Eremiti sociali in aumento. Ragazzi chiusi in camera, in provincia oltre 90 casi

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Decidono all’improvviso di ‘chiudere fuori’ il mondo: odiano le etichette, le continue richieste da parte della società e le aspettative ‘degli altri’, in cui si ritrovano. Si ritirano nel loro mondo, quello delle proprie camere da letto e spesso non fanno oltrepassare la porta della stanza neppure ai propri genitori. E’ un fenomeno in aumento, soprattutto in età scolastica: parliamo dei giovani hikikomori che, lo scorso anno, nella nostra provincia erano oltre novanta. Sono i cosiddetti eremiti sociali, giovani che gradualmente escono da ogni dinamica sociale e relazionale, compresa la scuola, e decidono di rinchiudersi tra le mura domestiche, limitando i pochi contatti umani alle interazioni online.

Nella nostra città esiste il progetto ‘Ri-So’, nato dalla richiesta diretta dell’Ufficio Scolastico al tavolo prevenzione della Ausl di Modena e dedicato appunto ai cosiddetti ‘eremiti sociali’ che, all’inizio, nel 2022 contava 28 ragazzi seguiti, poi diventati quasi cento ma il fenomeno è sicuramente sommerso. A lanciare l’allarme, chiedendo alle istituzioni e alle scuole in primis strategie condivise e la creazione di una vera e propria rete sono mamme e papà dell’Associazione Hikikomori Italia, molti dei quali residenti a Modena e nella regione Emilia Romagna. Attualmente i gruppi attivi, a livello regionale, sono sei di cui uno che riunisce le province di Modena e Reggio. Complessivamente, nel 2023, all’associazione erano iscritte oltre 70 famiglie dell’Emilia Romagna. Di recente due importanti organi di ricerca nazionali hanno provato a mappare il fenomeno all’interno della popolazione studentesca del nostro paese; lo studio del CNR e quello dell’ISS.

Il CNR ha rilevato circa 50mila hikikomori nella fascia di popolazione tra i 15 e i 19 anni, mentre l’ISS ne ha identificati circa 65 mila tra gli 11 e i 17 anni. Anche nel nostro paese, inoltre, il Covid ha contribuito ad accelerare la diffusione del fenomeno.

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Le famiglie spesso si sentono abbandonate dalle istituzioni e proprio nell’associazione hanno trovato conforto e supporto, come spiegano diversi genitori. A raccontare la propria esperienza è ad esempio una mamma modenese, tra i coordinatori del progetto. “La diagnosi non è prevista poiché non è una patologia – spiega – si identifica il ritiro sociale, la fobia sociale e scolastica e a seconda dell’età del ragazzoa seconda dei territori c’è una presa in carico. A Modena c’è il progetto Riso ma a seconda delle situazioni si individuano percorsi diversi. L’associazione – racconta – è nata a Torino grazie ad una mamma e ci ha permesso di lavorare tutti insieme, come genitori, su percorsi paralleli. In molti casi i ragazzi, soprattutto i più giovani, si chiudono in camera e non si fanno neppure vedere dai genitori. I ragazzi sfuggono all’etichetta, all’essere schedati, valutati. In questo modo si tirano fuori da qualsiasi contatto con la società. I campanelli d’allarme? l’abbandono progressivo delle attività sociali, come lo sport, scout, polisportiva e gruppo degli amici. In seconda battuta c’è il ritiro da scuola, con una frequenza sempre maggiore e più o meno contemporaneamente si affianca l’inversione del ritmo sonno veglia: stanno svegli la notte e dormono di giorno, quindi difficilmente riescono ad andare a scuola.Mio figlio ha iniziato a dare questi segnali a 17 anni, nell’autunno del 18esimo, con l’inizio della quarta superiore, ha lasciato lo sport, gli scout e la scuola: ha contato i voti presi dall’inizio dell’anno, quarantacinque prima di Natale e si sentiva come controllato, omologato alla società. Si ritraggono da questo modello di società perchè chiede tanto. Noi abbiamo iniziato a fare sempre meno richieste, abbiamo imparato a limitarci: lui è un ragazzino brillante ma anche noi pretendevamo; eravamo genitori con richieste e aspettative e ce ne siamo resi conto”.

A parlare è anche un’altra mamma modenese. “Mia figlia ha quindici anni ed è entrata in ritiro totale a 12 anni, in seconda media. Ha iniziato a dire che aveva mal di pancia, crisi di panico e ansia. Arrivavamo davanti alla scuola e tornavamo a casa. Tra novembre e dicembre sono iniziate le assenze continuative e a gennaio si è bloccata del tutto. La prima cosa che fa la scuola, però, è dirti che tuo figlio ha un problema psicologico. Ci hanno inviato a fare diagnosi ma è errato perchè quando i ragazzi entrano in ritiro per un intervento è già tardi. Quando entrano nella fase acuta vanno recuperati con altre strategie. Quindi serve prevenzione: nelle scuole non fanno caso alle segnalazioni ma noi le avevamo fatte. Servirebbero strategie concrete: se il genitore va a scuola e racconta questi episodi non serve proporre lo psicologo ma magari un tutor che la aiuti ad entrare in classe”.



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