I mali del giornalismo italiano e il loro antidoto collettivo

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Sappiamo cosa facciano oggi i Ferragnez, ma non conosciamo l’ultimo bando attivo sul nostro territorio. Il giornalismo italiano è in crisi profonda. A esserne colpiti non soltanto i professionisti del settore e i giornali, ma gli stessi cittadini. Perché se la stampa soffre, la democrazia e il diritto all’informazione sono a rischio. L’antidoto non può che essere collettivo e passare soprattutto dalla consapevolezza che, per restituire giustizia al settore, non si possano accettare compromessi, nemmeno se si è “semplici” freelance con partita IVA.

Infodemia: quando l’informazione diventa “malattia”

L’eccesso di informazioni – soprattutto se non verificate, false o inutili – rende le persone sempre più disinformate e incapaci di discernere le fonti affidabili. Secondo il report del Reuters Institute, il 41% dei dirigenti dei media esprime scetticismo sul futuro del giornalismo, riscontrando una crescente sfiducia da parte dei lettori.

Il fenomeno è cresciuto a dismisura durante la pandemia di Covid-19, tanto da meritare un termine ad hoc: infodemia. E i social non fanno altro che amplificarlo, con conseguenze dirette su salute pubblica e coesione sociale, perché ogni giorno i cittadini prendono decisioni basate su informazioni errate, parziali o fuorvianti, specialmente in momenti critici come le elezioni politiche.

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Il giornalismo italiano e il rapporto tra stampa e potere

Il legame tra stampa e potere politico in Italia è complesso. La politicizzazione dei media ha portato una distorsione dell’informazione in cui – in barba al principio di imparzialità e neutralità – le notizie vengono spesso filtrate attraverso un prisma ideologico. Il governo Meloni, per esempio, è stato accusato di un’intrusione senza precedenti nella linea editoriale della Rai, con nomine di dirigenti e direttori che rifletterebbero le alleanze politiche piuttosto che il merito professionale. Ma il fenomeno non è certamente nuovo.

Che la crescente pressione politica sul giornalismo italiano sia una minaccia diretta alla libertà di stampa è ormai un’evidenza provata: Reporters Sans Frontierès segnala che nel 2024 l’Italia sia al 46esimo posto nella lista dei 180 Paesi in cui viene monitorata la libertà di stampa, perdendo cinque posti rispetto all’anno precedente. E con la legge Bavaglio la situazione è destinata solo a peggiorare.

La concentrazione della proprietà dei media

La concentrazione della proprietà dei media è un altro aspetto su cui occorre riflettere. Nel nostro Paese sono davvero pochi i gruppi editoriali che riescono a dominare il mercato dell’informazione. La limitazione della pluralità di voci nel dibattito pubblico concorre a un ecosistema informativo in cui le notizie possono favorire interessi specifici.

La vendita dell’agenzia di stampa AGI a gruppi vicini al governo Meloni ha suscitato ulteriori timori circa la creazione di un “polo mediatico” che potrebbe amplificare le narrazioni di ultradestra e il rischio di una deriva autoritaria simile a quella osservata in Ungheria.

La questione dei finanziamenti pubblici all’editoria

Favorire la pluralità di voci, promuovere l’indipendenza e incentivare l’assetto democratico, in tutti quei settori dove il ritorno economico non è immediato, significa certamente garantire alle minoranze l’opportunità di esistere.

I giornali – e i giornalisti – non campano d’aria. I finanziamenti pubblici sono indispensabili soprattutto per le realtà minori che non riescono altrimenti a sopravvivere e sono necessari a tutti coloro che desiderano fare a meno di vendere spazi pubblicitari ed essere – davvero – indipendenti.

