Una serata intensa e ricca di riflessioni quella che si è svolta il 16 febbraio scorso in Seminario di Faenza, organizzata dal Centro di Aiuto alla Vita in collaborazione con la Pastorale della Salute e l’area Giovani e Vocazioni della Diocesi. “Vita: speranza che non delude” è stata un’occasione per affrontare, con profondità e senza pregiudizi, temi complessi e delicati come la denatalità, l’aborto, la nascita di un figlio con disabilità e il fine vita. La serata, moderata dalla dottoressa Claudia Monti del consultorio familiare Ucipem di Faenza, ha visto come relatori Milena Grimolizzi, ginecologa presso l’ospedale di Forlì e la coppia afferente alla Papa Giovanni XXIII Maicol Lucchi e Francesca Ghetti (dottoressa palliativista). A stimolare le domande del dibattito diversi giovani che hanno partecipato, nel pomeriggio, a quattro laboratori tematici.
Denatalità: paura o difficoltà economiche?
La serata ha preso avvio con un confronto sulla crisi demografica che investe l’Italia. I dati parlano chiaro: il numero delle nascite è in calo costante da anni. Dal 2008 a oggi i parti si sono praticamente dimezzati”. La ginecologa Milena Grimolizzi ha sottolineato come, accanto alle difficoltà economiche, esista un’altra dimensione del problema: “C’è tanta ansia per il futuro, paura da parte della coppia, o di uno dei due, di perdere la libertà. Ma dobbiamo infondere speranza: quando ti lasci andare alla vita, la vita ti dà energia”. Serve un cambio di prospettiva, un recupero della fiducia nel domani e soprattutto un sostegno concreto alle famiglie, affinché chi desidera un figlio non sia frenato da timori e insicurezze. “Bisogna buttarsi – ha ricordato Grimolizzi – senza aspettare che sia tutto perfetto (la casa, il lavoro…) perché poi il tempo passa e l’orologio biologico non aspetta”. Servono politiche di maggior aiuto per le famiglie che hanno un bambino, “su questo la politica – ha concluso Grimolizzi – deve essere stimolata”.
“Le coppie devono imparare a dialogare e conoscersi davvero – ha aggiunto Maicol Lucchi – devono imparare a litigare e sicuramente il mostrarsi per come si è veramente dà fiducia e sicurezza. E il salto comunque, come in altri tempi della vita, bisogna farlo”.
L’aborto e le sue conseguenze sottovalutate
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Sul tema dell’aborto, la dott.ssa Grimolizzi ha ricordato che “la vita c’è una volta che inizia, e bisogna tenerne conto”. Ha sottolineato l’importanza di costruire relazioni solide, senza leggerezza, e di accompagnare le donne che si trovano di fronte a una gravidanza difficile: “Se ci riteniamo grandi e maturi per avere un rapporto, lo siamo anche per avere un figlio”.
Particolarmente significativo l’intervento della dott.ssa Francesca Ghetti, palliativista, che ha evidenziato le conseguenze psicologiche dell’aborto: “Si sottovaluta l’impatto che ha sulla vita della donna, non solo nel momento, ma anche dopo. Lascia una cicatrice, anche a livello mentale e psicologico”. Un dolore di cui si parla ancora troppo poco, ma che segna profondamente molte donne. Tra le alternative all’aborto, c’è quella di affidare il nascituro in adozione, e questo può essere fatto, anche in forma anonima, direttamente in ospedale.
Accogliere un figlio con disabilità: il ruolo della comunità
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Un altro punto centrale dell’incontro è stato il tema della disabilità. “L’aborto terapeutico è purtroppo molto diffuso quando si diagnostica una patologia al nascituro”, ha spiegato la dott.ssa Grimolizzi. Eppure, in Emilia-Romagna esiste una rete di servizi che offre supporto concreto alle famiglie. Il problema, come sottolineato da diversi relatori, è far sì che nessuno si senta solo davanti a una scelta così difficile. Serve una comunità accogliente, capace di farsi carico di chi si trova in difficoltà, offrendo sostegno e accompagnamento. Toccante è stata poi la testimonianza del dottor Angelo Gambi che ha raccontato l’esperienza di un nipote affetto da una rara sindrome. “Deve essere accudito sempre, ma è uno dei bambini che ho visto ridere e infondere gioia di più nella mia vita. Pur nelle difficoltà, ci dà tanta gioia”.
Fine vita: la dignità fino all’ultimo respiro
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Infine, il tema del fine vita. La dott.ssa Ghetti ha portato la sua esperienza di palliativista, raccontando la realtà degli hospice: “Quando ho iniziato a lavorare in ospedale, ho visto che quando arrivava un paziente per cui non c’era più nulla da fare, tutti sparivano. Questo mi ha interrogato e mi ha fatto scoprire il tema delle cure palliative”. Una medicina che, anche se non sconfigge la malattia, si prende cura della persona fino alla fine, entrando a contatto con la fragilità massima: “Nel dibattito sui social si tende a estremizzare il discorso sul fine vita, riducendolo a una scelta tra morire con dolore o scegliere l’eutanasia. Ma c’è tanto in mezzo: la medicina può e deve accompagnare il paziente fino alla fine senza causargli sofferenza”.
Le cure palliative non solo alleviano il dolore, ma creano un contesto di vicinanza e amore: “L’hospice è una casa, le stanze possono essere personalizzate, i pazienti possono ricevere visite anche di animali domestici… Ho visto famiglie riavvicinarsi accompagnando un genitore nel percorso di fine vita, persone che non si parlavano da anni ritrovarsi in quei momenti preziosi”. Tutto questo, in una scelta netta di eutanasia, non è possibile. Quello proposto dalla dottoressa Ghetti non è una rassegnazione alla morte, ma un prendersi cura dell’altro fino all’ultimo respiro. “Non possiamo aggiungere giorni alla vita, ma possiamo fare in modo che quei giorni siano pieni di luce”, ha concluso la dottoressa.
Una serata di comunità e condivisione
Il confronto si è rivelato una grande opportunità di crescita per tutti i partecipanti, specialmente per i giovani coinvolti nei laboratori del pomeriggio, che hanno avuto modo di porre domande e condividere riflessioni. Le parole chiave emerse sono state “comunità, rete, vicinanza, sostegno”. Segno che, davanti alle grandi sfide della vita, nessuno dovrebbe sentirsi solo.
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