Ahmed attribuisce alla Rsf la responsabilità del saccheggio del Museo Nazionale. Prima di scomparire alcuni oggetti sono stati temporaneamente conservati in un villaggio vicino al confine. Dopo non molto, riferisce Ahmed, sono stati scoperti in vendita sul mercato nero oggetti come gli antichi ushabti, statuine funerarie egizie. «Stiamo aspettando la liberazione del museo, prosegue l’archeologo, in modo che il nostro personale possa andare a controllare esattamente che cosa è stato perso».
Non si è trattato di un incidente isolato. I rapporti della Sudan Heritage Protection Initiative, lanciata nel 2023 dall’Ong spagnola Heritage for Peace, mostrano che diversi musei hanno subito danni: tra questi, il Museo Etnografico, il Museo Militare e il Museo del Palazzo Repubblicano a Khartum, il Museo Nyala nel Darfur, il Museo del Palazzo Ali Dinar a El Fasher e il Museo del Sultano Bahreldin a El Geneina.
Dopo la riconquista da parte dell’esercito di Omdurman, appena a ovest della capitale Khartum, i colleghi di Ahmed che hanno visitato il Museo della Casa del Califfo l’hanno trovato «completamente saccheggiato». Nel frattempo, racconta ancora Ahmed, un video ha ripreso dei soldati dell’Rsf all’interno del Museo Wad Madani, a circa 200 km a sud di Khartum; l’esercito ha riconquistato la città il mese scorso e Ahmed è in attesa di aggiornamenti dopo un’ispezione del museo. Le notizie sulla situazione nel centro di Khartum, sede di importanti edifici storici e archivi, sono limitate, prosegue l’archeologo.
Un portavoce dell’Unesco riferisce che le notizie di saccheggi e danneggiamenti preoccupano molto l’organizzazione. Dall’agosto 2023 all’agosto 2024 il Fondo di emergenza per il patrimonio dell’Unesco ha sostenuto cinque musei archeologici con misure di emergenza, tra cui la messa in sicurezza delle collezioni, la preparazione di rifugi sicuri e l’inventario e la digitalizzazione di oltre 1.700 manufatti. Ma monitorare i musei e i siti archeologici è diventato sempre più difficile, lamenta Ahmed; molti membri dello staff dell’Ncam sono sfollati e i fondi per le guardie sono insufficienti. «In molti dei siti abbiamo scavi illegali. Molte persone sono state sfollate, pertanto le aree si sono sovrappopolate». Una delle conseguenze di questa situazione, aggiunge, è che si stanno costruendo case su siti contenenti antichità «e ci sono anche molte persone che scrivono graffiti sui monumenti».
I due siti archeologici dichiarati dall’Unesco patrimonio mondiale si trovano nel nord. I siti dell’isola di Meroe (VIII secolo a.C.- IV secolo d.C.) erano il cuore del Regno di Kush e comprendono piramidi, templi, palazzi e aree industriali. Gebel Barkal e i siti della regione di Napata, che si estendono per oltre 60 km nella valle del Nilo, rappresentano le culture di Napata (900-270 a.C.) e Meroitica (270 a.C.-350 d.C.) del secondo Regno di Kush, con tombe, piramidi, templi, tumuli e camere funerarie, nonché complessi residenziali e palazzi.
Il portavoce dell’Unesco afferma che sono state effettuate valutazioni dei danni e dei rischi sia in queste due aree che in altri siti storici, i cui risultati però non sono stati resi noti. Ahmed cita due episodi di scavi illegali vicino a Meroe: il tentativo di rimuovere una statua leonina, fortunatamente sventato, e gli scavi di tombe.
