Ex Ilva, braccio di ferro tra gli offerenti. Jindal attacca: «Baku inesperta»

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Con l’esame delle nuove offerte da poco iniziato, Jindal International irrompe sulla scena e cerca di mettere ai margini il concorrente Baku Steel Company che viene dato in vantaggio.

Ieri fonti vicine al gruppo indiano hanno manifestato “sorpresa” nell’aver appreso dai media che la proposta rilanciata da Baku è piazzata meglio ed ha chance di vittoria. Jindal si definisce “consapevole della propria forza industriale e di come le proprie competenze ed esperienza nella gestione di impianti complessi come Ilva sarebbero fondamentali per garantire un futuro a Taranto e all’acciaio in Italia, così come è un fatto oggettivo la mancanza di esperienza di Baku Steel nella gestione di impianti complessi come Ilva, che richiede un background importante”. E Jindal, rispetto al concorrente dell’Azerbaijan, sostiene di possederlo e di averlo puro “dimostrato”. Per Jindal, “bisogna avere visione a lungo termine” per Acciaierie. E quindi, secondo le fonti del gruppo indiano, “sarebbe fondamentale avere nella scelta una visione a lungo termine e guardare agli investimenti che Jindal ha dichiarato per garantire la stabilità dell’Ilva e assicurarne la crescita per il bene dell’intera filiera siderurgica italiana”.

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Nessun commento ufficiale all’intervento di Jindal, ma quel che è certo è che non è stato interamente condiviso da più fronti. A margine si rileva che si tratta di una “mossa inopportuna, fatta peraltro ad esame delle offerte appena avviato” e di una “caduta di stile”. Non può – si rileva – uno dei contendenti ergersi autonomamente a migliore quando sono i commissari di Acciaierie e il Governo a dover dire quale è l’offerta più valida. Certo, è indubbio che Jindal sia più grande di Baku, che ha esperienza nel preridotto, visto che ha in cantiere uno stabilimento in Oman, e che ha dato alla sua proposta per l’ex Ilva (annunciati investimenti per 2 miliardi) un profilo più green. Ma Jindal, pur potendo rilanciare sino a venerdì scorso, è comunque quello che avrebbe offerto meno soldi per l’acquisto (circa 120 milioni contro i 500 milioni degli azeri) e meno occupati (6000 su poco meno di 10mila lavoratori attuali) ed è noto che i commissari, nelle loro valutazioni, devono tenere conto di tre aspetti: la decarbonizzazione, che è prioritaria come è scritto pure nel bando di vendita, l’occupazione e il prezzo. E quindi se su quest’ultimi due aspetti Baku ha già fatto una proposta più alta rispetto a Jindal, proponendo 7800 occupati, è evidente che molto importanti saranno il piano industriale e come (tempi, progetti, investimenti, risorse) si realizzerà la decarbonizzazione.

Si tratta quindi di vedere se le proposte presentate dagli azeri sul punto – al di là del fatto che Baku assicura il gas per la transizione e il passaggio dagli altiforni ai forni elettrici – sono adeguate o meno. Ha detto la scorsa settimana nell’audizione al Senato il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, che ad ottobre ha incontrato Naaven Jindal ei suoi manager a Palazzo di Città: «Gli azeri non sono bravi come gli altri a decarbonizzare. Oggi quindi siamo prudenti se sentiamo gli azeri. Hanno però un plus: la grande fornitura di gas, di energia a basso costo, che serve ad alimentare i forni elettrici. E su questi livelli il Governo deve agire perché domani, a fronte di una fluttuazione negativa dei mercati del gas, non vorremmo fermare di nuovo l’acciaio italiano».

Intanto stamattina alle 11 parte al ministero del Lavoro la trattativa Acciaierie-sindacati per rinnovare di un anno la cassa integrazione nel gruppo. Cassa chiesa per 2.955 dipendenti a Taranto. Improbabile che già oggi possa chiudersi la partita. Va detto che se a luglio 2024 al ministero del Lavoro fu trovato un accordo su un numero massimo di 4.050 cassintegrati nel gruppo, di cui 3.500 a Taranto – ma si era partiti da una richiesta di 5.200 di cui 4.400 a Taranto -, stavolta AdI chiede la cassa per 3.420 dipendenti. Rispetto a quella in corso, sono 630 in meno come numero massimo. Oltre ai 2.955 di Taranto, la sospensione temporanea dal lavoro interessa 465 dipendenti degli altri siti di AdI.

E i creditori di Acciaierie sono in attesa che il Tribunale di Milano trasmetta in queste ore i progetti relativi agli stati passivi. I termini per le domande scadevano ieri. «Nell’udienza del 5 marzo a Milano – dichiara l’avvocato Pier Francesco Lupo che assiste diverse imprese dell’indotto – si discutono le domande tempestive di insinuazione al passivo nei confronti della holding AdI e le domande tardive che riguardano i crediti vantati verso Acciaierie d’Italia e le sue quattro controllate, tutte quante insieme. I creditori sono in attesa di sapere l’esito delle istanze. Vedremo quante domande saranno. Non dovrebbero essere molte, a meno che non ci sia qualche credito rilevante. Circa il ricavato della vendita di Acciaierie ei crediti pendenti, va chiarito che i soldi della vendita non andranno tutti nell’attivo di AdI. La maggiore parte andrà nell’attivo di Ilva. AdI avrà solo una percentuale. Probabilmente, penso, il ricavato del magazzino, che vale 500 milioni. La tragedia è che Ilva deve ancora pagare i debiti di anni fa. Solo io assisto crediti del 2015 per circa 120 milioni».

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