Nazionale, senza perdere il legame locale. Ecco come cambia l’Altravoce


Una testata nazionale – L’Altravoce Il Quotidiano, senza più riferimenti al Meridione, con una serie di edizioni locali caratterizzata dall’aggiunta nella testata della specifica area di diffusione Cosenza, Reggio
Calabria, Vibo Valentia, Catanzaro-Lamezia-Crotone, Basilicata, Puglia e Campania.

Ecco la principale novità dell’ex Quotidiano del Sud e della sua testata di inchieste, approfondimenti e commenti, finora chiamata L’Altravoce dell’Italia, che da oggi si presentano con nuovo nome, nuova grafica e una rinnovata ambizione da quotidiano in grado di competere con le altre testate d’opinione nazionali.

Una novità che segue di pochi giorni l’arrivo al giornale di Alessandro Barrbano in veste di direttore editoriale, un giornalista di grande esperienza che si è aggiunto a uno staff già nutrito, da Massimo Razzai direttore responsabile a Stefano Regolini direttore de l’Altravoce, i condirettori Roberto Marino e Rocco Valenti, Gianni Festa per l’edizione campana, Antonio Troise vice per il nazionale e Giuseppe Smorto
consulente editoriale.

Pubblichiamo qui di seguito insieme alla nuova prima pagina dell’edizione nazionale l’Altravoce – Il
Quotidiano, distribuita nell’area di diffusione del giornale ma tornata anche nelle edicole romane, gli
editoriali di Alessandro Barbano e del socio unico della società editrice, la Fondazione Mario Dodaro.

L’editoriale della Fondazione Dodaro

“Trent’anni fa, era il mese di giugno del 1995, in un garage di Via dell’Uguaglianza a Castrolibero, alle porte di Cosenza, nasceva il Quotidiano di Cosenza e provincia”.
Quella scelta, per quanto coraggiosa e azzardata sul piano economico, andava incontro alle esigenze di una parte della società calabrese, quella più desiderosa di fornirsi di uno strumento di lettura autenticamente indipendente e che era alla ricerca di una narrazione critica dei fatti in una regione complicata e difficile del Sud. Fino ad allora tanti territori del Sud erano conosciuti soprattutto per fatti criminali.

La nostra, allora, si rivelò un’idea vincente, supportata adeguatamente negli anni successivi attraverso un nuovo assetto societario; e la guida editoriale di un grande ed esperto giornalista come Ennio Simeone, permise al Quotidiano di essere presente prima in tutte le province calabresi e poi a partire dal 2002 anche in Basilicata.
In anni in cui ancora milioni di italiani si recavano ogni mattina ad acquistare i giornali in edicola, riuscimmo a raggiungere risultati straordinari che durarono nel tempo.

“La preghiera dell’uomo laico” negli anni è andata sempre di più affievolendosi ma noi, anche tra mille difficoltà, abbiamo continuato a resistere e fare informazione libera e di qualità attraverso la guida di grandi professionisti che hanno saputo interpretare i cambiamenti della società, trasmettendo la loro esperienza a molti giovani giornalisti, diventati in questi trent’anni punto di riferimento nei rispettivi ambiti di interesse.

La prima pagina dell’Altravoce

Per proseguire sulla strada dell’indipendenza e dell’autonomia e ogni qualvolta si è ritenuto necessario fare cambiamenti o caratterizzare la testata con la convinzione di allargare gli ambiti di diffusione – ricordiamo con particolare soddisfazione l’esperienza editoriale in Campania condivisa con un grande professionista come Gianni Festa – è stato fondamentale sperimentare e praticare nuovi percorsi, consapevoli che l’idea di un giornale, nelle sue varie declinazioni, ma fatto sempre con libertà e rigore, sarebbe stato premiato dal mercato.
Non sempre, però, ciò è avvenuto. A volte la visione non si trasforma in successo per motivi spesso anche esterni alla volontà aziendale, ma lascia segni importanti e nuove idee che sedimentano.

