La vicenda sottoposta all’attenzione dei giudici di legittimità riguardava il diniego opposto dall’Agenzia delle Dogane alla richiesta di rimborso di dazi versati a seguito di una rettifica della classificazione doganale operata al momento dell’importazione.
Al riguardo, i giudici sia di prime che di seconde cure avevano respinto la doglianza dell’operatore – relativa alla mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Ufficio, prima dell’emissione del provvedimento di diniego – dal momento che, nel caso di specie, il rigetto era stato disposto dall’Ufficio a seguito di un’istanza presentata dalla parte e, in ogni caso, era seguito a plurimi contenziosi in ordine alla classificazione doganale dei prodotti importati, nel corso dei quali entrambe le parti avevano avuto la possibilità di argomentare diffusamente le proprie ragioni.
A seguito del ricorso presentato dall’operatore, la Suprema Corte ha ripercorso l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, volto a intendere il diritto al contraddittorio, e le relative violazioni, in termini strettamente sostanziali.
I giudici hanno rilevato, in particolare, come l’attivazione di un procedimento amministrativo su istanza della parte privata (come, nella specie, per l’ottenimento di un rimborso) realizzi in re ipsa un necessario contraddittorio iniziale sulla base di atti e documenti dalla medesima introdotti. Nella misura in cui l’Amministrazione adotti la propria decisione esclusivamente sul fondamento di tali elementi, senza procedere d’ufficio a ulteriori acquisizioni istruttorie, pertanto, il difetto di una specifica interlocuzione prima dell’adozione del provvedimento sfavorevole – tenuto conto che la parte ha già avuto modo di rappresentare la sua posizione, semplicemente non condivisa dall’Amministrazione – assumerebbe un valore meramente formale.
È fatta salva, sottolinea la Corte, l’allegazione della concreta lesione al diritto di difesa che l’operatore abbia sofferto in ragione della mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale.
Tale onere di fornire la c.d. prova di resistenza (in forza della quale la violazione del contraddittorio può comportare l’annullamento della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso) deve essere inteso in modo particolarmente stringente, dovendo la parte, ad esempio, allegare errori dell’Amministrazione nella lettura di un testo o nella ricostruzione (di un elemento) della fattispecie, senza potersi limitare a dedurre la pura e semplice violazione della previsione partecipativa.
La Suprema Corte ha respinto, altresì, l’eccezione di violazione dell’art. 10-bis della L. 241/90, relativo all’obbligo di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento, nei procedimenti amministrativi su istanza di parte. I giudici hanno richiamato, in particolare, le motivazioni con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 comma 7 della L. 212/2000, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione (Corte Cost. n. 47/2023).
E in verità, nel vigente sistema tributario, difetta una disciplina positiva che generalizzi, in capo all’Amministrazione finanziaria, l’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, al di fuori delle fattispecie normative in cui ciò è espressamente previsto.
Benché il procedimento tributario costituisca una species del procedimento amministrativo, a differenza di quest’ultimo non contiene previsioni generali in ordine alla formazione partecipata dell’atto impositivo che ne costituisce l’eventuale atto conclusivo. Al contrario, l’art. 13 comma 2 della L. 241/90, che reca la disciplina generale sul procedimento amministrativo, esclude l’applicabilità delle disposizioni del Capo III, dedicate alla partecipazione al procedimento amministrativo, ai procedimenti tributari, per i quali “restano […] ferme le particolari norme che li regolano”. Deve pertanto ritenersi inapplicabile, in ambito tributario, l’istituto del preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della L. 241/90, dal momento che spetta esclusivamente al legislatore individuare, in specifiche disposizioni, istituti partecipativi che, bilanciando i differenti interessi in gioco nel procedimento tributario, garantiscano il necessario contraddittorio con i contribuenti.
L’interpretazione, restrittiva e sostanzialistica della Suprema Corte potrebbe, oggi, trovare superamento nelle formulazioni dell’art. 6-bis della L. 212/2000, per quanto riguarda l’ambito tributario, e dell’art. 42 del DLgs. 141/2024 (Nuove disposizioni di attuazione del codice doganale dell’Unione), nel settore doganale, che prevedono un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale.
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