Il lavoro nel giornalismo italiano

Il giornalismo italiano prova ancora a fungere da “quarto potere”, assumendosi la responsabilità di portare a galla verità scomode. A dimostrarlo le crescenti minacce subite dalla categoria dal 2006 a oggi, soprattutto al Sud e nelle isole, ed evidenziate dall’Osservatorio sul giornalismo dell’Agcom. Ma alle difficoltà dovute alle pressioni politiche ed economiche, alla concentrazione della proprietà, si aggiungono le difficoltà economiche dei professionisti del settore.

Quanto guadagna un giornalista? La maggior parte dei giornalisti italiani ha redditi annui inferiori ai 20 mila euro. La metà degli attivi sono dipendenti e per lo più in posizioni di livello inferiore o intermedio nella scala gerarchica di una redazione. I pochi posti in ruoli apicali, poi, sono destinati agli uomini (14,2%) e quasi mai alle donne (3,9%).

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I lavoratori autonomi sono freelance con partita IVA nel 33,3% dei casi, mentre il 22,9% ha contratti di collaborazione coordinata e continuativa. La prestazione occasionale è utilizzata come forma di retribuzione dal 25,5% dei professionisti (che percepiscono nel 75% dei casi meno di 5 mila euro l’anno) e la cessione dei diritti d’autore dal 15%. Un paradosso, se si considera che partite IVA e occasionali – a differenza dei dipendenti – devono considerare la precarietà della loro occupazione, provvedere dai soli ai propri contributi e a tutto ciò che concerne ferie e malattie.

Precariato e povertà del lavoro incidono negativamente sulla salute dei lavoratori, sulla qualità del prodotto informativo, sulla libertà di stampa e sull’impoverimento del settore. Sotto questo profilo non si può non considerare la responsabilità esercitata da tutti coloro che da tempo accettano compensi irrisori – seppur per motivi comprensibili -, facendo sì che intere redazioni giornalistiche funzionino senza assicurare adeguate retribuzioni.

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Il giornalismo del futuro:  una sfida collettiva

È mai esistito un giornalismo libero? Probabilmente no. Ma per un’informazione di qualità, oggi più che mai, occorre un impegno collettivo. I cittadini devono compiere degli sforzi per acquisire competenze di alfabetizzazione mediatica, per discernere le fonti affidabili da quelle che non lo sono, per sviluppare il pensiero critico e supportare l’autonomia della “buona” stampa, attraverso donazioni e abbonamenti.

Gli editori, dal loro canto, devono investire nella formazione dei giornalisti per garantire che le informazioni siano non soltanto accurate, ma anche approfondite e contestualizzate in modo appropriato. La trasparenza delle fonti, assieme all’imparzialità, è infatti fondamentale per recuperare la fiducia dei lettori. Il data journalism e il giornalismo d’inchiesta, coniugati a chiarezza espositiva e semplicità di linguaggio, possono restituire l’autorevolezza persa e rendere comprensibili a tutti le notizie.

I giornalisti di oggi e di domani

Ai giornalisti spettano ancora una volta le maggiori fatiche. Sia nel recuperare la deontologia smarrita,  verificando accuratamente fonti e notizie, sia nel rifiutare proposte lavorative irricevibili, nonché nel sostenere iniziative sindacali e legislative che promuovano diritti e tutele professionali.

E le nuove tecnologie? Sarebbe ora che anche le vecchie leve della stampa italiana più resistenti ai cambiamenti abbracciassero con fiducia i nuovi strumenti digitali. Fiducia in loro stessi, si intende. Perché se l’innovazione è inarrestabile, resistervi significa far sì che siano terzi – meno preparati e magari neppure giornalisti – a utilizzarli, riducendo ancor più la capacità di discernimento da parte dei lettori.

Usare i social per dare maggiore risonanza alle notizie, intercettando anche le fasce più giovani, fare in modo che – grazie alla SEO – i servizi di valore abbiano maggiore notorietà non è blasfemia, ma semplice aderenza alla mission del buon giornalismo: scoprire, analizzare, approfondire e diffondere notizie (vere) a quante più persone possibili.

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