Inquirenti
E’ uno dei risvolti dell’inchiesta della Procura e della Dda di Palermo che ha portato all’arresto di sei persone
«Asservita a Cosa nostra», che l’avrebbe usata come un bancomat. E’ il ritratto che gli inquirenti fanno della cantina Rapitalà, una delle storiche imprese vinicole siciliane, nota nel mondo.i rapporti tra parte del gruppo dirigente dell’azienda ed esponenti della mafiosi del clan di camporeale vengono raccontati in uno dei capitoli dell’indagine della dda di palermo che oggi ha portato in carcere boss e personaggi vicini al mandamento «L’attività di indagine dei carabinieri – scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere – ha fatto emergere gli interessi economici di Cosa Nostra camporealese anche nel settore della produzione e della vendita di prodotti vinicoli attraverso le diverse cantine della zona. Tra queste senza dubbio la più importante per fama e grandezza è la Cantina Rapitalà, società per azioni del Gruppo italiano vini (che riunisce alcune delle più importanti cantine italiane ndr) con capitale sociale al 31/12/2021 pari a 7.200.000 euro e un volume d’affari per il solo anno di imposta 2021 pari a oltre 5 milioni». L’impresa è proprietaria a Camporeale di una tenuta estesissima, oltre 200 ettari tra le province di Palermo, Agrigento e Trapani. Tra i dipendenti i carabinieri segnalano Alfio Tomarchio, poi deceduto e Ignazio Arena, entrambi ritenuti vicini alla cosca.
Nell’organigramma della società – fanno notare gli investigatori – come dipendenti stagionali figurano 11 persone “vicine per legami di parentela alla famiglia mafiosa di Camporeale». Segno «della permeabilità del tessuto logistico ed economico della società a infiltrazioni da parie del gruppo criminale». Nella misura cautelare la Rapitalà viene definita come «asservita» al clan retto da Antonino Scardino, reggente del mandamento durante la detenzione dello storico capomafia Antonino Sciortino.«Si documentava infatti chiaramente come la famiglia mafiosa di Camporeale – si legge – ricevesse con cadenza mensile sia somme di denaro contante che altri beni (vini e nafta) provenienti dalla cantina Rapitalà tramite alcuni suoi dipendenti evidentemente contigui al sodalizio mafioso, come Tomarchio e Arena».
Tomarchio e Arena, ha svelato l’indagine, fissavano incontri mensili con Scardino per versargli denaro che, secondo gli inquirenti, sarebbe andato a Anna Maria Colletti, moglie del boss detenuto Antonino Sciortino. La donna avrebbe usato i soldi anche per pagare le spese legali da affrontare per il marito. Il denaro, inoltre, non era frutto di regali spontanei di Tomarchio, ma rientrava – secondo gli investigatori – in in un meccanismo di collaudato asservimento dell’impresa agli interessi della famiglia mafiosa».Fondata dalla famiglia di origini francesi Gatinais nel 1968, a Camporeale, Tenuta Rapitalà, per anni è stata gestita dal conte de la Gatinais e dalla moglie, Gigi Guarrasi. La produzione dell’impresa ammonta a circa 2,6 milioni di bottiglie l’anno.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link