La Biblioteca del lavoro: Raffaele Cataldi

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Di Francesca Dallatana Parma, 16 febbraio 2025 –

Si intuisce l’anima di una città dagli occhi delle case. I fumi industriali soffiati fuori dalle ciminiere nel cielo di Taranto impongono una fotografia. Uno dei ritratti possibili della città. Non è detto si veda il mare. Ma il mare vede la fabbrica.

Apocalisse centellinata.

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L’Ilva di Taranto è una città nella città.  La conosce chi ogni giorno la frequenta. Cioè, i lavoratori. Tutti vedono, pochi dicono.

Malesangue” è la storia di un operaio dell’Ilva di Taranto. Raffaele Cataldi ha affidato all’editore Alegre la sua testimonianza di fabbrica e di lotta per la civilizzazione dei processi produttivi. Alegre propone il libro nella collana Working Class.

La storia di fabbrica scritta da un operaio rappresenta un significativo punto di vista. E’ analisi organizzativa scritta da un osservatore partecipante. Gli studiosi di organizzazione hanno una forte necessità di vedere e vivere da dentro processi e dinamiche di relazione. I maestri del pensiero organizzativo hanno osservato il lavoro lavorando. La testimonianza di Raffaele Cataldi è precisa e circostanziata, per niente incline al vittimismo ma fortemente ispirata all’orgoglio di classe e di lavoro.

Dopo l’incipit dedicato alla descrizione dell’ambiente sociale di riferimento e alla biografia dell’autore, il libro si trasforma in una lucida cronaca di lavoro. Storia personale e familiare, quindi storia sociale e politica.

Recente, la pubblicazione del volume: Gennaio 2025. A quasi un anno dal commissariamento “avvenuto per decreto a Febbraio 2024 della parte di fabbrica per la cui gestione Arcelor-Mittal è finito sul banco degli imputati con le gravissime accuse di associazione a delinquere, truffa allo Stato e altri gravi capi di imputazione come l’inquinamento e il disastro ambientale, è l’ennesima riprova che né il Governo né i sindacati hanno lavorato in questi dodici anni, dal 2012 ad oggi, con la diligenza, la serietà e la determinazione che la vertenza Ilva richiedeva.” Ed è la conferma della latitanza di una consapevole cultura del lavoro che comprenda l’ampio concetto di salute e di rispetto per i lavoratori e per l’ambiente.

E’ del 2018 l’accordo “presentato dai sindacati come il migliore possibile ma che già dopo poche settimane ha mostrato enormi lacune e criticità, denunciate dagli stessi sindacati firmatari, cosa di per sé già sufficiente a generare una condizione di disorientamento nei lavoratori.”

Punto cruciale dell’accordo del 2018 erano i quasi 2000 operai collocati in Cassa Integrazione fino al reintegro in fabbrica, previsto dal 2023 e comunque entro il 2025. Di fatto in fabbrica è stata reinserita solo una percentuale bassissima di lavoratori, molti dei quali attraverso le vie legali intraprese per diverse inesattezze rilevate nei criteri di selezione e graduatoria iniziale del 2018.”

I lavoratori e i loro rappresentanti; i lavoratori e la contro-parte; i rappresentanti dei lavoratori e la contro-parte: relazioni dentro i gruppi sociali e fra i gruppi sociali. Sulla carta sembra una vecchia mappa di riferimento delle relazioni industriali: da una parte il padrone che esercita il divide et impera sulla pletora di lavoratori che non riescono ad alzare la voce e a colpire uniti perché ancorati al ribasso dalla forza di gravità della sopravvivenza quotidiana. Nei fatti Malesangue è una visita nel sottosuolo del genere umano, prima che dell’industria. E anche testimonianza di una sfidante prova di coraggio.

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In corso, il processo “Ambiente Svenduto” sul presunto disastro ambientale dell’ex Ilva targata Riva.

Italsider, Ilva, Arcelor-Mittel, ora Acciaierie d’Italia: nero su bianco, l’inquietante bilancio sociale e ambientale con conseguenze sul territorio e sulle persone. Sfruttamento lavorativo significa rompere l’equilibrio dell’ambiente sociale e naturale.  Significa considerare i lavoratori come numeri.

Ma non tutti si fanno comprare.

Non si fanno comprare gli operai senza fili. Se ne vanno dal Sindacato. Non accettano gli accordi presi dall’alto senza essere coinvolti. Perché questa non è democrazia. Ma è conseguenza condotta all’eccesso della mediazione-integrazione. Ci sono confini da rispettare per manutenere e mantenere viva la dignità del lavoro. E la sicurezza sul lavoro. Vilipesa e oltraggiata oltre ogni limite. I fatti, gli ambienti e gli impianti produttivi descritti nel libro sono inquietanti. Trappola mortale. Chi supera la prova del fuoco è un sopravvissuto. La prova del fuoco non è una metafora. Gragnola di schegge negli occhi. Scintille che innescano incendi in ambienti saturi di gas. Giacche ignifughe dei colleghi a sedare le fiamme. Dall’inferno di fabbrica non sempre si esce come si è entrati.

