“Papà è clinicamente claustrofobico. Rifiuta il cibo, e se prova a mangiare, vomita tutto. Non riesce a riprendere peso, non sta facendo alcuno sciopero della fame volontario, come dicono i giudici. Ogni volta che lo vedo è uno shock: con due dita riesci a fargli il giro delle caviglie. È spaventoso”
Paolo, suo padre, condannato nel 2022 a sette anni di carcere con l’accusa di bancarotta, è stato estradato dagli Emirati Arabi in Italia nell’agosto 2024 e portato nel carcere Mammagialla di Viterbo per scontare un residuo di pena di 6 anni, 5 mesi e 12 giorni della condanna definitiva per il fallimento di Gruppo Immobiliare 2004 e delle società Mib Prima e Porta Vittoria. Come avete vissuto e state vivendo la cosa?
Dal punto di vista familiare – spiega il figlio dell’immobiliarista, che ha cominciato ad avere guai con la giustizia nel 2007, quando era all’apice della carriera e della ricchezza – è una sofferenza, anche perché io e papà abbiamo un rapporto che non è quello classico tra padre e figlio. Vivevamo in simbiosi e avevamo un rapporto veramente unico. Da quando è tornato in Italia è straziante.
Ma logisticamente come funzionava? Perché voi come famiglia vivete in Svizzera, mentre suo padre era negli Emirati Arabi, tecnicamente da latitante per la giustizia italiana.
Certo, certo. Io vivo in Svizzera, papà era negli Emirati e quindi già lì soffrivamo tanto la distanza, perché io vado a scuola qui, lui stava lì, però comunque bene o male riuscivamo a tenerci in contatto, con i telefoni, con le videochiamate. Poi appena potevo andavo a trovarlo, e quindi il rapporto c’era ancora. Adesso questo rapporto è sicuramente un po’ più complicato e quando lo vado a trovare in carcere ci sono due emozioni contrastanti. Sicuramente sono felice di rivederlo, ma c’è anche una sofferenza nel vederlo così. Adesso papà sta veramente male, sta in sedia a rotelle…
Cos’ha in particolare suo padre?
Papà è clinicamente claustrofobico, con una serie di patologie acclarate sia dai nostri periti che dai periti del tribunale. Rifiuta qualunque cibo, e anche se mangia, vomita tutto.
Nell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma, che pure riconosce le condizioni precarie del detenuto, si legge che “la mancata assunzione di cibo o di integratori sia volta a rafforzare e amplificare le conseguenze del quadro psicologico in essere e quindi deve essere ricondotta alla volontarietà dell’evento finalizzata all’ottenimento della scarcerazione”. In sostanza i giudici sostengono che suo padre abbia smesso di mangiare apposta.
Non è così. Papà non riesce a riprendere peso, ha perso ormai 25 chili e non sta facendo alcuno sciopero della fame volontario. Noi dal primo momento in cui è rientrato in Italia abbiamo cercato di ottenere i domiciliari, perché c’erano già state situazioni precedenti come questa, perché la sua condizione è riconosciuta da tempo. Dopo che ce li hanno rifiutati, abbiamo fatto ricorso e il Tribunale di sorveglianza ha nominato dei consulenti medici (ctu), che hanno depositato una perizia in cui si certificava che la situazione era grave e che mio padre doveva uscire dal carcere perché incompatibile con la detenzione e che necessitava assolutamente di un percorso di recupero in una struttura sanitaria, in regime di domiciliari. La perizia, depositata a gennaio, riguardava la situazione del 17 dicembre. Situazione che da allora si è ulteriormente aggravata. Ciononostante, i domiciliari in struttura sanitaria (con braccialetto elettronico) gli sono stati negati.
Nell’ordinanza di rigetto del Tribunale si parla di “pericolosità sociale del condannato” e di “attuale ed elevato pericolo di commissione dei reati, prima tra tutti l’evasione” e di rischio di fuga nonostante il dispositivo elettronico, “che non impedisce assolutamente lo spostamento”: Inoltre, secondo i giudici, “non sussiste alcuna incompatibilità con il regime carcerario”, vista “la possibilità di gestione delle sue problematiche psicofisiche tramite viste periodiche da parte dello psicologo, dello psichiatra, del nutrizionista”.
La verità è che non c’è modo che in carcere possa migliorare, per questo è incompatibile. È il contrario di quello che hanno scritto i giudici, che si sono sostituiti ai medici da loro stessi nominati, senza mai vedere mio padre. Ma è un accanimento che è iniziato tantissimo tempo fa, questa è solo la vicenda più recente. Si parla di pericolo di fuga nonostante il braccialetto, di pericolosità sociale come fosse un boss mafioso o un terrorista, quando gli contestano reati finanziari e quando è uscito innocente da quasi tutti i continui processi a cui lo hanno sottoposto, come nel gioco “Ritenta e sarai più fortunato”. Come si può parlare di pericolosità sociale per un reato finanziario?
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