Dimenticate gli Stati Uniti. Il vero problema dell’Europa è che “si è autoimposta con successo dazi”. Dalle colonne del Financial Times, Mario Draghi, l’ex premier ed ex presidente della Banca Centrale Europea (BCE) segnala come le ultime settimane abbiano messo chiaramente in mostra “le vulnerabilità dell’Europa”:
“L’Eurozona è cresciuta a malapena alla fine dell’anno scorso, sottolineando la fragilità della ripresa interna. E gli Stati Uniti hanno iniziato a imporre dazi sui loro principali partner commerciali, con l’Ue destinata ad essere la prossima nel mirino. E questa prospettiva getta ulteriore incertezza sulla crescita europea data la dipendenza dell’economia dalla domanda estera”.
Da qui, l’appello ai membri dell’Unione Europea a prendere in mano la situazione e a uscire dall’impasse in cui si trovano.
L’autoimposizione dei dazi
Uno dei punti chiave dell’editoriale di Draghi riguarda, come anticipato, l’auto-imposizione di dazi da parte dell’Europa. In pratica, secondo l’ex presidente della BCE, l’Unione Europea avrebbe creato barriere interne che sono più dannose per la crescita economica rispetto ai dazi imposti da paesi terzi, come quelli in arrivo dagli Stati Uniti. Queste barriere, che includono regolamentazioni e normative complesse, hanno un impatto negativo sull’economia europea, limitando la competitività delle aziende europee sia a livello locale che internazionale.
“Finora l’Europa si è concentrata su obiettivi singoli o nazionali senza calcolarne il costo collettivo”. Il denaro pubblico – spiega – “è servito a sostenere l’obiettivo della sostenibilità del debito” e “la diffusione della regolamentazione è stata progettata per proteggere i cittadini dai nuovi rischi tecnologici. Le barriere interne sono un retaggio di tempi in cui lo stato nazionale era la cornice naturale per l’azione. Ma – prosegue Draghi – è ormai chiaro che agire in questo modo non ha portato né benessere agli europei, né finanze pubbliche sane, né tantomeno autonomia nazionale”.
Draghi fa riferimento in particolare a uno studio del Fondo monetario internazionale, secondo il quale le barriere interne all’Europa equivalgono a un dazio del 45% sulla produzione e del 110% sui servizi. Questa situazione crea una distorsione significativa nel mercato unico europeo, ostacolando la libera circolazione di beni e servizi e riducendo le opportunità di crescita per le aziende.
Le conseguenze sulle aziende tecnologiche
Particolarmente pesante, secondo Draghi, è l’impatto delle regolamentazioni europee sulle aziende tecnologiche. Normative come il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) hanno comportato costi elevati per le piccole e medie imprese europee, riducendo i loro profitti di circa il 12%.
Questo freno alla crescita ha impedito all’Europa di sviluppare aziende tecnologiche competitive a livello globale, lasciando il campo libero a giganti americani e asiatici. In un contesto in cui l’innovazione è fondamentale per la crescita economica, Draghi avverte che la mancanza di un ambiente favorevole all’investimento in ricerca e sviluppo sta creando un divario sempre più ampio tra l’Europa e altre regioni del mondo.
La dipendenza dalla domanda esterna
Un altro punto cruciale sollevato da Draghi è la dipendenza dell’Europa dalla domanda esterna. La difficoltà nel ridurre le barriere interne ha portato a una vulnerabilità crescente nei confronti delle fluttuazioni economiche globali. L’economia europea si trova quindi in una posizione instabile, dove eventi esterni possono avere ripercussioni significative sulla crescita interna.
In questo contesto, Draghi sottolinea l’importanza di una politica fiscale più attiva, suggerendo che l’Europa aumenti gli investimenti produttivi per stimolare la domanda interna e ridurre i surplus commerciali. A differenza degli Stati Uniti – ricorda Draghi – dove il governo ha iniettato ingenti somme nell’economia attraverso deficit primari tra il 2009 e il 2024, l’Europa sembra essere rimasta indietro nel promuovere misure fiscali espansive.
Un cambio di mentalità necessario
L’ex premier italiano insiste sulla necessità di un cambio di mentalità tra i leader europei per ripristinare la competitività dell’Unione Europea. Continuare a concentrarsi su obiettivi nazionali senza considerare il costo collettivo delle proprie azioni non porterà a prosperità né a una gestione sana delle finanze pubbliche.
L’appello di Draghi è chiaro: è tempo che l’Europa superi le sue divisioni interne e si concentri su una strategia comune che favorisca la crescita sostenibile per non rimanere intrappolata in una spirale di stagnazione economica e vulnerabilità crescente.
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