Geoff Emberling, ricercatore associato presso il Kelsey Museum of Archaeology dell’Università del Michigan, è stato coinvolto nella conservazione di Gebel Barkal. L’anno scorso il sito si è allagato, facendo emergere tombe ed edifici in precedenza nascosti. Le tombe, che secondo le stime di Emberling risalgono al 400 a.C. circa, hanno dovuto essere «scavate immediatamente» e spostate in un luogo sicuro. Nonostante le risorse limitate, la squadra a terra ha lavorato instancabilmente per proteggere i siti, installando dissuasori per bloccare l’accesso dei veicoli, ripulendo i rifiuti e rimuovendo gli accumuli di sabbia.
Il numero crescente di sfollati nella zona rappresenta un rischio maggiore per i siti, ma la squadra ha trasformato questo in un’opportunità per coinvolgere la comunità, offrendo i tanto necessari aiuti umanitari attraverso corsi e workshop. Le sessioni, tenute da insegnanti retribuiti, forniscono anche un pasto ai partecipanti, tra cui non mancano i bambini. È poi in preparazione un libro per l’infanzia sulla storia e sugli oggetti antichi. «È un modo per sostenere le persone che in questo momento hanno davvero bisogno di aiuto. L’archeologia è una disciplina dalle caratteristiche uniche, come modo di lavorare e per la capacità di creare nelle comunità questo tipo di connessioni», osserva Emberling, sottolineando poi che per affrontare la crisi in corso in Sudan sono necessari molti più finanziamenti.
La fondazione svizzera Aliph dichiara di aver attuato misure di emergenza all’inizio della guerra, tra cui il sostegno finanziario a 70 membri del personale e custodi del Ncam. Ha anche operato nella protezione dei siti culturali, come l’isola di Meroe, rinforzando le dighe temporanee contro le inondazioni del Nilo e prevede di introdurre ulteriori iniziative di salvaguardia. L’Unesco e l’Aliph hanno inoltre lanciato un progetto per valutare l’impatto della guerra sul patrimonio culturale immateriale del Sudan. Il progetto mira a documentare tale patrimonio a rischio e a responsabilizzare le comunità, in particolare i giovani, per salvaguardarlo e promuovere la resilienza.
Secondo Cameron Walter, responsabile del programma Heritage Crime Task Force (Hctf) presso l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, c’è da aspettarsi che le antichità provenienti dal Sudan entrino in Nord America e in Europa. L’Hctf e i suoi partner, prosegue Walter, stanno monitorando da vicino la situazione, ma non hanno ancora individuato sul mercato oggetti saccheggiati dal Museo Nazionale. Ma possono volerci anche dieci anni prima che gli oggetti riemergano. «Le reti criminali che trafficano in beni culturali rubati, spiega Walter, sovente si prendono del tempo per lasciar calmare le acque, spostare i pezzi e farli passare attraverso i confini per coprire i loro crimini e la provenienza degli oggetti prima di tentare di riciclarli nel mercato globale».
Istituita nel 2021 con l’obiettivo di rintracciare e recuperare opere d’arte e manufatti rubati, la Hctf non può interagire direttamente con le autorità sudanesi, poiché il Paese non rientra nel suo mandato. Tuttavia, osserva Walter, i crimini e il traffico di beni culturali sono questioni globali che incidono sulla sicurezza ed è interesse di tutti « smantellare le reti di traffico e a recuperare il patrimonio rubato indipendentemente dall’origine. Abbiamo una vasta rete operativa in Europa e Nord America, aggiunge, che può essere sfruttata quasi in tempo reale».
Aliph comunica che, in collaborazione con l’Institut National Français d’Histoire de l’Art (Inha) e altri, intende sostenere il Ncam nel consolidamento e nella digitalizzazione delle collezioni di manufatti del Sudan per aiutare la protezione del patrimonio e combattere il traffico illecito. Ahmed e Saeed confermano che Interpol e i partner internazionali del Sudan, in particolare in Europa e Nord America, sono stati avvisati prestare particolare attenzione agli oggetti provenienti dal Sudan. Il processo è però complicato dalla mancanza di informazioni su ciò che è stato rubato e dall’assenza di un inventario digitale completo.
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