Economia – Sergio Del Gelsomino, presidente della Cia Lazio Nord, racconta le criticità e i punti di forza del mondo agricolo nella provincia di Viterbo: “Eccessiva presenza di cinghiali e lupi sul territorio, l’unica soluzione è nel contenimento”
di Maurizia Marcoaldi
Viterbo – “Serve il riconoscimento del giusto valore del prodotto, necessario anche il controllo della filiera e della tracciabilità di tutti i cereali”. Sergio Del Gelsomino, presidente della Cia Lazio Nord, racconta le criticità e i punti di forza del mondo agricolo nella provincia di Viterbo.
Un quadro di insieme in cui vengono rimarcati dei punti fermi e degli obiettivi da raggiungere. “Serve il riconoscimento del giusto valore del prodotto. Il problema concreto fondamentale è che il prodotto all’agricoltore viene pagato poco e invece al consumatore ogni anno viene a costare sempre di più”, spiega Sergio Del Gelsomino.
E tra le prime battaglie da portare avanti c’è la tracciabilità. “Chiediamo un controllo lungo la filiera – spiega il presidente della Cia Lazio Nord -. Abbiamo fatto anche una petizione con una raccolta firme per il granaio d’Italia, che è un sistema che traccia tutti i cereali prodotti nel nostro paese e quelli che entrano dall’estero, che poi vengono trasformati”.
Sergio Del Gelsomino
Qualche giorno fa sono nuovamente scesi in strada gli agricoltori della Tuscia per portare avanti la loro protesta che già dall’anno scorso li ha visti protagonisti nell’attenzionare le problematiche del comparto agricolo. Quali sono secondo lei i problemi concreti che il settore sta vivendo e quali le richieste condivisibili o meno?
“Per quanto riguarda le loro proteste, abbiamo avuto diversi incontri anche con le varie associazioni che hanno manifestato. Alcuni punti li portiamo avanti da sempre, altri magari sono meno condivisibili come l’uscita dall’Europa.
Il problema concreto fondamentale è che il prodotto all’agricoltore viene pagato poco e invece al consumatore ogni anno viene a costare sempre di più. Ecco il perché delle nostre rimostranze: da noi il prodotto viene pagato pochissimo, al di sotto del costo di produzione per molti settori. È impossibile che il consumatore paghi di più e il produttore incassi di meno. Il valore aggiunto è tutto nelle mani della grande distribuzione e della trasformazione. Così all’agricoltore non viene riconosciuto il valore del suo lavoro.
Inoltre il mondo del latte ha ancora problemi per i prezzi bassi, sia per quanto riguarda quello bovino sia per quello bufalino. E ha incominciato ad avere le stesse criticità anche il latte di pecora, che ha mostrato quest’anno la prima discesa, dopo un 2024 con ottimi risultati.
Altro problema è che ogni anno i costi di produzione aumentano. Adesso ad esempio c’è stato un aumento che ha sfiorato quasi il 20% su alcuni tipi di concimi. Inoltre aumentano i costi dei macchinari. E il grosso problema ogni anno è la mancanza di liquidità perché le aziende soffrono e non riescono ad arrivare a fine anno per chiudere il bilancio in positivo o a pareggio. Così automaticamente anche questi Psr che stanno uscendo vengono guardati con difficoltà. Si sta ormai sempre più creando un’agricoltura a due vie: un’agricoltura che lavora con l’industria, e che quindi bene o male riesce a stare al passo; e poi ci sono i piccoli agricoltori, come nel nostro territorio con le tante piccole aziende, che sono in sofferenza.
Poi il comparto che sta soffrendo di più nella nostra provincia è quello delle nocciole per via delle gelate, la siccità e, ultimamente, anche per l’eccessiva presenza della cimice asiatica.
