Carla Filosa – Perché riarmo? – OP-ED

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di Carla Filosa

Roma, 17.02.2025

In questi ultimi tempi siamo entrati nell’ottica di un necessario riarmo europeo, introdotti qualche settimana fa dal “Meno Europa più libertà” di Matteo Salvini al raduno dei “patrioti” alla periferia di Madrid. Sono gli stati dunque a legittimare l’Europa, (quale Europa per altro?) e non quest’Europa indeterminata, o meglio invocata dall’estrema destra, a legittimare gli stati, peraltro profondamente ineguali che la compongono?

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L’attualità sembra richiedere lo smantellamento delle istituzioni sovranazionali, se si tifa per l’Occidente, e quindi ci si predispone “liberamente” a un procedere in ordine sparso verso accordi bilaterali, che l’imperialismo del dollaro sta richiedendo con un comando sempre più legato alla persuasione delle armi. Per l’Europa in questione non c’è problema, dato il suo stato ectoplasmatico buono solo a garantire l’uso di superiore e indiscutibile richiesta di leggi essenzialmente atte all’erosione del salario sociale di classe, nella cosiddetta sovranità appartenente al popolo. L’Europa riunita in questa settimana invece a Parigi, e non a Bruxelles, deve decidere se diventare maggiorenne dal tutorato Usa e entrare nell’ottica bellicista alla pari con i massimi imperialismi mondiali, o relegarsi definitivamente nella subalternità non solo difensiva, ma soprattutto nell’ulteriore sviluppo produttivo in un asfittico mercato mondiale, in cui l’esportazione di capitali dev’essere pilotata dalla politica dell’alleato sovrastante.

Le recenti dimissioni dall’OMS, invece, e dagli ultimi accordi di Parigi sul cambiamento climatico da parte Usa, l’attacco ai giudici italiani promosso da Musk, seguito da quello del governo italiano alla Corte penale internazionale comunitaria hanno già trascinato il nostro stato – da tempo colonia statunitense – nell’obbedienza all’indebolimento di un’Europa mai nata politicamente, ma da usare in modo surrettizio nelle forme servili di capitali da fondere o acquisire da parte dei monopoli più forti.

É incredibile che la cosiddetta sinistra si stupisca ancora del fatto per cui una delega elettorale al governo di uno stato del capitale possa esercitare il suo immanente “diritto” al comando. Le legalità costituzionali, infatti, quelle dei diritti universali sanciti dalla Carta dell’Onu, le norme del diritto internazionale, convenzioni ed obblighi assunti possono essere annullati all’istante, se lo stato asservito alla proprietà privata debba farsene tramite in fase di crisi. Ogni controllo o garanzia civile può saltare senza remore, e senza poter “rilanciare” né democrazie né istituzioni internazionali. O si ha una forza di classe per riconquistarle ogni giorno, o si perdono per effetto della lotta di classe padronale sempre in atto. La libertà dei “patrioti”, dei salviniani, degli Afd tedeschi, dei lepenisti, e destrorsi d’ogni risma quali ascari della sola “libertà dei capitali” di sempre, consiste nel loro salvacondotto dal far avanzare ovunque l’ulteriore precarizzazione di vita delle popolazioni europee, e non solo, nell’abbassamento salariale in tutte le sue forme dirette, indirette e differite.

È così che l’Europa in cerchio blu a stelle dorate si prepara alla guerra. Ursula von der Leyen l’ha chiaramente annunciato, la scorsa settimana, alla Conferenza sulla sicurezza a Monaco, varando una clausola d’emergenza (“escape clause”) con cui permettere agli stati membri di aumentare le spese militari oltre il Patto di stabilità. Da Bruxelles inoltre saltano anche gli accordi equilibristi del Wto, per “ricambiare” i dazi trumpiani con lo stesso intento di guerra commerciale, facendo emergere alla luce del sole che l’imperialismo più sviluppato nelle sue forze produttive del grande capitale transnazionale può, di fronte alla crisi che perdura, fagocitare anche l’apparente “indipendenza giuridica di stati sovrani”, nel riassetto necessario della proprietà. Pagare fino al 5% del Pil da parte di ogni paese europeo – questa la richiesta imposta dagli Usa – significa infatti incrinare profondamente o proprio annientare la spesa pubblica interna ai cosiddetti alleati, ma in modo forzoso, o più chiaramente nemici se non proni agli investimenti profittevoli esteri statunitensi.

