aggressione: si sa che in quei giorni si trovava a Budapest, come molti altri antifascisti. I suoi avvocati sostengono inoltre che anche se fosse dimostrato un suo coinvolgimento, le accuse formulate contro di lui sarebbero sproporzionate rispetto ai fatti contestati.

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A evidenziare la discrepanza fra le azioni di cui Abazaj è ritenuto responsabile e le accuse è stato anche il quotidiano Le Monde, che ha scritto che secondo il mandato d’arresto i due cittadini tedeschi hanno riportato «ferite moderate», dovute a «colpi» di «moderata forza», con una prognosi di pochi giorni. Nello stesso mandato d’arresto emesso dalle autorità ungheresi però Abazaj è accusato, come altri antifascisti, di «percosse e lesioni che hanno provocato un rischio immediato di morte» e di «partecipazione a un’organizzazione criminale», reati per cui rischia dai 2 ai 16 anni di carcere.

A metà gennaio la Corte d’Appello di Parigi aveva emesso una prima sentenza in cui metteva ufficialmente in dubbio la capacità e la volontà dell’Ungheria di garantire un processo equo per Abazaj. Secondo il tribunale, esiste una «presunzione di fallimento sistemico del diritto a un equo processo» (défaillance systémique, in francese). Per questo aveva chiesto all’Ungheria di dare «garanzie effettive» e precise sulle modalità di detenzione di Abazaj, per impedire che sia sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, e di comunicare le «misure concrete» affinché ad Abazaj venga garantito il diritto fondamentale a un equo processo. Il tribunale aveva detto che in Ungheria Abazaj potrebbe essere a rischio «a causa delle sue opinioni politiche» e aveva fissato la data dell’udienza per la sua estradizione al 12 febbraio.

Pochi giorni fa però sia i suoi avvocati che la procura francese hanno chiesto che l’udienza fosse rimandata, cosa che è in effetti successo.

In questo mese l’Ungheria ha fornito risposte, ma parziali e tardive, non dando abbastanza tempo alle parti di analizzarle. Youri Krassoulia, avvocato di Abazaj, ha detto al sito di news Mediapart che mancano informazioni sui rischi della detenzione del suo cliente a causa delle sue opinioni politiche e che non sono state fornite sufficienti garanzie sulle sue eventuali condizioni di detenzione e sul rispetto del suo diritto a un equo processo. Al momento Abazaj rimarrà in carcere in Francia, dato che il tribunale ha respinto la richiesta di concedergli gli arresti domiciliari.

Un cartello al presidio del 12 febbraio 2025 con scritto “Gino non deve essere estradato in Ungheria” e che riporta un verso del Canto dei partigiani, una celebre canzone della Resistenza francese, che dice «amico, senti il volo nero dei corvi sulle nostre pianure?» (Karim Ait Adjedjou/ABACAPRESS.COM/ANSA)

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Nonostante i suoi avvocati abbiano descritto come una prima vittoria la sentenza di gennaio, non è possibile al momento ipotizzare quale sarà la decisione finale della Corte d’Appello di Parigi. Nell’ultimo anno le altre persone accusate degli stessi reati di Abazaj e che si trovano in condizioni simili non hanno ricevuto un trattamento univoco. Oltre a Ilaria Salis e ad altri due antifascisti tedeschi che sono stati arrestati in Ungheria, diverse persone sono state arrestate in Europa e le loro richieste di estradizione sono state analizzate o sono in fase di valutazione da parte di tribunali nazionali.

A marzo del 2024 un tribunale italiano per esempio ha negato l’estradizione del 23enne Gabriele Marchesi, dopo averlo posto agli arresti domiciliari, per le stesse motivazioni avanzate dai legali di Abazaj, ossia che rischiava di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti e che c’era una sproporzione fra la pena richiesta e i fatti a lui contestati. L’Ungheria ha comunque deciso di processarlo anche in sua assenza ed è probabile che se verrà condannato presenterà una nuova richiesta. Al momento Marchesi è tornato in libertà.

A giugno del 2024 era stata invece estradata dalla Germania Maja T., una persona non binaria su cui pendeva lo stesso mandato d’arresto di Abazaj (una persona non binaria non si riconosce completamente né nel genere femminile né in quello maschile). La sua estradizione è stata molto criticata e il 6 febbraio 2025 è stata giudicata illegittima dalla Corte costituzionale federale tedesca. Oltre ai problemi già citati per gli altri casi, per Maja T. si aggiungeva quello delle discriminazioni subite dalle persone appartenenti alla comunità LGBT+ in Ungheria. Nonostante la recente sentenza, Maja T. è ancora in detenzione preventiva in Ungheria, dove è tenuta in una cella di isolamento.

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