Dietro la caotica sconsideratezza di Donald Trump ed Elon Musk si cela una visione strategica radicata nei filosofi della modernità, interpretata da una figura che ha saputo fondere informatica, finanza e pensiero politico: Peter Thiel.
Nato a Francoforte nel 1967 si è laureato in filosofia a Stanford. Multimiliardario grazie al suo fiuto per gli affari, cofondatore di PayPal e Palantir – azienda leader nell’analisi dei dati per la sicurezza e l’intelligence – Peter Thiel è una delle figure più influenti dell’attuale panorama politico ed economico americano. Mentore del Vice Presidente J.D. Vance e principale finanziatore della sua campagna elettorale, Thiel incarna una visione neoliberista estrema, ispirata all’anarcocapitalismo di Murray Rothbard e David D. Friedman (figlio del celebre economista Milton Friedman), fondata sull’eliminazione dei monopoli statali: dalla moneta alla sicurezza fino alla giustizia.
Molti sono i punti di convergenza di questo riservato consigliere del Principe con la politica di Trump, a partire dalla critica della globalizzazione, che avrebbe prodotto stagnazione e disuguaglianza invece che progresso e innovazione: “La globalizzazione è stata sopravvalutata. L’idea che il mondo stia diventando più piccolo non è così vera. È la tecnologia a guidare il futuro, non il commercio mondiale“. Tuttavia, Thiel non è un nazionalista nel senso tradizionale. Il suo pensiero politico si orienta piuttosto verso un elitismo tecnocratico, ispirato in gran parte a Leo Strauss, il filosofo conservatore noto per la sua critica alla democrazia parlamentare, per la difesa della religione come fondamento dell’ordine politico, la valorizzazione della decisione rapida, del potere concentrato nelle mani di pochi, oltre alla profonda sfiducia nella “volontà generale” e nel pluralismo indiscriminato. A Strauss Thiel ha dedicato nel 2004, un lungo saggio più volte aggiornato: “The Straussian moment”.
Come per Strauss la filosofia politica è riservata a un élite di pensatori, lontana dalla banalizzazione delle masse, così per Thiel il potere e l’innovazione devono essere affidati a una minoranza di individui di talento, liberi da eccessivi vincoli democratici. Non a caso, la tesi centrale della sua visione politica è che libertà e democrazia non sono compatibili, poiché la partecipazione diffusa tende a limitare la capacità decisionale e l’efficienza dei governanti.
Thiel mostra una particolare considerazione anche per le idee di Carl Schmitt, il filosofo politico tedesco, noto per la sua adesione al nazismo, ma soprattutto per la sua teoria della sovranità, per la distinzione amico/nemico come fondamento della politica, e per la critica del liberalismo parlamentare, ritenuto incapace di gestire i conflitti reali del potere. “Il liberalismo è una negazione della politica: cerca di risolvere i conflitti con discussioni infinite invece che con decisioni sovrane.”
Se per Schmitt il sovrano è colui che decide sullo stato d’eccezione, per Thiel il potere si colloca “oltre la legge”, sfuggendo ai vincoli normativi che, in nome della sicurezza, della tutela della privacy e della prevenzione dell’estinzione umana, finiscono per soffocare l’imprenditore creativo caro a Schumpeter – figura chiave del progresso economico, caratterizzata da audacia, fiducia nel futuro e propensione al rischio.
Nella libreria filosofica di Thiel, c’è spazio per il Leviatano di Hobbes in una prospettiva tecnocratica globale in cui uomini straordinari possano esercitare la loro volontà sulla società, senza regole imposte da governi, regolamenti o politiche di redistribuzione economica; e c’è spazio per il Nietzsche di Umano troppo umano che afferma: “La mediocrità è la maschera più felice che lo spirito superiore possa portare, poiché essa non fa pensare alla gran massa, cioè ai mediocri, che si tratta di mascheramento.” Alla base del suo pensiero vi sono i principi di John Locke: libertà assoluta dell’individuo, legittimità della proprietà privata e padronanza della propria vita. Ed è proprio la caducità della vita a emergere con forza nella sua visione di individualismo esasperato: l’ossessione per la morte lo spinge a cercare soluzioni estreme per sconfiggerla, tanto da investire ingenti risorse nella ricerca sulla longevità. Ha stipulato, infatti, un contratto con Alcor Life Extension Foundation per la crioconservazione del suo corpo, sperando che la scienza futura possa riportarlo in vita. Come ha affermato lui stesso: “Ci viene detto che è inevitabile per scoraggiarci dal combatterla.”
Tornando ai vincoli imposti dalla democrazia, Thiel, in sintonia con Musk, evidenzia una netta disparità tra i settori dell’innovazione: mentre negli ultimi decenni il progresso nel mondo dei bit (informatica, internet, intelligenza artificiale) è stato esponenziale, nel mondo degli atomi (manifattura, energia, trasporti, spazio) è rimasto sorprendentemente lento. Se il digitale ha trasformato radicalmente comunicazione e informazione, le tecnologie materiali hanno registrato solo miglioramenti incrementali, senza le rivoluzioni previste.
L’industria spaziale è un caso emblematico: dopo lo sbarco sulla Luna nel 1969, si immaginavano colonie lunari e viaggi interplanetari, ma queste ambizioni non si sono concretizzate. Tra le principali cause della stagnazione tecnologica nel mondo fisico, Thiel individua l’eccesso di regolamentazioni, i vincoli burocratici, gli accordi internazionali restrittivi su clima e risorse, e una tutela della privacy che, anziché incentivare l’innovazione, finisce per soffocarla. Un esempio lampante è l’Unione Europea, dove la centralità delle regolamentazioni ha frenato la crescita del settore tecnologico, rendendolo meno competitivo e meno attraente per gli investimenti innovativi rispetto agli Stati Uniti o alla Cina. E proprio questa è stata la lezioncina che Vance ha impartito ai paesi dell’UE nel recente, (fallimentare) summit di Parigi sull’Intelligenza Artificiale.
Il liberalismo ha riconosciuto la democrazia solo agli inizi del XX secolo e, concretamente, solo dopo la Seconda guerra mondiale. Tuttavia, negli anni settanta sono iniziati i primi ripensamenti, come testimonia il rapporto della Commissione Trilaterale La crisi della democrazia. Questo “manifesto”, pubblicato nel 1975, analizzava le tensioni delle democrazie occidentali, sostenendo che un’eccessiva partecipazione politica e la moltiplicazione delle rivendicazioni sociali stessero causando un sovraccarico decisionale, indebolendo così l’efficacia del governo e la sua legittimità. Pur affermando che troppa democrazia nuoce alla democrazia, Huntington e i suoi colleghi non proponevano, tuttavia, di abbandonarla, ma di trovare piuttosto un equilibrio tra partecipazione e governabilità. Peter Thiel, invece, va oltre: sostiene apertamente che libertà e democrazia sono incompatibili. Se è davvero lui la mente strategica del trumpismo, le prospettive per il futuro non sembrano affatto rassicuranti.
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