I festival dedicati all’archeologia fra trasformazioni e opportunità

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La forma “festival”, come è noto, ha assunto nel tempo una crescente rilevanza, soprattutto in ambito culturale in cui il formato del festival gode di innegabile dinamicità. Anche soltanto limitando la sfera di osservazione agli ultimi quindici anni, infatti, l’economia dei festival ha mostrato profondi e importanti cambiamenti: dopo anni di grande espansione, che hanno visto crescere in maniera esponenziale il numero di eventi con ambizioni di “reiterazione annuale”, si è naturalmente assistito ad una leggera contrazione, seguita poi dalla completa interruzione di eventi di questo tipo imposta dalla pandemia, seguita poi da una nuova ripresa su tutti i versanti della cultura.

Se nel 2011, commentando la ricerca Euro festival: Art Festival and the European Public Culture, Maguadda e Solaroli, su Economia della Cultura, affermavano “che i festival artistici (del cinema, della letteratura, della musica ecc.) sono da tempo divenuti forme culturali autonome che hanno assunto un ruolo sempre più importante in varie sfere sociali: nell’economia dello spettacolo come nella promozione delle città, passando per il circuito della produzione culturale internazionale”, per poi sottolinearne la capacità di rappresentare “sfere pubbliche contemporanee”, più recentemente, una ricerca pubblicata sull’International Journal of Event and Festival Management, ha confermato questa caratteristica di “sfera pubblica” dei festival, andando ad analizzare gli effetti generati dalle regole restrittive durante il Covid-19 e interpretando tali dati come “punto di riferimento” sociale.

Rispetto al nostro recente passato, oggi i festival hanno assunto due forme di sviluppo cui è particolarmente utile prestare attenzione: da un lato l’avvento di sempre più festival “specializzati”, passando, ad esempio, dal festival della “tecnologia” al festival dell’intelligenza artificiale; dall’altro invece la spinta alla realizzazione di festival sempre più ibridi, sia in termini di tipologie di contenuti (coinvolgendo quindi discipline diverse, come musica, cinema e teatro), sia tipologie di servizi, includendo ad esempio concerti, mostre e reading letterari, workshop e stand espositivi).

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I festival dedicati all’archeologia

In questo importante comparto, i festival dedicati all’archeologia mostrano sviluppi coerenti con i festival dedicati ad altre discipline: da un lato il concetto di “specializzazione”, ben sintetizzata, ad esempio, dal festival Blu Etrusco, che ha una specializzazione tematica (dedicato agli Etruschi), e geografica (il festival si tiene a Murlo, un comune della provincia di Siena con meno di 2.500 abitanti), e una marcata diversificazione delle esperienze (che includono allestimenti, rievocazioni storiche, laboratori, percorsi di trekking archeologico, conferenze, enogastronomia).

Al di là del caso citato, tuttavia, queste tendenze sono visibili, con differenti intensità e combinazioni, anche in altri percorsi archeologici presenti nel nostro Paese, e che includono l’interdisciplinarità (si pensi al connubio tra archeologia e cinema, e a come questo connubio sia al centro di iniziative quali l’Archeofilm, il RAM Film Festival, e molti altri.

Pur presentandosi dunque in linea con le tendenze qualitative espresse in altri comparti culturali, l’utilizzo della forma del festival in campo archeologico presenta invece differenze significative sotto il profilo numerico.

Chiaramente, l’archeologia in festival con molta difficoltà potrà raggiungere gli stessi volumi di festival musicali, ad esempio, ma forse ancor più che i festival dedicati all’ambito musicale, quelli in tema archeologico potrebbero generare significativi impatti culturali, di relazione tra il patrimonio e la cittadinanza, così come i festival dell’archeologia potrebbero generare un significativo impatto in termini di cambiamento del comportamento di fruizione e di frequenza di fruizione, pur richiedendo un sostanziale minore impegno finanziario.

Non mancano iniziative che propongono eventi “ricorrenti”: si pensi anche al crescente successo delle “notti dell’archeologia”, ma è pacifico constatare quanto la diffusione del modello “festival” all’interno delle attività di divulgazione archeologica sia minore di quanto sia possibile invece misurare in altre discipline.

 

Nuove opportunità

Si tratta di un’opportunità importante, che va sviluppata secondo un razionale attento, soprattutto sulla selezione dei contenuti, sulla diversificazione, e sulle tipologie di “pubblico” cui rivolgersi.

L’archeologia è infatti una disciplina che ancor più che in altre forme della conoscenza, divide i propri referenti (vale a dire, i cittadini) tra appassionati e non, tra persone che hanno conoscenze più o meno approfondite e persone che invece si limitano a leggere i titoli sensazionalistici e acchiappaclic delle riviste online, senza tuttavia avere la curiosità di andare ad approfondire la notizia, e ancor meno andare ad approfondire il contesto cui tale notizia si riferisce.

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Del resto, si tratta di una disciplina che, per propria natura, copre uno scenario molto ampio, e questo può risultare estremamente complesso da affrontare per chi si avvicina all’archeologia per la prima volta, anche complice la scarsa pervasività delle narrazioni proposte nel tempo da moltissimi musei archeologici, sebbene recentemente si stia finalmente diffondendo una maggiore volontà di coinvolgere i visitatori.

Nuovi pubblici da raggiungere

Tenendo in considerazione tali aspetti, i festival dell’archeologia, se opportunamente sviluppati e diversificati, potrebbero raggiungere un numero significativo di persone, soprattutto tra coloro che non sono appassionati di archeologia, e che potrebbero trovare, tra le molteplici letture che l’archeologia è in grado di fornire, stimoli di interesse e di riflessione inattesi.

Per essere realmente “impattanti”, tuttavia, tali festival dovranno essere sviluppati anche in una logica di continuità territoriale, almeno in parte rinunciando alla logica del cosiddetto “marketing territoriale”,  che ravviva una sensazione di malcelata ostilità tra territori contigui, così da poter formulare narrazioni più estese e lineari, riducendo quindi la parcellizzazione della conoscenza.

Mantenere una visione orientata sul visitatore è essenziale, soprattutto in termini di aspettative legate ai festival, tenendo in considerazione che l’obiettivo di tali eventi è quello di divulgare (e quindi non comunicare, ma nemmeno erudire), e appassionare le persone, agendo soprattutto sul meccanismo esperienziale, che non necessariamente si deve tradurre in una spettacolarizzazione.

Eppure, con un palinsesto diversificato e ampio, capace di trattare temi “importanti” per le persone, e quindi avviare una conversazione anche con coloro che non sono già appassionati, stimolandone gli aspetti esperienziali, creando itinerari che coinvolgano anche più territori e comuni, i festival dell’archeologia potrebbero essere tra le leve più importanti di coinvolgimento della cittadinanza.

Un’opportunità importante, ma che va sviluppata secondo logiche e sensibilità differenti, così da trasferire all’interno dell’evento le differenti visioni che oggi caratterizzano l’archeologia.



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