Noi, come Cia, siamo scesi già a ottobre 2023 in piazza a Roma per questi problemi, anche prima delle proteste degli agricoltori. Abbiamo fatto anche una petizione con una raccolta firme per il granaio d’Italia, che è un sistema che traccia tutti i cereali prodotti nel nostro paese e quelli che entrano dall’estero, che poi vengono trasformati. Si tratta quindi di un sistema che punta alla tracciabilità del grano, del mais e di tutti i cereali. C’era stato garantito dal ministero che quest’anno dal 2025 sarebbe stato applicato, ma in questo momento abbiamo notizie che ciò non verrà fatto. E, se non ci saranno cambiamenti in merito, siamo pronti, come Cia, a farci valere in tutte le sedi istituzionali”.
La cimice asiatica ha rappresentato, in particolare l’anno scorso, una grossa criticità per le nocciole. Dopo un tavolo regionale, si è poi deciso di intervenire con il lancio della vespa samurai, suo insetto antagonista. A che punto siamo in questo campo? Si sono ottenuti dei risultati?
“In questo diciamo che è stato raggiunto un piccolo risultato. Innanzitutto perché comunque è stato istituito un tavolo istituzionale, come avevamo chiesto anche noi all’assessore Righini e per questo lo ringraziamo. Un ringraziamento sia per aver creato l’occasione di un confronto sia perché sono state messe a disposizione più risorse per quanto riguarda il lancio della vespa samurai. È anche vero però che ci vorrà del tempo per avere dei risultati perché comunque questo insetto antagonista ci mette del tempo per consolidarsi all’interno di un territorio, cominciare a riprodursi e parassitare le cimici asiatiche. Però abbiamo iniziato e questo è fondamentale”.
E nell’anno che ci siamo lasciati alle spalle quali sono le produzioni che hanno riscontrato maggiori o minori difficoltà?
“Per la castagna è stata un’annata non eccezionale, anche se le criticità dovute al cinipide sono ormai alle spalle. La produzione che ha maggiormente tenuto è quella ortofrutticola, che dal viterbese fino a Tarquinia e Montalto di Castro è un nostro fiore all’occhiello.
Per i cereali il quadro è stato invece critico. Ogni anno diminuiscono le semine. La zona della Maremma era il granaio della Tuscia e oggi sta quasi scomparendo perché i prezzi sono rimasti fermi a trenta anni fa, con i costi di produzione che invece sono aumentati”.
A incidere nelle produzioni anche il cambiamento climatico…
“Il cambiamento climatico ormai è un dato di fatto con cui l’agricoltura si deve confrontare. Questo porta alla necessità di dover effettuare interventi sempre più veloci. Infatti mentre prima per le semine ci basavamo sulle stagioni, oggi dobbiamo assecondare in un certo senso il cambiamento repentino del tempo e usufruire velocemente delle finestre temporali che si aprono. Poi certamente per applicare tale sistema si va incontro a delle conseguenze perché bisogna agire velocemente in poco tempo e per farlo servono tecnologie avanzate. Ed ecco quindi che si va incontro all’aumento dei costi per l’agricoltore.
Bisogna prendere consapevolezza ormai che il cambiamento climatico sta anticipando o tardando la crescita delle diverse produzioni e su questo dovremmo interrogarci. La soluzione non è nelle mani del singolo, ma di tutti. Dobbiamo renderci conto che bisogna trattare meglio il nostro mondo, la nostra terra a tutti i livelli. Deve essere un cambio di passo non solo italiano o europeo, ma mondiale”.
La Tuscia è anche a rischio per quanto riguarda gli impianti fotovoltaici. Lei cosa ne pensa?
“Il rischio è che, se non ci viene posto un freno, gli agricoltori saranno costretti a dare i loro terreni per mettere i pannelli. Prima erano i pannelli a terra, e quindi con i terreni completamente tappezzati, oggi sarà l’agrivoltaico e quindi con i pannelli rialzati dove sotto si può fare agricoltura. Sempre considerando che per alcuni settori l’agrivoltaico può essere un’opportunità, come nella pastorizia. Però comunque bisognerebbe porsi dei limiti.
Il problema è che le multinazionali, come a Tarquinia, stanno prendendo migliaia e migliaia di ettari per mettere i pannelli. Però io non me la prenderei con gli agricoltori che vendono il terreno a queste multinazionali perché se gli agricoltori avessero avuto il giusto reddito non sarebbe successo.