Gli operai senza fili sono i colleghi e compagni di lotta di Raffaele Cataldi. Che insieme a lui e con lui hanno costituito il Comitato Cittadini Liberi e Pensanti. L’autore dà loro la parola in uno dei capitoli del libro. Si sono affrancati dai pupari: padroni, direttori di fabbrica oppure esponenti del sindacato. I lavoratori hanno rivendicato il diritto di parola, di pensiero e di partecipazione.

A partire dal 2 agosto 2012, data periodizzante perché segna l’inizio di un dibattito pubblico innescato più che sollecitato dal Comitato Cittadini Liberi e Pensanti nella cornice di una manifestazione sindacale dai risvolti singolari.

“Io non delego, io partecipo”: lo slogan del Comitato. Riassume la necessità di riportare consapevolezza e partecipazione al centro del patto sociale, come elementi imprescindibili di negoziazioni e vertenze.  

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Armati di megafono, a bordo di un tre ruote Apecar attraggono operai e cittadini e raccontano la vita di fabbrica. Il potere della parola aggrega. I fatti raccontati nella loro quotidiana fisicità incidono le parole sulla pietra.

L’Apecar è il loro carro armato.

A distanza di anni, i protagonisti affidano al libro il loro pensiero. E’ il verbale preciso del lavoro quotidiano dentro la fabbrica, l’elenco dei rischi ai quali si sono sottoposti, il mobbing verticale e orizzontale subito. L’isolamento imposto a chi non si allinea acriticamente. Chi esprime un pensiero libero è emarginato. Allontanato fisicamente in un luogo lugubre e lontano dal gruppo “a contare le barche.” E non è un modo di dire. E’ un fatto accaduto a Massimo Battista, uno degli operai senza fili, compagno di lotta dell’autore prima nelle file della Fiom-Cgil, poi in quelle del Comitato.  E il reparto è una “sorta di palafitta con i pali arrugginiti conficcati nella sabbia.” Il libro è dedicato proprio a lui, scomparso nell’ottobre del 2024 per gravi motivi di salute. Ma anche a chi ha investito l’incentivo all’esodo nell’apertura di un’attività nel settore della ristorazione dal nome “A casa vostra”. “Ogni volta che con i nostri colleghi parlavamo della questione Ilva e dicevamo che per noi l’unica via d’uscita era la chiusura dello stabilimento, ci dicevano: sì, così poi veniamo a mangiare a casa vostra.”

Un operaio, un numero.

Cataldo Ranieri detto Aldo, e Marco Tomasicchio sono i titolari del ristorante “A casa vostra.” Il nome del ristorante riassume la motivazione del tacito accordo che ha permesso all’azienda di reiterare una situazione produttiva insicura e malsana a danno degli operai.

La causa del tacito ma evidente accordo è lo stato di necessità. La mancanza di alternative di lavoro annulla la possibilità di reazione degli operai, di molti di loro. E al sud le possibilità di lavoro sono basse.  La fabbrica dei veleni è una macchina di malattia e di morte. Dal 2012 ad oggi hanno perso la vita nove persone, ricorda Raffaele Cataldi. Li cita uno ad uno, reparto di appartenenza e dinamica dell’infortunio mortale. Età media anagrafica bassa; lavori altamente usuranti. “Queste morti bianche, come le chiamano, questi fattori contingenti, sono numeri che i padroni mettono in preventivo nei loro bilanci annuali. Si potevano evitare se, come prescritto dalla magistratura, nel 2012 quegli impianti fossero stati fermati.” Oppure se le somme previste in bilancio fossero state destinate ad implementare misure di sicurezza e a promuovere una cultura del lavoro capace di superare la competizione del lavoratore contro il lavoratore in nome della produttività e di una superficiale efficienza con disastrose conseguenze sistemiche in termini sociali ed economiche.  L’autore descrive la fabbrica: una città da attraversare per raggiungere la propria postazione di lavoro. Condizioni di lavoro al limite della sicurezza e delle tutele previste dalla legge. Altissimo rischio di infortunio, una competizione indotta dai capi-turno aziendalisti e dai caschi bianchi. Il libro degli infortuni tracciato da Raffaele Cataldi è degno del peggiore reparto di medicina di urgenza. Atletici e resistenti e giovani, gli operai che entrano in fabbrica. Corpi da riparare o da rottamare a metà della loro vita, quando ancora sono in piena età da lavoro. E quando diventa più difficile cambiare lavoro.

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La descrizione dei reparti produttivi è sintetica e precisa: ad ogni acronimo corrisponde una lavorazione, sempre alta la percentuale di rischio e perenne l’attenzione sempre al massimo livello.

Fare l’operaio è un lavoro complesso. E anche pericoloso.”

Malesangue di Raffale Cataldi è un viaggio in una fabbrica italiana, la più grande acciaieria d’Europa.

Senza il dialogo con la classe operaia vertenze e negoziazioni sono destinate al fallimento. Il libro contribuisce a colmare una lacuna culturale: la conoscenza del lavoro di fabbrica. Chi lavora non compare fra gli attori protagonisti. Sta dietro le quinte.

 

(Link rubrica: La Biblioteca del lavorolavoro migrante ” https://gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=francesca%20dallatana&searchphrase=all&Itemid=374 

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