La moda del lusso in Italia è in piena crisi, i grandi marchi sono sempre più imitati e si possono trovare borse a prezzi bassissimi
Negli ultimi anni, il settore del lusso ha vissuto una crescita senza precedenti, con prezzi delle borse e degli accessori che hanno raggiunto cifre astronomiche. Tuttavia, dietro al luccichio delle vetrine delle boutique di alta moda, si nasconde una crisi profonda che sta mettendo in ginocchio migliaia di piccole e medie aziende artigiane. La strategia dei grandi brand di aumentare vertiginosamente i prezzi ha generato un effetto boomerang, riducendo la domanda e costringendo i fornitori, i cosiddetti terzisti, a fare i conti con un crollo delle commesse.
L’impennata dei prezzi nel lusso ha avuto un impatto devastante sulla filiera produttiva. Modelli iconici come la Chanel Classic Flap sono passati da 2.800 a oltre 10.000 euro, mentre una Lady Dior oggi sfiora i 6.000 euro. Le Birkin e Kelly di Hermès hanno raggiunto valori pari a quelli di un immobile in provincia. Questa strategia di posizionamento ha allontanato non solo i consumatori “aspirazionali”, ma anche i clienti di fascia alta, che riconoscono l’assenza di un reale incremento del valore del prodotto. Il risultato è stato un calo delle vendite e una drastica riduzione degli ordini ai terzisti, con una conseguente crisi del settore produttivo.
Nel comparto pelletteria, il fatturato è sceso dell’8,4% e l’export ha subito un crollo del 9,7% nei primi nove mesi del 2024.
Dietro questi numeri si celano le storie di migliaia di artigiani e piccoli imprenditori che lavorano come terzisti per i grandi brand. Queste aziende, spesso a conduzione familiare, si occupano di trasformare materiali di alta qualità in borse, cinture, scarpe e accessori di lusso. Tuttavia, operano in condizioni estremamente precarie: i marchi impongono rigorosi standard di qualità, ma pagano cifre irrisorie per la manodopera. Molti imprenditori denunciano che una borsa venduta a 1.200 euro nei negozi viene pagata ai produttori appena 25 euro.
Questa dinamica crea una dipendenza economica dai grandi marchi, che dettano le regole del gioco senza preoccuparsi della sostenibilità economica dei loro fornitori. Il sistema dei terzisti, infatti, consente ai brand di ridurre i costi fissi e di mantenere la produzione in Italia per poter esibire il prestigioso marchio “Made in Italy”, senza però garantire condizioni eque agli artigiani che rendono possibile questa eccellenza. Gli effetti della crisi sono tangibili.
La dipendenza dai mercati esteri
Un altro fattore che ha contribuito al crollo del settore è la forte dipendenza dell’export. Il 70% della produzione italiana di pelletteria e moda è destinata ai mercati esteri, in particolare Cina e Stati Uniti. Il rallentamento dell’economia cinese ha causato una flessione del -28% delle esportazioni, mentre la Corea del Sud ha registrato un calo del -10,9%. Anche negli Stati Uniti, l’incertezza legata alla politica dei dazi della nuova amministrazione Trump potrebbe rappresentare un ulteriore ostacolo alla ripresa.
Secondo Claudia Sequi, presidente di Assopellettieri e Mipel, la crisi non è solo congiunturale, ma strutturale. La moda italiana è troppo dipendente dalle grandi maison straniere, che dettano le regole senza garantire stabilità ai fornitori. Le aziende italiane si trovano quindi esposte alle oscillazioni del mercato globale, senza strumenti per proteggersi. La soluzione, secondo Sequi, è una nuova politica industriale e fiscale che renda più competitive le imprese italiane e le aiuti ad attrarre produzioni di marchi di lusso accessibile, che attualmente vengono realizzate in paesi con standard qualitativi e di sostenibilità molto inferiori a quelli italiani.
Il futuro del settore: incognite e speranze
Le prospettive per il 2025 restano incerte. Il 74% degli imprenditori del settore moda si aspetta una ripresa solo nella seconda metà dell’anno, mentre il 19% prevede che la crisi si protrarrà fino al 2026. Solo un 7% delle aziende vede segnali di ripresa già nei primi mesi del 2025. Il governo italiano ha stanziato 250 milioni di euro per sostenere il settore, ma le misure finora adottate sembrano insufficienti per evitare ulteriori chiusure. Confindustria Moda e la Camera Nazionale della Moda hanno lanciato un appello alle istituzioni per adottare strategie di lungo periodo che garantiscano la sopravvivenza delle imprese artigiane.
Se la crisi della moda non verrà affrontata con politiche mirate, l’Italia rischia di perdere una delle sue eccellenze più riconosciute a livello mondiale. Senza un intervento deciso, il “Made in Italy” potrebbe diventare solo un’etichetta vuota, priva del valore artigianale che lo ha reso un simbolo globale di qualità. Il destino di migliaia di artigiani e piccoli imprenditori dipende dalle scelte che verranno fatte nei prossimi mesi: se non si troveranno soluzioni concrete, molte delle aziende che hanno fatto la storia della moda italiana potrebbero scomparire per sempre.
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