«Ricorriamo alla magistratura per fermare l’assalto eolico al paesaggio della Sardegna»

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Perché il Comitato scientifico Insularità in Costituzione ha presentato una denuncia alle Procure della Repubblica sarde contro i progetti eolici?

Maria Antonietta Mongiu (archeologa ed ex assessora regionale alla Cultura): «Perché il fondamento stesso dell’insularità è la Sardegna. Prima, durante e dopo la modifica della Costituzione abbiamo organizzato conferenze tematiche sulla tutela del paesaggio o dei paesaggi. Ciò che oggi sta accadendo nell’Isola vìola il patto per le future generazioni con una devastazione su larga scala: è illegittimo. Siamo per la transizione energetica e di supporto alle istituzioni, ma pensiamo che sia doveroso passare sotto la lente i procedimenti autorizzativi, a partire da ciò che chiama in causa tutta la filiera amministrativa, non solo quella politica. Era necessario un esposto al potere giudiziario affinché mettesse in atto le azioni per individuare i responsabili, per accendere un faro su chi non ha osservato le norme europee e quelle costituzionali, dalle convenzioni europea del paesaggio e di Aarhus sino ai principi della Costituzione. Siamo stati anche sentiti dalla polizia giudiziaria su delega della Procura della Repubblica di Nuoro».

Giuseppe Biggio (ex direttore del Servizio regionale di Pianificazione paesaggistica): «In questa vicenda c’è la mancanza totale del rispetto di principi fondamentali della Costituzione e degli accordi europei. La convenzione di Aarhus stabilisce dei cardini per la tutela dei cittadini: il diritto ad accedere alle informazioni di carattere ambientale in possesso delle Amministrazioni; il diritto a partecipare e condividere le scelte che hanno ricadute ambientali; il diritto a poter ricorrere nel caso i primi due punti non vengano rispettati. È stata sottoscritta da 47 Paesi, Italia compresa. Nel 2006 lo Stato italiano ha approvato il decreto 152 che introduce la Valutazione ambientale strategica (Vas). Cosa dice? Si basa sugli stessi principi fondamentali di Aarhus. Stabilisce che il proponente presenta un progetto o una pluralità di idee e la popolazione della zona su cui ricadono ha un ruolo fondamentale nella scelta, è obbligatorio coinvolgerla. È evidente che se manca a monte questo passaggio fondamentale di garanzia della pubblica condivisione ciò che ne consegue a cascata è inefficace. L’articolo 11 dice che in mancanza di Vas l’atto è sempre annullabile. L’Europa non ha mai consentito di derogare ai principi fondamentali, invece l’ha fatto il decreto Draghi che impone una corsa sregolata alle energie alternative. Come possono questi principi fondamentali essere soverchiati da un interesse privato? Ecco un esempio concreto: il decreto di giugno 2024 del ministro Pichetto Fratin stabilisce che la Sardegna entro il 2030 deve produrre almeno 6,2 gigawatt da fonti rinnovabili, più o meno tre volte il fabbisogno regionale. È un cronoprogramma e come tale avrebbe dovuto seguire il processo della Vas, quindi può esser annullato anche oggi».

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Giuseppe Pulina (Prorettore Università di Sassari): «I principi difendono i valori, l’Unione europea e la nostra Carta costituzionale assimilano il territorio a un soggetto debole, perché è una stratificazione di memorie e non un luogo dal quale estrarre valore economico a scapito delle generazioni future. In Sardegna sono stati censiti 258 paesaggi agrari locali, tessere finissime che compongono il mosaico. Non possono essere sconvolti da interventi permanenti che portano a un’alterazione. Si sarebbe dovuta studiare a fondo questa trama per individuare l’eventuale compatibilità paesaggistica e ambientale con gli impianti di energia rinnovabile. Semplicemente non è stato fatto perché il piano paesaggistico regionale non è stato esteso alle zone interne. In una situazione del genere prende corpo il vandalismo culturale. Fortunatamente le norme che sono in campo ci consentono di proteggere il soggetto debole: il paesaggio».

Gianvalerio Sanna (ingegnere ed ex assessore regionale all’Urbanistica): «L’approccio a questa tematica da parte del comitato scientifico è iniziato con la richiesta di estendere il Ppr alle zone interne. La nostra è una scelta precisa perché racchiude tutti gli elementi concettuali del cosiddetto diritto comunitario, fra i quali il principio di precauzione. Cos’è? La prevenzione dell’irreversibilità, perché ciò che diventa irreversibile al 90 per cento è dannoso. Il Codice Urbani lo precisa: le norme della pianificazione paesaggistica non sono derogabili da piani o programmi anche settoriali, e il piano energetico lo è. Come Regione a Statuto speciale deteniamo la competenza primaria nella disciplina della materia paesistico-ambientale. Lo ribadisce la Corte costituzionale. Quindi siamo andati ad approfondire la tenuta giuridica della nostra tesi, che era anche un’offerta di sostegno – rifiutata – al governo regionale per la salvaguardia delle sue prerogative. Se si rischia il disastro ambientale, l’unico soggetto che può verificare la correttezza delle istruttorie dei singoli progetti è l’autorità giudiziaria, le Procure possono accertare se queste procedure hanno un presupposto costituzionale. Il nostro esposto è un soccorso straordinario alla tutela del territorio».

Un esempio concreto di “ricaduta sull’ambiente talmente impattante da sconvolgere il territorio”?

