Potere Donà, la manager che non riesce a perdere un festival

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Nelle foto appare un podio tutto maschile, ma dietro le quinte il dominio è suo, Marta Donà, nipote di Adriano Celentano e Claudia Mori, guida artistica nelle carriere dei Maneskin, Marco Mengoni e Angelina Mango, tutti primi a Sanremo negli ultimi anni. Domina la scena con Caterina Caselli. Il suo fiuto nella scoperta dei talenti. La strategia. Le accuse di conflitto di interessi

Il podio di Sanremo è tutto maschile, anzi no. Il timbro sulla vittoria lo ha messo ancora una volta Marta Donà, per tutti “la Tarma”, anagramma de “la Marta”. Una donna per l’appunto, anche se di fronte alla sala stampa i tre artisti sul podio, oltre a sottolineare la loro non-patriarcalità, hanno spiegato come la vera classifica arriverà dai brani trasmessi dalle radio nei prossimi mesi: consolazione amara per le tante artiste in gara. Ma se il pubblico non premia le interpreti, il tocco femminile nel management lascia il segno.

Donà non è nuova al successo, anzi. Si è portata a casa la gran parte degli ultimi festival con i suoi: i Måneskin nel 2021, Marco Mengoni nel 2023, Angelina Mango nel 2024 e ora Olly. È la nipote di Adriano Celentano e Claudia Mori. Con questa nuova vittoria – e una nuova sfida all’Eurovision, ammesso che Olly dopo essersi preso il tempo che ha chiesto alla Rai per decidere scelga alla fine di partecipare – consolida la sua posizione di migliore lettrice della nuova scena musicale italiana.

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Neanche quarantenne, sembra aver bene in pugno il testimone di una staffetta strappato a una generazione di agenti più grandi. Insieme con un’altra signora della canzone, Caterina Caselli, in circolazione da qualche anno in più: anche la sua Sugarmusic quest’anno non ha deluso, portando al secondo posto quel Lucio Corsi descritto alla vigilia del festival come outsider e alieno. Un traguardo tutt’altro che banale, considerato il pubblico nazionalpopolare del festival.

Ma mentre Caselli fa il suo gioco con nomi rilevanti come Motta e Madame, Donà sembra avere un fiuto fuori dal comune per scovare chi si muove sotto i radar dell’industria discografica, ma in grado potenzialmente di conquistare l’intera platea del pubblico sanremese. Per altro, con scelte non sempre in linea con il classico pezzo “da festival”, ma sapendo scartare anche sui pezzi di un gruppo rock, una cumbia ritmata o, stavolta, una trap-ballad che è riuscita a sorpassare due cantautori dalla scrittura non banale come Brunori Sas e Corsi. 

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La strategia

Tra addetti ai lavori segnalano la sua capacità di annusare quanto di buono c’è fuori dai canali tradizionali – su tutti Spotify come nel caso di Olly, e sui social network – proponendo le condizioni migliori per lavorare in tranquillità e crescere.

Ma tenere gli occhi ovunque non è banale. A cogliere il punto nella conferenza stampa finale è stato Dario Brunori, spiegando come Sanremo sia un amplificatore incredibile che premia anche «percorsi più lunghi, che non passano necessariamente sotto i riflettori». Insomma, ci sono «tante modalità di arrivare al pubblico», ma non è scontato che tra l’artista e la platea ci sia chi coglie quel talento. 

«Ce ne sono tanti sui social che si propongono, non è che tutti finiscono per vincere Sanremo» racconta chi frequenta l’industria. Conta ovviamente anche la maggiore affinità generazionale con i nuovi talenti, dicono. E una buona capacità di organizzare la squadra intorno agli artisti: scegliere i brani giusti non è scontato, come anche individuare la migliore strategia di promozione o gli autori per testo e musica più adatti ad affiancare gli artisti. Måneskin e Olly stesso scrivono i loro brani, il che rende doppiamente complesso il percorso per individuare chi possa affiancarne il talento senza snaturare le loro intuizioni.

Ma le ombre non mancano. Per dirne una (e la più cupa), il fatto che Donà lavori anche con Alessandro Cattelan. Il conduttore quest’anno era al timone della corsa delle nuove promesse e anche del prima-festival, donaizzando definitivamente l’edizione: per alcuni degli osservatori, un conflitto d’interessi bello e buono, considerati i canali di visibilità di cui dispone l’ex volto di X Factor. Una questione sollevata anche in chiusura del festival, a cui Carlo Conti ha replicato senza battere ciglio: «Non guardo chi ha scritto il brano, per questo capita che alcuni nomi ricorrano, non guardo la fedina penale dell’artista e soprattutto non guardo il management». Un commento che al di là della polemica sulla vicenda del rapper, indagato ma per la Rai innocente fino al terzo grado di giudizio, è tutto un programma. 

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