In questi lunghi anni abbiamo lavorato per cercare nuovi scenari che potessero produrre una vera e propria svolta. L’ultima, in ordine di tempo, risale al 2019 con la nascita de ‘L’Altravoce dell’Italia’, l’edizione identitaria del nostro giornale molto apprezzata soprattutto nel suo primo periodo di vita e poi fortemente penalizzata dalla pandemia, che ha impattato in maniera feroce sulla vendita dei giornali cartacei.
Negli ultimi tempi, davanti a scenari spesso funerei che riguardano tutta la stampa italiana, anche quella più blasonata, ci siamo spesso interrogati su come indirizzare le nostre scelte future, chiedendoci innanzitutto a quale lettore parlare, chiedere la sua attenzione. Ci siamo confrontati, abbiamo discusso a lungo, non trovando, però, riferimenti nell’informazione che a livello nazionale predilige ormai posizioni di parte, più simili al tifo da stadio con finte zuffe che offendono il lettore.

E partendo da queste nostre considerazioni pensiamo che sia arrivato il momento di fare una scelta ancora più coraggiosa di quelle fatte finora e speriamo vincente: vogliamo fare un giornale nazionale attento ai diritti di tutti, che racconti i fatti sforzandosi di darne una lettura inedita e attrattiva, andando a colmare quel vuoto di conoscenza dei fatti reali, che tanti lettori avverto no. Un giornale laico, riformista, liberale che dovrà sottrarsi alle polarizzazioni pseudoideologiche ed esprimere una forte indipendenza intellettuale, in una parola l’Altravoce.
Lo faremo con le nostre risorse, con progetti mirati in ambiti territoriali costruiti insieme a chi avrà voglia di unirsi a noi con l’entusiasmo che ci ha sempre contraddistinti.

La testata nazionale, che dialogherà con tutto il Paese senza più caratterizzazioni di stampo esclusivamente meridionalistico, si chiamerà ‘L’Altravoce’ – Il Quotidiano – ed avrà sempre edizioni locali, sotto la declinazione comune de ‘L’Altravoce’, che riporteranno l’originale e ormai storica dicitura “Il Quotidiano” con l’aggiunta della specifica area di diffusione: Cosenza, Reggio Calabria, Vibo Valentia, Catanzaro-Lamezia-Crotone, Basilicata, Puglia e Campania che potranno essere consultati anche sull’apposita e storica testata web.
Un ritorno alle origini e un tuffo nel futuro.

Uniremo la forza delle edizioni locali e il loro storico legame con i territori, con la novità di una edizione nazionale che ridarà, ne siamo certi, voglia di acquistare il giornale di carta o digitale ai lettori stanchi di troppa informazione stereotipata.

Per fare tutto questo abbiamo convinto un grande giornalista e intellettuale come Alessandro Barbano a buttare il cuore oltre l’ostacolo e ad assumere il ruolo di Direttore Editoriale.

Alessandro Barbano, 63 anni, leccese di nascita, è stato tra l’altro direttore e vicedirettore del Messaggero, direttore del Mattino, condirettore del Corriere dello Sport-Stadio, vicedirettore del Nuovo Quotidiano di Puglia e direttore del Riformista. Ha insegnato teoria e tecnica del linguaggio giornalistico, organizzazione del lavoro redazionale, sociologia delle comunicazioni di massa, retorica, linguaggi e stili del giornalismo, giornalismo politico ed economico in varie università italiane.
È autore di saggi dedicati a temi di carattere politico e sociale, ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il premio Bordin per l’informazione giudiziaria, assegnatogli dall’Unione delle Camere Penali.

