Il 74% in meno del fatturato. È quanto è costato alla Fuji Television, una delle cinque emittenti televisive più importanti del Giappone, lo scandalo che ha coinvolto l’icona dello spettacolo Masahiro Nakai e che ha portato alle dimissioni dei vertici dell’azienda.
Fuji TV è accusata di aver coperto l’ex volto della boy band SMAP che, in una cena del 2023, avrebbe costretto una dipendente della società ad avere rapporti sessuali non consensuali.
La notizia, inizialmente apparsa sul tabloid Josei Seven e poi approfondita in una serie di inchieste sul settimanale Shūkan Bunshun, riportava che la donna, citata nei media giapponesi come X, si è trovata sola con l’uomo in una serata organizzata dall’azienda. Il cinquantaduenne avrebbe successivamente pagato alla ventenne 90 milioni di yen (circa 560mila euro), tramite il suo agente, per assicurarsi il silenzio della donna.
La ventenne avrebbe raccontato l’accaduto a una collega senior e presentatrice della Fuji TV che, a sua volta, lo avrebbe riferito allo staff responsabile.
Dalla segnalazione non è però mai partita alcuna indagine interna nei confronti di Nakai. Una decisione che non è stata perdonata dal pubblico giapponese e che ha portato a rescindere i contratti pubblicitari di più di 70 inserzionisti, tra cui Toyota, 7-Eleven e SoftBank.
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“È vero, ci sono stati problemi con una donna ma è colpa dei miei difetti”, ha scritto lo scorso 9 gennaio Nakai in una lettera di scuse pubblicata su una pagina privata con la sua community.
Nello stesso messaggio, il celebre volto dello spettacolo esprimeva anche la propria volontà di continuare ad apparire nei programmi in cui aveva un ruolo.
Se già la prima risposta di Nakai a tutta la vicenda è apparsa estremamente debole e problematica, la comunicazione della Fuji TV è stata disastrosa.
Inizialmente rimasti in silenzio, i vertici della società hanno organizzato una conferenza stampa solo il 17 gennaio su pressione di parte degli azionisti che chiedevano di avviare subito un’indagine indipendente.
Tuttavia, già in questo primo incontro sono emerse diverse criticità, visto che la conferenza stampa si è svolta a “porte chiuse”: hanno potuto partecipare solo pochi media selezionati senza possibilità di fare registrazioni video.
Davanti ai pochi presenti (non tutti i media hanno potuto porre domande), i vertici della Fuji TV hanno dato risposte vaghe riconducendo a motivi di privacy la decisione di non aver aperto alcuna indagine. Non hanno poi neanche spiegato il ruolo che ha avuto l’azienda nell’organizzazione della cena tra Nakai e la giovane dipendente.
Dunque, la società sapeva benissimo quello che era successo ma non ha preso alcun provvedimento nella speranza – o nella convinzione – di rimanere impunita.
L’effetto domino è stato inevitabile: il 20 gennaio già 75 inserzionisti si erano sfilati dagli accordi pubblicitari con l’emittente. Mentre Nakai, che nel frattempo si è visto cancellare ad una ad una le collaborazioni televisive, ha annunciato il ritiro dalla scena.
Arriviamo così al 27 gennaio: in una conferenza stampa – questa volta aperta a 400 testate giornalistiche nazionali e internazionali – lunga più di dieci ore, (una delle più lunghe della storia moderna giapponese) l’amministratore delegato, Shuji Kano, e il presidente, Koichi Minato, hanno rassegnato le proprie dimissioni.
Minato ha confermato che la società era al corrente delle accuse rivolte contro Nakai sin dai momenti successivi all’accaduto, e ha spiegato come si sia deciso di non rendere pubblica la notizia “per dare priorità assoluta al recupero fisico e mentale della vittima, nonché alla protezione della sua privacy”.
Una spiegazione di comodo che non è andata giù prima di tutto alla vittima che, in delle conversazioni pubblicate dallo Shūkan Bunshun, avrebbe detto in via confidenziale: “hanno continuato a trasmettere regolarmente i programmi con Masahiro Nakai per tutelare la mia privacy? Non posso accettarlo, come non posso accettare il fatto che abbiano accolto il racconto del carnefice mentre a me non mi hanno neanche ascoltata”.
