Piano di controllo del Colombaccio? No, grazie • IoCaccio.it

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Non sapevamo che i colombacci fossero un problema da eradicare fino a qualche giorno fa, quando ho saputo della decisione drastica presa da una regione italiana: dare inizio agli abbattimenti in controllo di questa specie. In Emilia-Romagna è stato infatti approvato un piano di controllo quinquennale che prevede l’abbattimento di 11.000 colombacci all’anno. Di fatto, togliendo questo animale da quelli di elevato interesse venatorio e affiancandolo ad altre specie “problematiche” come piccione e cornacchia.

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Il colombaccio è una calamità? Analizziamo la questione

Attivare il controllo di una specie di interesse venatorio è già di per sé un’azione tutt’altro che frequente; questo perché è sempre più comodo e sensato lasciare più libertà ai cacciatori che attivare un piano di controllo con tutte le difficoltà e i lunghi travagli burocratici che esso richiede. La decisione dell’Emilia-Romagna mi lascia stupito e perplesso per numerose ragioni che provo a condividervi.

Innanzitutto, la motivazione di questa presa di posizione è l’elevato numero di danni che essi apportano alle colture, ma nelle pubblicazioni fatte dalla regione in questione vi sono numerosi grafici che non lasciano molti dubbi su chi sia il principale artefice dei danni alle colture tra colombaccio e piccione. Il danno causato dai colombacci dal 2016 al 2023 è stimato in poco più di 240.000 euro contro un danno di 1.000.000 di euro del piccione. Non voglio entrare nel merito del metodo utilizzato per distinguere i danni di queste due specie perché non è stato comunicato e quindi parlerei per ipotesi e probabilmente non ne parlerei bene, perciò, atteniamoci con fiducia ai dati forniti. Seguendo il buon senso verrebbe da pensare che avrebbe più logica accanirsi sui piccioni che sul colombaccio, ma a quanto pare la giunta regionale in questione ha usato altri metodi di giudizio dimenticandosi il buon senso.

Su che dati si è deciso di abbattere 11 mila colombacci all’anno?

Altro aspetto che lascia abbastanza perplessi è il fatto che si parli di popolazione europea senza il minimo accenno a quella nidificante in Italia. Che gli individui presenti in Europa siano stimati tra i 51 e i 73 milioni è ben poco rilevante se si sta programmando un intervento su scala regionale. Per attivare il controllo su una specie non si possono considerare soltanto i danni, va anche valutata la consistenza di quella popolazione con sguardo locale, la sua capacità di resistere e reagire al danno infertogli e così via. Tutte queste stime passano attraverso dati che nel documento fornito non compaiono. Per quanto ne sa chi scrive, le coppie svernanti nel nostro paese sono tra le 40 000 e le 80 000; questo significa che il controllo mira ad eliminare tra l’8% e il 14% della popolazione nazionale; facendo una proiezione sui cinque anni diventerebbe tra il 35% e il 70%. Eliminare percentuali simili di una popolazione è un intervento enorme che non può essere preso alla leggera. Ma allora su che base sono stati ipotizzati certi numeri? Si è ipotizzato un prelievo di 11.000 capi perché si è calcolato il 15% del carniere annuale. Dobbiamo però ricordarci che stiamo parlando di un uccello migratore che modifica enormemente i suoi numeri durante l’anno e in particolare durante la stagione venatoria. Autorizzarne il prelievo in altri periodi dell’anno mette al centro del provvedimento proprio la popolazione stanziale che, come accennato, non conta milioni di individui.

Dove sono le associazioni ambientaliste e dove è finita la prudenza di ISPRA?

Quello che io mi domando a questo punto è dove siano in questo momento tutte le associazioni ambientaliste. Quelle stesse associazioni che sono sempre pronte a formulare rigidi ricorsi quando i cacciatori chiedono di anticipare di una settimana l’apertura della caccia a questa specie o ad altre o provano ad aumentarne il carniere. Questa credo sia la prova non necessaria del fatto che il loro interesse riguarda la sola lotta contro la realtà venatoria. Perché se veramente avessero a cuore gli animali, il loro benessere e la loro sopravvivenza si farebbero sentire in queste ore e farebbero di tutto per bloccare questo folle provvedimento che promette di uccidere migliaia di colombacci.

Altro protagonista di questa vicenda che non ne esce particolarmente bene è l’ISPRA. Esso è ormai famoso nel mondo venatorio per i suoi pareri che puntano sempre alla spropositata difesa di tutte le specie e di tutti gli individui a esse appartenenti secondo una politica che mira sempre a diminuire i prelievi e le tempistiche proposte dai cacciatori. Tuttavia, in questo caso sembra che l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale abbia messo da parte l’attenzione per la protezione ambientale dimenticandosi di fare ricerca e di partire da basi scientifiche come se questi capi saldi fossero tali solo quando si tratta di limitare l’attività dei cacciatori.

Perché non aumentare il prelievo venatorio?

Altro aspetto che vorrei analizzare sono le restrizioni che attualmente caratterizzano la caccia al colombaccio in questa regione. Innanzitutto, consideriamo che il carniere giornaliero è di quindici capi. Un carniere più che soddisfacente, ma ampliabile se l’alternativa è quella di far abbattere 11 000 individui. Perché limitare i cacciatori e poi firmare un piano di controllo? La preapertura che in altre regioni viene praticata da decenni in Emilia-Romagna è stata autorizzata solo da pochi anni. Non sarebbe meglio lavorare su questi aspetti prima di procedere con un piano di controllo come se stessimo parlando di volpi o nutrie?

In conclusione, ho spesso scritto righe infuocate contro alcune abitudini del mondo venatorio, puntando spesso a ridurre i carnieri, ma sono anche solito mettere al centro la scienza e la salvaguardia delle specie e in questo provvedimento vedo solo un grosso torto fatto ai cacciatori di colombacci della regione Emilia-Romagna, alla popolazione di colombacci italiana e soprattutto alla scienza. Questo provvedimento crea un precedente di ingiustizia e dimostra ancora una volta come purtroppo la gestione ambientale e faunistica sia in mano a persone inadatte e poco lungimiranti e che gli schieramenti politici e ideologici vincono costantemente sul buonsenso.

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