Intanto la spesa militare Ue è già arrivata nel 2024 alla media del 2% del Pil, come imposto dalla Nato e come tributo alla “pace giusta” che von der Leyen sembra invocare, a copertura dei trasferimenti di plusvalore (ricchezza socialmente prodotta gratis e privatamente appropriata) dato il calo dell’accumulazione del capitale mondiale. È da ricordare allora che con la forma del capitale finanziario il potere statale ha ormai stabilmente acquisito lo status di “rapinatore” della ricchezza altrui, unitamente al suo apparato militare centralizzato. Tutte le guerre che gli Usa hanno intrapreso dal 1945 a oggi sono servite a estendere il dominio di quel capitale finanziario, con monopoli industriali e cartelli bancari, mentre i costi sono stati pagati dagli “alleati” coartati, tra cui l’Italia, oltre all’indebitamento federale, statale e privato Usa arrivato intorno ai 30mmrd $, e all’indebolimento valutario del $. Che poi questa non sia la “nuova realtà” dichiarata da Ursula, ma semplicemente il cadere della maschera “competitiva e transnazionale” dell’imperialismo aggressivo di sempre, evidenzia che la conflittualità tra capitali non dismette mai la conflittualità nei confronti del lavoro. Che i dazi trumpiani ricadano successivamente su aggravi di spese su cittadini statunitensi, non è un problema delle classi dominanti e lobby al potere. MAGA non significa infatti che i cittadini Usa otterranno più risorse per vivere, America, l’ultima A si riferisce infatti al complesso militare industriale del paese, non certo ai suoi poveri laboriosi alle prese con l’inflazione.

Il riarmo tedesco permetterà forse di annoverare la Germania al terzo posto dopo Usa e Cina per spese militari, in mancanza ormai – data l’attuale recessione – di mantenere un primato europeo come principale potenza economica. Si sta predisponendo un “Nuovo Ordine”, cioè, dovuto al reiterato abbandono del controllo militare a guida Usa-Nato in questa porzione continentale, e l’avvio di guerre limitrofe destabilizzanti l’economia e la politica dei principali paesi nella zona occidentale. Cosa e soprattutto quando il riarmo tedesco (forse entro il 2031 203.000 militari attivi, con un settore specifico per il cyberspazio) mostrerà un cambiamento nella politica europea, al momento non è dato sapere. Il ministro della Difesa della Germania, Boris Pistorius da tempo parla di una guerra europea (forse con la Russia?) cui necessita una ristrutturazione di tutte le forze armate, e a cui aggiunge un reparto anche per le operazioni di informazione e disinformazione, che per ora costano solo 200 miliardi di euro.

Alcuni analisti leggono le attuali guerre in termini di “transizione egemonica” della “crisi della Pax americana”[1], ovvero la caduta del belletto Usa di esportare democrazia, diritti e benessere nel resto del mondo, lasciando al loro posto i soliti, sorprendenti rapporti di forza. L’illusione di aver ingabbiato guerra (definita come “regola della storia”) e violenza nel XXI secolo, entro il “semi-protettorato” Usa, ha lasciato trapelare la perdita della sicurezza collettiva, cui si risponde con l’altra illusione dell’incremento di quella privata, immancabilmente favorendo così il prosperare del business delle imprese di vigilanza.

Non si tratta però, nell’ottica di questa brevissima riflessione, di dimenticare il passato bellicista dell’Europa o dell’Italia, bensì di dismettere un semplicistico abito geopolitico indicatore di una verità solo troppo parziale. Da sempre infatti la Pax Americana ha nascosto una comunicazione ingannevole funzionale all’esercizio della violenza di classe a protezione dello sfruttamento destinato al lavoro dallo scambio ineguale col capitale. E la violenza, che vediamo ancora in Ucraina e a Gaza, in Congo e nelle altre 50 guerre nel mondo, è solo l’utile strumento, non la causa dei conflitti sempre in corso. E sempre non significa che la guerra sia insita nella “natura umana”, ma che ha specificità epocali da riconoscere e quella del nostro tempo riguarda la guerra di classe mondiale del modo di produzione capitalistico basato sul comando sulla forza-lavoro mondiale. Non inganni l’indipendenza giuridica dei paesi del finto dismesso colonialismo, ristabilito per vantaggi economici nei termini adeguati ai grandi imperialismi mondiali (non a caso l’Europa viene scartata dagli accordi di pace, di tregua o di cessate il fuoco Usa / Russia!) nel riassetto proprietario – o Nuovo Ordine, di nuovo! – del grande capitale transnazionale. Finora quest’ultimo si era riparato dietro le narrazioni delle “armi di distruzione di massa”, “imperi del male”, e così via mentendo, mentre la guerra si è trasformata in “merce” il cui uso e vendita comporta ulteriormente anche la ricostruzione, cioè appalto profittevole, profitto ulteriore, infine guerra tra classi dominanti e guerra contro quelle dominate.

