Il ciclo di incontri “Posiamo le pietre?” nasce in occasione del Giubileo 2025 per riflettere sulla giustizia riparativa. È organizzata da Caritas Reggiana in collaborazione con Anfora – Centro di Giustizia Riparativa di Reggio Emilia. Per essere precisi nasce dall’incontro del nostro desiderio di fare qualche attività di natura culturale sul Giubileo con il desiderio di Anfora di stringere un legame più forte con Caritas e di sensibilizzare il territorio, dove è presente come Centro dal 2015. Da questo desiderio è nata l’idea di costruire un percorso congiunto che contestualizzasse la giustizia riparativa nell’orizzonte del Giubileo.
L’obiettivo degli incontri è proporre un momento di riflessione alla comunità/cittadinanza sul tema della giustizia, della riparazione, del perdono e della risposta al reato (della pena) declinandoli nella prospettiva della giustizia riparativa. Abbiamo però voluto farlo non con lezioni teoriche ma attraverso le narrazioni offerte da alcuni libri, coinvolgendo i loro autori e dando voce a come loro si sono lasciati interrogare da queste questioni: Massimo Zamboni, Paola Ziccone e Padre Guido Bertagna.
In occasione dell’ultimo appuntamento (2 aprile) avremo la fortuna di ascoltare la testimonianza diretta di due protagonisti del “Libro dell’incontro”: Padre Guido Bertagna che ha partecipato e condotto il lungo cammino dell’incontro come mediatore e Giorgio Bazzega, oggi mediatore del Centro di giustizia riparativa Anfora, che ha partecipato al percorso quale vittima di quelle vicende e di quegli anni così dolorosi.
Perché partire dalla giustizia riparativa?
Il Giubileo è un tempo di riconciliazione e perdono, valori che spesso abitano anche i percorsi della giustizia riparativa, che mira a ricostruire rapporti e dare speranza a vittime e autori di reati. Ci risuonava una profonda affinità tra la riflessione alla quale il Giubileo ci apre e l’approccio della giustizia riparativa. Nel progetto di Dio, per l’uomo non esiste la schiavitù, non esiste un debito che non si sconta mai; al contrario, la nostra società è sempre più giustizialista e dimentica della funzione di reinserimento attribuita alle pene e al carcere così come incapace di vedere le persone oltre le pene. Per questo motivo ci sembrava urgente e necessario proporre una riflessione sul senso profondo della giustizia.
Speranza e giustizia riparativa
La speranza, in questo contesto, significa la possibilità di trasformare il dolore in riconciliazione o almeno in occasioni di dialogo. Per gli operatori Caritas, significa vedere percorsi di cambiamento reali e possibili nella vita delle persone, soprattutto di quelle carcerate. Per chi aderisce ad una proposta di giustizia riparativa, significa avere un’opportunità di riparare in modo attivo e volontario al male che è stato generato da fatto criminoso e al tempo stesso scoprire che c’è una giustizia che sa riparare e non solamente punire. Dopo un reato o un fatto lesivo, sapere di poter riparare e di poter essere riparati è fondamentale, per autori, vittime e comunità. Risarcire e ripartire, ma anche la necessità di coinvolgere la comunità civile che ha bisogno di rispondere creando legami comunitari laddove c’è stata una sofferenza.
Speranza e detenuti
Per tenere insieme speranza e detenuti, dobbiamo pensare ad una responsabilità comunitaria (sia ecclesiale che civile), un impegno per creare ponti tra dentro e fuori il carcere. Lavorare all’interno delle strutture carcerarie per portare speranza attraverso l’ascolto, l’accompagnamento oltre che il sostengo materiale, ma anche con la formazione professionale, il teatro, le misure alternative… per trasformare il castigo da un tempo vuoto in un tempo significativo. Inoltre, significa lavorare fuori dal carcere, con le famiglie delle persone detenute, che spesso vivono situazioni drammatiche per supportarle e per aiutarle a mantenere le relazioni con chi è dentro. Ma anche lavorare con le comunità perché riflettano sul senso della pena e non si fermino al giudizio, ma siano capaci di riaccogliere le persone una volta terminata la loro pena e siano altrettanto capaci di lasciarsi interrogare sul perché è accaduto quel fatto e quale può essere la loro parte di responsabilità in questo.
Pregiudizi sulla giustizia riparativa
Le comunità spesso vedono questa pratica come un indebolimento della pena, mentre in realtà è un percorso di riconciliazione e di assunzione di responsabilità fortemente attivo e non semplicemente imposto o subito come accade con l’applicazione delle pene del sistema penale tradizionale.
Storie di speranza
I libri e gli autori ci narrano tre incontri che raccontano, partendo da prospettive e vicende diverse, tre storie profondamente personali.
Massimo Zamboni attraverso il suo libro “L’eco di uno sparo” racconta l’incontro con il suo (secondo) nome, lo stesso che aveva suo nonno fascista ucciso da due gappisti. Nel farlo ci consegna un cammino di incontro profondo con quella verità, un confronto aperto con la storia e il suo impatto nella nostra vita quotidiana ancora oggi. Ci lascia intuire che scoprire chi siamo dipende da noi, ma non solo; che immaginare un futuro è possibile, solo se sorretto da una responsabilità consapevole di ciò che è stato.
Paola Ziccone, direttrice del Carcere Minorile e del Centro di Giustizia Minorile, con il suo libro “Verso Ninive”, ci racconta di come si senta inevitabilmente chiamata alla speranza e di come l’incontro con la giustizia minorile le abbia “imposto” una responsabilità non solo professionale, ma prima di tutto personale e civile, perché tutto non finisca solamente con una pena.
Padre Guido e Giorgio Bazzega ci raccontano, invece, di come un periodo di terrore, di dolore irreparabile e di ferite profonde, possa condurre a qualcosa di inaspettato attraverso incontri difficili, inauditi, scandalosi e rischiosi; di come possa aprire uno sguardo su un futuro che è ancora da scrivere, a fronte di un passato che non si può cambiare. E quel futuro, in particolare per Giorgio, è stato proprio l’incontro con la giustizia riparativa di cui si è perdutamente innamorato a tal punto da voler intraprendere il percorso di formazione per diventare mediatore penale.
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