Il monologo “Volpe Marina”, scritto dalla Dott.ssa Federica Nastri, Psicologa Clinica, Criminologa, Pedagogista, Mediatrice Familiare e Formatrice, è tratto da una storia vera che l’ha ispirata, in quanto professionista della mente, in un lavoro di “visitazione” all’abbandono. Lo scritto è stato presentato la prima volta, lo scorso dicembre, in occasione dell’evento “Ascolta il Natale – ipogei”, nel suggestivo percorso nella Melfi sotterranea ideato e realizzato da “Officina Contemporanea”, ed ha conquistato il pubblico ricevendo un’ovazione calorosa e suscitando emozioni intense. Verrà riprodotto in occasione di molteplici incontri in quanto simboleggia non solo l’importanza della figura dello psicologo come guida nelle tempeste interiori: un faro a cui rivolgersi per chiedere aiuto, ricordandoci che nessuno dovrebbe affrontare da solo il mare burrascoso delle proprie emozioni, ma esaltando anche la libertà di mostrarsi nelle proprie fragilità.
Monologo: «Faccio visita al dolore, almeno ogni giorno. Lo faccio dapprima per natura, poi totalmente per scelta. Ho liberamente deciso di occuparmi della sofferenza umana, mia e degli altri. Quella sofferenza che non è evidente e perciò non sufficientemente degna di esistere, quella che non è troppo dolente da poter essere ascoltata, quella che non è mai abbastanza meritevole di cura profonda. Ho scelto questa di sofferenza perché c’è stato un tempo, in cui non ho trovato qualcuno che desse spazio alla mia. Da allora, nelle mie possibilità, ho lottato affinché nessuno si sentisse così sbagliato, così fragile, così solo. Far visita ai dolori degli altri, è diventata una battaglia contro i pesi che la vita da. “Addomesticando” i propri tormenti, insieme ai tormenti altrui, ci consente di vedere al loro interno, una bellezza inestimabile. “si è responsabili per sempre di ciò che si è addomesticato”, ci rivela la volpe, nel “il piccolo principe”, invitandoci a riflettere sulla cura e sull’impegno necessari per coltivare relazioni significative nella nostra vita, fatte di sostegno e complicità in un’epoca veloce, in cui ha importanza solo l’apparenza. Però ciò che conta davvero, non può essere percepito con la vista, ma solo compreso con il cuore. “ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale, è invisibile agli occhi”.
Qui affianco a me, c’è una foto che ho scattato qualche notte fa. Ma chi è, questo piccolo animale da montagna che un giorno, ha deciso di conoscere il mare? C’era una volta una volpe, che venne a farmi visita, su una spiaggia contornata da un cielo punteggiato di stelle, come se fosse agosto, eppure era appena dicembre. C’era una volta una volpe, che invece delle montagne, preferì scogli su cui arrampicarsi, e mare infinito in cui immergersi, decidendo di dar luce al buio di una notte invernale, nel modo più strambo e incoerente possibile. C’era una volta una volpe, dalla curiosità così forte da non riuscire a resistere nel giocare con me, sulla spiaggia contornata da un cielo punteggiato di stelle, a dicembre, arrampicandosi sugli scogli ed immergendosi in mare. La volpe, questa volpe, arrivò e rimase. Non andò via. Decise di esserci dentro, prima che affianco. Quello che risulterebbe ancor più folle, di questa “volpe marina”, è stato l’averla “immaginata” o forse attesa, su quella stessa spiaggia, in prossimità di quello stesso scoglio, soltanto pochi mesi prima indossando una vecchia t-shirt del “il piccolo principe”. Ecco, questo potrebbe essere il perfetto inizio di una novella inventa come metafora di chissà quale discorso psicologico rivolto alla “presenza” e alla “vicinanza” intesa come “meccanismo anti-abbandono”: supporto, sostegno, complicità. E lo è, assolutamente lo è, solo che non è inventata. Ma non potrò essere io a convincervi del contrario, né a raccontarvi ancora di un incontro che racchiude tanta meraviglia, e che ha ispirato me, come umile professionista della mente, a trarne una “cura”. Forse potranno farlo i miei pazienti, che soffrono l’abbandono ed il vuoto, proprio come lo soffro io. E che mi scelgono, consapevoli di quanto sia così parte di me, avendo perciò un obiettivo comune: proteggere la nostra straordinaria sensibilità. Purtroppo, il lavoro dello psicologo, per troppo tempo ci ha messi in una posizione in cui, ogni riferimento a sé, avrebbe causato chissà quale danno. Eppure, il vero danno è causato dall’idealizzazione di una figura a cui “affidarsi” creduta invincibile o esente da drammi. Ed io, come umana, donna, madre, bambina, figlia, amica, compagna, professionista, ho il dovere etico di mostrarmi sempre nella mia integrità, solo in questo modo posso essere ed esserci. Siate così liberi, da poter essere fragili. Grazie».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link