L’intelligenza artificiale è realtà. Da anni utilizzata dalla comunità scientifica per supportare l’attività di ricerca e di acquisizione dati, oggi è entrata nelle modalità di lavoro di tutti i giorni. Negli uffici, nelle scuole, nelle aule delle università e, inevitabilmente, anche nelle redazioni giornalistiche. Proprio questa constatazione ha guidato la riflessione fatta in occasione del “Convegno nazionale: A.I. confini della comunicazione” organizzato lo scorso gennaio dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana, evento giubilare dedicato al mondo della comunicazione e a tutti coloro che operano nel settore.
È molto semplice utilizzare un qualsiasi tool di IA – ce ne sono ormai molti, accessibili gratuitamente – per comporre velocemente testi, articoli, approfondimenti, o semplicemente per correggere e rivedere uno stile di scrittura: i motori di ricerca sono lì per fornire, in una manciata di secondi, informazioni, risposte, e fonti che in passato avremmo potuto reperire in molto più tempo, magari a fatica, e mettendo alla prova il nostro ingegno. Quale futuro, quindi, per le professioni legate alla comunicazione? Sono destinate a soccombere all’automatismo di un “redattore digitale” con il quale sembra impossibile competere, quantomeno in termini di velocità?
Da scienziata, penso di no. Ritengo, anzi, che l’avvento dell’IA possa rappresentare una straordinaria opportunità anche per chi lavora nel mondo dell’informazione, al pari di quello che ha rappresentato nel mondo scientifico. Si tratta di prendere atto delle potenzialità che l’intelligenza artificiale offre, comprenderle, appropriarsene: in una parola, dominarla, e non esserne dominati. Siamo di fronte a un cambiamento epocale che travolgerà – sta già travolgendo – il modo di fare e di fruire dell’informazione. Un cambiamento di cui l’intera categoria di professionisti e professioniste che operano in questo ambito deve prendere atto, e che presuppone un cambio di paradigma prima di tutto a livello culturale: è importante, proprio per questo, incoraggiare una specifica formazione che affronti il tema nei suoi innumerevoli risvolti, compresi quelli, spesso sottovalutati, della tutela della proprietà intellettuale.
Sarà, poi, altrettanto importante affrontare questa sfida con la consapevolezza di quelli che sono i valori fondanti propri del “mestiere” della comunicazione, a partire dalla deontologia: è questo che fa la differenza tra offrire contenuti di qualità e ricorrere a contenuti già pronti. Ed è questa la chiave che permetterà di dare nuovo slancio al ruolo e all’identità professionale di comunicatori e comunicatrici, qualunque sia l’ambito in cui operano. Nessuna macchina né intelligenza artificiale generativa potrà, infatti, fornire contenuti in grado di “guidarci” nell’interpretare la realtà attuale e comprendere le trasformazioni in atto: è una prerogativa che rimane propria della creatività e del pensiero umano.
Inevitabile, in questo contesto, anche avviare una riflessione sugli attori internazionali che in questo momento giocano un ruolo di key players, quelli che “guidano la partita”. Non è mistero che le più potenti tecnologie di intelligenza artificiale provengano da Stati Uniti e Cina, ma se vogliamo essere forti e competitivi anche in questo settore, e pronti a cogliere il cambiamento, occorre individuare una “via europea”, e puntare con decisione su di essa. Il recente annuncio della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, di stanziare 200 miliardi per l’avvio di un grande investimento europeo nell’intelligenza artificiale con il progetto “InvestAI” è un’ottima notizia: penso a una grande infrastruttura democratica, a un Cern dell’intelligenza artificiale nel quale tanti giovani europei possano mettere a frutto talento e intuizioni, contribuendo alla creazione di un luogo di conoscenza che non rappresenti solo un’opportunità di mercato, o qualcosa da vendere, ma un grande progetto corale dal quale trarre risposte per risolvere i grandi problemi delle società moderne, dalle sfide della medicina a quelle dell’ambiente e della transizione ecologica. Una conoscenza condivisa, che unisca i Paesi europei, consapevoli che la nostra miglior difesa è l’investimento in scienza, ricerca e cultura.
Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche
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