l’azienda israeliana ha annullato il contratto con l’Italia per l’utilizzo di Graphite

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**Caso Paragon: il governo Meloni tra contraddizioni e sospensione dello spyware Graphite**  

Sulla vicenda Paragon, che da giorni scuote il panorama politico italiano, è stato scritto un nuovo capitolo con la decisione congiunta dell’intelligence nazionale e della società israeliana Paragon Solutions di sospendere l’utilizzo del software-spia Graphite. Una mossa che, se da un lato tenta di placare le polemiche, dall’altro aggiunge ulteriori ombre sull’operato del governo Meloni, sempre più alle prese con contraddizioni e interrogativi irrisolti.  

L’annuncio della sospensione, comunicato quasi in sordina durante il Festival di Sanremo, come perfidamente fatto notare dal senatore di Italia Viva Mateto Renzi, è stato fatto trapelare come indiscrezione arrivata arrivata all’Ansa dopo le precedenti rassicurazioni fornite dal governo al Parlamento, sia sull’assenza di anomalie note all’esecutivo nell’uso dello spyware, sia sulla risoluzione del contratto da parte dell’azienda fornitrice del servizio, a causa del cattivo usoi che ne era stato fatto, anticipata da fonti stampa.

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Fonti interne a Paragon Solutions, però, avevano rivelato che segnalazioni di irregolarità erano state inviate già da tempo, rendendo «insostenibile» la collaborazione con l’Italia. Una versione in netto contrasto con le dichiarazioni del ministro Luca Ciriani, che nei giorni aveva garantito alla Camera che nessun contratto era stato rescisso.

Il nuovo sviluppo alimenta ulteriori dubbi sulla trasparenza dell’esecutivo.  

Matteo Renzi, come già accennato, non ha esitato a puntare il dito:

“Ieri sera tutti a vedere Sanremo, anche io. Verso le 21.30 arriva un lancio di agenzia che sembra secondario. Il Governo italiano e Paragon hanno deciso di sospendere l’utilizzo del Trojan israeliano. Detta così, sembra buon senso. In realtà è una clamorosa smentita di quello che il Governo aveva detto 48 ore prima in Parlamento. Hanno già cambiato versione.Gli impegni del sottosegretario Alfredo Mantovano durano più o meno quanto le storie su Instagram. E pensano che noi viviamo su Marte: fanno uscire le notizie sperando che la gente non se ne accorga, immersa nel clima del Festival. Pensano di farci fessi. Voglio essere molto chiaro: questa storia del Trojan israeliano non interessa a molti, lo so. La gente inizia a dubitare della Meloni per le bollette spaventose, non per Paragon. E sul costo della vita il consenso delle Sorelle d’Italia inizia a vacillare. Lo so. Ma ho l’impressione che sulla torbida storia di intercettazioni abusive ci sia molto altro sotto. E mi stupisce che ancora la Polizia penitenziaria non abbia smentito di aver acquistato questo software: al momento hanno smentito Polizia, Carabinieri e Finanza. Non la Penitenziaria, la stiamo aspettando. Se anche rimanessi l’ultimo a occuparmene, vi garantisco che non mollerò di un centimetro. Se spiano in modo illegale i giornalisti, vi immaginate cosa possono fare con le persone normali? È in ballo l’idea stessa di democrazia liberale. E io non mollo la presa, sicuri che non mollo. Anche a costo di essere tenacemente solo contro tutti”. 
Il ministro Ciriani ha minacciato “vie legali” per chiunque imputi al governo l’uso indebito dello spyware di Paragon, Mantovano ha poi difeso i Servizi segreti che denunciano i giornalisti perché “calunniano”, chiedendo chiarezza. Se prima le domande sui dossier che coinvolgono esecutivo, magistratura e apparati dello Stato erano molte, dopo gli utlimi sviluppi si può dire che si siano addirittura moltiplicate. 

Infatti, oltre alle possibili violazioni della privacy, emerge il nodo delle implicazioni politiche: chi autorizzò le intercettazioni? E con quali scopi? Domande che sollevano timori sull’equilibrio tra sicurezza nazionale e diritti civili.  

Senza un’inchiesta indipendente e un dibattito istituzionale aperto, il rischio è che la crisi si trascini, minando la fiducia nelle istituzioni. In gioco non c’è solo la reputazione dell’esecutivo, ma la capacità dello Stato di proteggere i diritti fondamentali nell’era digitale. Una sfida che, al momento, sembra lontana dall’essere vinta.





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