Così però si va ad impattare su un territorio, sulla sua bellezza, sulle sue produzioni e anche sull’assorbimento dell’acqua da parte del terreno”.
L’altra spada di Damocle per la Tuscia è il deposito di scorie nucleari. La Tuscia è ancora tra le possibili aree idonee per ospitare il deposito di scorie nucleari. Quali i rischi che ancora corriamo?
“Noi, come Cia, abbiamo preso parte a qualsiasi manifestazione che c’è stata. Siamo contro il deposito di scorie nucleari e siamo pronti a far valere le nostre ragioni in qualsiasi momento. Questo perché purtroppo ancora vediamo che il pericolo è grande per la Tuscia. Siamo preoccupati perché vediamo che la politica sta guardando di buon occhio il discorso delle centrali nucleari.
Se un giorno ci fosse il nucleare pulito saremmo i primi ad esserne felici. Ma ad oggi non è così. E inoltre anche oggi veniamo a sapere dai telegiornali che nella guerra folle tra Ucraina e Russia si sta bombardando con i droni le zone vicino alle centrali. Questo ci deve far riflettere seriamente.
Bisognerebbe riflettere bene se mettere un deposito di scorie nucleari così vicino a Roma, la città più grande d’Italia e con più popolazione. Oltre che rovinare tutto il nostro territorio, fortemente a vocazione turistica, andremo anche ad impattare con la capitale”.
Le criticità sono emerse anche per quanto riguarda il contenimento e il controllo della fauna selvatica. Quali passi avanti sono stati fatti quest’anno?
“Purtroppo da questo punto di vista è stato fatto ancora poco. La fauna selvatica è un problema. I cinghiali causano danni alle produzioni, ma anche alle persone e alle macchine lungo le strade. E poi la maggior parte degli agricoltori non denuncia più neanche i danni perché hanno visto che il danno viene coperto in piccolissima parte e dopo diversi anni. Quindi rinunciano in partenza.
E l’altra criticità che sta aumentando giorno dopo giorno è la presenza dei lupi sul territorio. La presenza dei lupi nella nostra provincia è ormai segnalata in quasi tutti i comuni. Poi la maggiore presenza è nella zona di Blera e la Maremma. Calcoli che ci sono tanti agricoltori che stanno valutando un nuovo sistema di allevamento, ossia non più all’aperto ma passando alla stabulazione fissa e quindi creando stalle chiuse dove gli animali vivono lì dentro per salvaguardarli dai Lupi e dai cinghiali.
Inoltre la paura è che il lupo, con gli incroci dei nuovi esemplari provenienti dall’est, possa proliferare ancora di più, rischiando così di avere fra 4/5 anni una popolazione raddoppiata o triplicata sul territorio.
Credo che l’unica soluzione, per i cinghiali e per i lupi, sia nel contenimento. Ogni specie è un bene per il territorio, ma nella misura adeguata. Ad oggi nel nostro territorio c’è il doppio della popolazione di lupi che ci dovrebbe essere. E questo succede anche perché stiamo sempre più abbandonando il territorio di collina e così il lupo, non trovando nulla, scende sempre più a valle. Per questo come Cia sosteniamo da anni che non si possono lasciare i territori svantaggiati, come quelli di collina, chiudendo le aziende e lasciando terreni abbandonati”.
Quali sono le prime battaglie da portare avanti concretamente in questo 2025? Quali i primi obiettivi da raggiungere?
“Il primo obiettivo da raggiungere è quello di far riconoscere per alcune produzioni il giusto costo di produzione. Su questo è giusto che il governo faccia una scelta ben chiara, con il riconoscimento del giusto valore del prodotto.
Speriamo inoltre che siano più clementi le stagioni. E magari cercando di capire come affidarci alla scienza che sta creando piante che resistono ai vari patogeni e producono un pochettino di più.
Chiediamo inoltre un controllo lungo la filiera, con un controllo dei costi e di dove va il valore aggiunto. Come Cia siamo sempre presenti per pretendere la tracciabilità del prodotto e stiamo al fianco di qualsiasi agricoltore che protesta per la dignità del settore”.
Maurizia Marcoaldi
17 febbraio, 2025
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