Mongiu: «Il paesaggio del monte Arci che ha a fior di pelle i nuclei generativi di ossidiana più importanti del Mediterraneo e d’Europa. Lì furono autorizzate pale eoliche che non sono mai entrate in funzione, uno sfregio rimasto senza colpevoli, quella porzione di Sardegna è mutata in paesaggio post industriale senza essere passato per la programmazione industriale. Ma se un cittadino apre una finestra non autorizzata sul terrazzo finisce subito davanti a un giudice».

Biggio: «Quali sono i terreni maggiormente aggrediti dagli impianti fotovoltaici? Ovviamente quelli più fertili in pianura, penso al Campidano, soluzione più semplice e meno costosa che cancella il fulcro della civiltà agricola. È un effetto della mancata programmazione. A Macchiareddu invece i terreni destinati alle attività industriali sono stati coperti di pale eoliche e pannelli provocando un danno evidente: sono stati sottratti alla produzione vera e propria delle aziende nonostante l’urbanizzazione e l’infrastrutturazione pagata con i soldi dei contribuenti».

Pulina: «Perché a Roma non posso tirare su un grattacielo? Perché quello skyline, quel valore visivo, è salvaguardato. Invece l’altopiano di Campeda, che con i Meriagos ha uno dei paesaggi più caratteristici della Sardegna, ha lo skyline rotto da una serie di pale eoliche che lo alterano irrimediabilmente. La Nurra è stata totalmente sfigurata da una post industrializzazione con le fonti rinnovabili. Una puntualizzazione sull’agrivoltaico è doverosa: non può e non deve mai oscurare la produzione principale di un’azienda, andrebbe collocato sui tetti, sui capannoni. Se passasse l’idea delle capre che pascolano sotto i pannelli o le api che convivono con le isole di calore prodotte dagli impianti, tutto senza uno studio, i campi diventerebbero il cimitero della biodiversità».

Sanna: «Andava detto con lealtà ai sardi che in questo momento non esistono le reti per trasferire fuori dall’isola il surplus di produzione. Oggi guadagna solo chi incassa le royalties per lo scambio sul posto, anche se l’energia non sarà utilizzata, la speculazione punta solo a questo. E poi 6,2 gigawatt è il minimo che dobbiamo produrre, il massimo sono le oltre 800 domande di nuovi impianti: dove ci vogliamo fermare? Il danno c’è, i cittadini lo possono valutare».

Pensate che un’iniziativa del genere, con il riesame di tutte le concessioni, sia compatibile con i tempi della giustizia?

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Mongiu: «In dieci abbiamo firmato questa denuncia, tanti altri l’avrebbero potuta sottoscrivere. Abbiamo fiducia assoluta nella magistratura, e ci preoccupa che il procuratore generale Patronaggio all’inaugurazione dell’anno giudiziario parli del rischio di infiltrazioni mafiose negli investimenti eolici. C’è l’interesse della Sardegna al centro del nostro esposto, un ragionamento di un gruppo di cittadini al di là degli schieramenti politici. Quante infiltrazioni ci sono? Dove? Penso che il disastro sia già in corso, ma riusciremo a fermarlo».

Biggio: «Abbiamo toccato con mano la mobilitazione popolare dei sardi nei confronti di questi problemi, confido nella magistratura che è sicuramente in grado di cogliere la portata dell’esposto. Il paesaggio è l’insieme delle trasformazioni che l’uomo ha apportato alla natura, come è possibile che possa essere stravolto da meri interessi privatistici? La portata di questo esposto merita una corsia preferenziale per bloccare i danni sul territorio».

Pulina: «L’esposto entra a gamba tesa in un dibattito polarizzato dai pregiudizi. È un insieme di domande incardinate in una procedura che difende il valore del paesaggio con i capisaldi giuridici. Si dovrà aprire una nuova stagione con un dibattito sui fatti. Non sono state seguite le procedure, perché? Ci sono delle responsabilità?».

Sanna: «Il contenuto stesso del ricorso è la cifra della fiducia che abbiamo nella magistratura. Suggeriamo l’ipotesi del disastro ambientale, che lega i funzionari alle loro responsabilità, cancellate invece dall’abolizione del reato di abuso d’ufficio».

Chi ha commesso errori? Il ministero, la Regione, i Comuni?

Mongiu: «C’è un punto in cui ciascuno di noi raggiunge il massimo di incompetenza possibile e, per non ammetterlo, si gira dall’altra parte. È compito dei funzionari dell’amministrazione pubblica restare su binari legittimi senza essere soggetti al potere del politico di turno, invece spesso il tratto distintivo è l’ancillarità».

Biggio: «La politica ha sicuramente le sue responsabilità, ma i tecnicismi competono alla struttura amministrativa. C’è sempre un responsabile che dichiara la legittimità di un atto».

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Pulina: «Bisogna capire chi è stato l’inquinatore dei pozzi. La colpa storica sta negli alfieri della bugia, chi spaccia per necessità – vale anche per una certa idea di energie rinnovabili – quella che necessità non è».

Sanna: «Il Governo per colmare il suo ritardo ha scaricato sulle Regioni un decreto che in nome della semplificazione erode i diritti. Le Regioni hanno anche loro una responsabilità perché dovevano valutare gli effetti del decreto che stabilisce la quantità di energia da produrre e non l’hanno fatto. In questo percorso non si annida solo la speculazione – che in qualche modo è tutelata – ma anche gli affari che percorrono la stessa strada.

Enrico Fresu

Paolo Paolini

Roberto Ripa

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