Alessandro Barbano sarà affiancato da Massimo Razzi come direttore Responsabile, dal condirettore Stefano Regolini e dal vicedirettore Antonio Troise per l’edizione nazionale, da Roberto Marino per l’edizione Basilicata e Puglia, Rocco Valenti per l’edizione Calabria e da Gianni Festa per l’edizione Campania.
Beppe Smorto continuerà a svolgere la sua preziosa consulenza editoriale con un’attenzione sempre maggiore verso lo sviluppo digitale. Una presenza sul web sempre più capillare oggi rappresenta un passaggio fondamentale per la nostra testata.

Il nuovo Direttore Editoriale curerà anche la terza edizione del Festival Euro Mediterraneo dell’Economia – Feuromed, punto di riferimento del relativo dibattito pubblico, che si terrà a Napoli dal 13 al 15 marzo prossimi. Altri e prestigiosi eventi sono in cantiere per il prossimo futuro.

Nel ringraziare Alessandro Barbano per aver accettato la sfida, ringraziamo anche tutti i condirettori impegnati nelle varie edizioni e soprattutto il direttore responsabile Massimo Razzi, che con grande abnegazione sta svolgendo da quasi un anno un ruolo difficile e impegnativo.
Siamo grati, inoltre, a tutti i giornalisti impegnati nella realizzazione del giornale e alla componente amministrativa e poligrafica, che insieme a noi continuano a credere in quel sogno nato quel giorno di giugno di trent’anni fa. Uno straordinario anniversario che quest’anno vogliamo ricordare come merita, insieme a chi, a vario titolo, ha contribuito a scrivere questa importante pagina di storia.
L’augurio per questo importante traguardo, siamo sicuri, accompagnerà e darà forza e slancio anche al nuovo cammino intrapreso.

L’editoriale di Barbano

A Washington il presidente del Paese più importante al mondo promette una Gaza beach per pacificare il Medioriente, a Roma il presidente dell ‘Associazione nazio nale magistrati «invoca» l ‘omicidio dei due giudici per recuperare il consenso perduto dalle toghe nell ‘opinione pubblica. Le due esternazioni, diversissime per protagonisti, natura e contesti, tuttavia dicono una stessa cosa: l ‘iperbole è, in ogni dove, la malattia del dibattito pubblico. Il virus che la trasmette è un equivoco: l ‘idea fallace che il cam biamento avvenga con un eccesso della parola.
Ma quando la parola va fuori giri, non incide sulla realtà, e tutto resta come prima. Viviamo il tempo dell’iperbole. Per raccontarlo è richiesta una misura speciale.

È questo l’impegno che prendo con i lettori, assumendo la direzione editoriale di un giornale che da oggi cambia nome e veste grafica, e inizia una nuova avventura nel panorama dei quotidiani nazionali: ‘l’Altravoce” farà della misura la sua cifra. La misura è una virtù ambivalente. Da un lato persegue l’esattezza, che è un valore assoluto. Dall’altra incarna il compromesso, che è un risultato relativo. Così valorizza tutta l’intensità dei grigi di cui è fatta la vita di una comunità, e la stessa democrazia. Senza la misura, anche il coraggio della leadership smarrisce il compromesso con la realtà, e diventa al più esibizione o azzardo, o tutti e due.
In Italia c’è poca misura. La polarizzazione delle idee segna la politica e la società civile. Riduce la partecipazione al ricatto tra due opzioni contrapposte, ma in un certo senso simili. Perché figlie della stessa demagogia. Declina la complessità in complicazione. Incattivisce le relazioni tra cittadini e istituzioni. Il risultato è un Paese immobile, nel quale le riforme slittano e, se si fanno, risultano irrilevanti. Quando pure superano la trincea del conflitto politico e sociale, dietro la bandierina sventolata del cambiamento celano lo scambio tra la maggioranza e i gruppi di pressione, portatori di interessi in contrasto con quelli della collettività. Che siano i balneari o piuttosto i tassisti, i medici di base o gli agricoltori. La misura delle riforme in Italia cela spesso un bluff.