Tendenzialmente non credo sia corretto fare paragoni, soprattutto se questi si fanno tra paesi, ma dell’editoriale della giornalista tedesco-giapponese Sandra Hefelin sullo Yomiuri Shimbun, che per l’appunto mette a confronto Germania e Giappone, c’è un punto che forse vale la pena sottolineare: in molte aziende giapponesi, controllate e gestite quasi esclusivamente da uomini (nelle due conferenze stampa della Fuji TV non c’era neanche un donna), è ancora consuetudine “usare” le donne più giovani per allietare i propri clienti. Quindi far sì che alle cene o agli incontri di lavoro ci sia sempre una presenza femminile che “metta di buon umore” e sia pronta a riempire il bicchiere quando è vuoto.
Nel report sul Gender Gap stilato annualmente dal World Economic Forum, il Giappone compare sempre agli ultimi posti. Nel 2024, il paese si è posizionato al 118° posto su 146, poco sopra l’India e dietro alla Cina e Corea del Sud. Tra i membri del G7, è l’unico paese che finisce sempre oltre il numero cento.
Solo l’11% delle posizioni apicali di aziende pubbliche e private è ricoperto da donne. Una percentuale uguale si ritrova anche nella politica, dove sono appena 51 su 465 le donne a essere elette nella Camera dei Rappresentanti .
Nell’ultimo Consiglio dei ministri, nominato dal primo ministro Shigeru Ishiba, le ministre donne sono addirittura scese a due: Junko Mihara e Toshiko Abe, rispettivamente assegnate alle politiche per l’infanzia e all’educazione. Un passo indietro rispetto alla precedente amministrazione Kishida, dove le ministre erano cinque e Yoko Kamikawa guidava l’importante ministero per gli Esteri.
Lo scandalo della Fuji Tv arriva a poco più di un anno da un altro scandalo legato sempre ad abusi sessuali nel mondo dell’intrattenimento: nel 2023 a finire sotto i riflettori era stata l’agenzia Johnny&Associates. Il suo fondatore, Johnny Kitagawa, nei decenni in cui è stato a capo dell’azienda ha abusato e violentato centinaia di minorenni e adolescenti maschi che si sono formati nella sua agenzia per idol.
Come fa notare su Nikkei Asia Igor Prusa, yamatologo esperto di media e autore di “Scandal in Japan”, le violenze di Kitagawa sono infine emerse per le “pressioni esterne” (gaiatsu), grazie cioè alla pubblicazione di un’inchiesta della BBC che ha “costretto” i media nazionali a occuparsi del caso.
Per quanto riguarda invece la Fuji Tv, gli abusi sessuali di Masahiro Nakai sono apparsi per la prima volta su quei tabloid e riviste che generalmente verrebbero liquidati come pubblicazioni di poco conto e che invece spesso in Giappone assumono il ruolo di “cane da guardia” (watchdog). In particolare Shukan Bunshun, un settimanale che ha una circolazione di 470mila copie e che negli anni si è ritagliato uno spazio importante conducendo inchieste di tipo giornalistico.
Tendenzialmente quella giapponese è percepita come una cultura che ha fatto dell’armonia di tradizione confuciana un suo caposaldo, dove le controversie e il conflitto vengono lasciate fuori dalla porta. In un ecosistema del genere, verrebbe naturale pensare che lo scandalo sia l’eccezione e non la regola.
Eppure, i media nazionali danno conto quotidianamente dell’ultimo caso di corruzione politica o di qualche controversia legata a un personaggio dello spettacolo per poi ricominciare il giorno successivo daccapo, in un ciclo che è diventato una costante culturale.
Chissà se quello della Fuji TV sia l’ennesimo scandalo che verrà riassorbito da una società che “martella il chiodo che sporge” o se, nell’anno in cui il documentario della giornalista Shiori Ito è candidato agli Oscar – con non pochi problemi di proiezione nelle sale giapponesi – stia faticosamente e lentamente avvenendo un cambio di paradigma dove gli abusi commessi da uomini di potere con la complicità di altri uomini di potere non rimangano più impuniti.
A proposito di questioni di genere, da qualche settimana è disponibile su Netflix “Asura”, rifacimento di un drama trasmesso tra il 1979 e il 1980 dalla NHK a firma del maestro giapponese Hirokazu Koreeda. Come in tutti i lavori di Koreeda, la famiglia e le sue dinamiche sono al centro di un racconto che diventa rappresentazione dell’intera società. Personalmente guarderei qualsiasi cosa girata da Koreeda, la sua sensibilità e il suo tocco gentile sono commoventi.
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