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È parte inoltre della transazione politica che permane costantemente nella sua essenza, per cui gli sviluppi degli eventi bellici devono indicare le linee principali della politica, fino alla stipula della pace, se ci sarà, come fase raggiunta del soggiogamento logistico agognato. La manifestazione militare sotto gli occhi di tutti, in altri termini, procede dalla monopolizzazione dei mezzi di produzione e di sussistenza di una sola classe sempre più numericamente ristretta come potenza economica (li abbiamo visti gli oligarchi del web alla “incoronazione” di Trump!) impegnata a “preservare dal crollo l’ordine economico che va in rovina”[2]. La vittoria mediante la violenza poggia sulla produzione di armi, a loro volta sostenute da quella in generale della potenza economica che dispone dei mezzi materiali per l’esercizio della violenza stessa. Dalla seconda guerra mondiale alla ritirata rovinosa dall’Afghanistan dell’esercito Usa, molti esempi hanno convalidato il collasso della struttura militare al venir meno della base economica di supporto.

“La guerra – continua a ripetere papa Francesco – è sempre una sconfitta”. Ma qui non è contemplata la dimensione umana, men che mai quella spirituale che libera gli umani dalla necessità di attuare leggi di un sistema di potere dominante. La guerra in quest’ambito deve invece distruggere, oltre le vite anche e soprattutto la ricchezza altrui, ma a contrasto di una sovrapproduzione determinata dall’esistenza del valore. Trasferisce soltanto, quindi, la proprietà di ricchezza e valore prodotti dall’attività lavorativa, trasformata in denaro e successivamente sottratto in modo trasversale alla saturazione del mercato mondiale dovuto alla crisi strutturale del capitale. Non esiste infatti un luogo fisico prefissato in cui organizzare lo scontro tra capitali imperialistici, anche entro differenti cordate interne a ogni filiera produttiva, mentre sul campo di battaglia si muore ma non si combatte tra veri nemici, al riparo, questi, dietro “interposte persone” o “stati”, quali scudi vistosi. È di questi giorni, se si vuole una conferma di ciò, che le trattative di pace in Ucraina vengano proposte solo tra Putin e Trump, ossia altre denominazioni delle valute in competizione nelle aree valutarie di riferimento del mercato mondiale. Oppure che un Presidente degli Stati Uniti intenda vendere Gaza – proprio come Totò voleva vendere la Fontana di Trevi in un suo famoso film “Totò truffa” – mentre rifornisce Israele di armi di ultima generazione, come alla sua dependence in Medio Oriente, per ultimare lo sgombero di un possibile resort dai detriti e dalla popolazione sopravvissuta al genocidio, da mandare al macero ovunque sia.

Queste guerre dunque servono a rimpinguare non solo le industrie delle armi, ma anche tutte le altre attività connesse quali elettronica, energia, logistica, ora perfino privatizzazione dello spazio con i satelliti (Musk), spionaggio, droga, ecc. Ciò che sfugge all’attenzione dei più è però la restrizione globale dell’accumulazione cui il militarismo contribuisce, o ostacolo alla cosiddetta crescita che implica la diminuzione del lavoro, oltre le innovazioni tecnologiche sopraggiunte, conseguentemente imposta anche da leggi che ne favoriscono la precarietà, emarginazione, impoverimento e infine polarizzazione di classe.

Se l’arroganza e l’abbattimento delle istituzioni di una civiltà che aspirava a definirsi democratica, come specchio di menzogne congegnate, hanno gettato la maschera dell’umanitarismo e dei militari all’estero impegnati nel “peacekiping”, nella “lotta al terrorismo”, “lotta contro l’aggressore”, ecc., mostrando il vero volto di una guerra imprescindibile come produzione principe, resiste l’ultima maschera: MAGA, MEGA o altri acronimi dell’ultima ora che mantengono ancora nell’invisibilità l’origine dello sfruttamento lavorativo quale eternizzata condanna inflitta alla proletarizzazione globale.

Le motivazioni del riarmo europeo andrebbero cercate allora non nella necessità di una difesa a sostituzione della perdita dell’ombrello Usa, ma nella rinnovata conflittualità nei confronti dello sviluppo potenzialmente egemonico dei capitali di Cina e Russia (ora solidali rispetto alla guerra in Ucraina, da chiudere prima possibile), e loro influenza in Asia, Africa e Sud America. Spezzare questa pur fragile unità e usare l’Europa come testa d’ariete permanente contro la Russia, faciliterebbe il problematico scontro usamericano col gigante cinese. La pedina di Taiwan, nell’inderogabile protezione alla sua indipendenza dal governo di Pechino, è l’ultimo espediente militare di Washington per evitare il destino sempre più manifesto del declino del dollaro di fronte a yuan, e forse altre monete asiatiche o dei brics. Non si tratta della “nuova Gerusalemme”!

 

[1] Giacomo Mariotto, Limes, 1/25.

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[2] F. Engels, AntiDühring, 1876.

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