Ma anche la crisi dell’Europa è crisi della misura. L’ha aperta il pensiero liberale rivendicando diritti à gogo, come se questi crescessero senza limiti in natura e non avessero piuttosto un prezzo da pagare a qualcuno. Così, per fare un esempio, ci si è abituati a pretendere la libertà e la pace rinunciando a sostenerne i costi, le alleanze e gli investimenti militari necessarie a garantirle. Il dirittismo del pensiero progressista è una malattia della misura. Che fa prevalere i diritti a danno dei doveri, pone la democrazia in ostaggio delle minoranze organizzate, e finisce per aprire la strada alle destre. Ma le destre dimostrano di non avere più equilibrio dei loro rivali. Anzi, l’idea che l’Europa non serva a niente è del tutto fuori misura, ancorché sempre più diffusa nell’elettorato. Allo stesso modo lo è l’idea che, dopo l’elezione di Trump, tutte le istituzioni della democrazia liberale, come l’Onu o le Corti internazionali, siano da rigettare come inutili costruzioni ideologiche. Cresce, tra le classi dirigenti per così dire moderate, la convinzione che il primato della forza possa sostituirsi a quello del diritto, e che per un Paese come l ‘Italia le controversie internazionali vadano risolte alleandosi con il più forte. Così la legge del più forte trascina il realismo politico nel nichilismo del racconto per iperbole. Tutto questo per dire che la crisi della democrazia in Occidente è soprattutto crisi del suo racconto. Con un effetto paradossale: le classi dirigenti sono ostaggio della propaganda, che adoperano per coltivare il consenso e che ritorna loro amplificata dagli elettori a cui è rivolta.

Il giornalismo può spezzare questo corto circuito, se coltiva la misura insieme come esattezza e come compromesso, come verità e come dubbio, come sostanza e come metodo. Ho accettato con gratitudine e soddisfazione l ‘invito dell’Editore a cimentarmi in questa sfida, perché viene da un uomo appassionato che rispetta l’indipendenza e il valore dei giornalisti, e non persegue con i giornali scalate finanziarie o alleanze interessate con il Palazzo. Vuole piuttosto continuare a rappresentare, come fa da circa trent’anni, un riferimento culturale e civile per la comunità. Si tratta di una condizione essenziale per costruire l’Altravoce del Paese, un quotidiano che oggi torna in edicola anche a Roma cambiando il suo nome, il suo abito e il suo progetto. Da Quotidiano del Sud si trasforma in Quotidiano nazionale, perché non esistono le ragioni per rivendicare un ‘identità meridionale alternativa a quella del Paese di cui il Mezzogiorno è parte. Ma esistono molte ragioni per fare della misura qui descritta la cifra di un’alterità. Il nostro riferimento sarà quella parte di società che vuole restituire forma e spessore alla politica, ricostituire una pedagogia che rivaluti la funzione della delega, ricomporre la frattura tra poteri e saperi, rilanciare le competenze, coltivare doveri e ambizioni adeguati al rango di un grande Paese. In questa visione, la storia, che in questi giorni drammatici segna un’accelerazione inedita, non è un destino ma un processo da governare, dosando visione e realismo.

Maturare la coscienza dei tempi che viviamo vuol dire anzitutto tornare a sentirsi europei e occidentali, senza iattanza ma anche senza sensi di colpa, e tenere per buona la pregiudiziale liberale che distingue nettamente tra aggredito e aggressore, su cui sui fondano la civiltà del diritto e la pace. Questa distinzione non mancherà su queste pagine. Condivido la nuova avventura con un gruppo di valorosi colleghi, come Massimo Razzi, Stefano Regolini, Rocco Valenti, Roberto Marino, Antonio Troise, Beppe Smorto e Gianni Festa, tutti a vario titolo impegnati a coordinare una redazione generosa e competente. Con alcuni di loro è un ritrovarsi. Con altri uno scoprirsi dopo essersi più volte incrociati in quarantacinque anni di vita tra tante testate. Con tutti, al di là dei ruoli, sarà un gioco meraviglioso. Questo, si sa, è da sempre per noi un giornale.



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