Un fronte comune europeo, superando le divisioni che finora hanno attraversato l’Ue nel sostegno all’Ucraina. Ma tenendo «agganciati» gli States: «Senza gli Usa a bordo non si va da nessuna parte», la convinzione ribadita da fonti diplomatiche italiane in queste ore di panico sulla rotta Monaco-Kiev. Così mentre in Baviera si fa largo l’idea che in realtà sia l’America a non volerci a bordo – via l’Ue dai negoziati, le parole dell’inviato speciale degli Stati Uniti per l’Ucraina e la Russia, Keith Kellogg – Roma vede spiragli. Il Segretario di Stato Marco Rubio sarebbe stato «più prudente e molto meno tranchant» di Kellogg. Non è tanto ma abbastanza per poter sperare di portare anche l’Europa al tavolo dei negoziati. «Bisogna occuparsi, più che preoccuparsi», esorta il ministro agli Affari esteri Antonio Tajani: «agitarsi è segno di debolezza, non è un segno di un’Europa che vuole essere forte».
Meloni e il segnale all’Ue: difesa comune anti-Putin. Vertice sull’Ucraina a Palazzo Chigi
DA CRISI A OPPORTUNITÀ
Calma e gesso, dunque, per far sì che l’Europa resti in partita. Trasformando «crisi e difficoltà in un’opportunità». Un concetto caro a Giorgia Meloni, pronta a ribadirlo agli altri leader europei domani, al vertice d’emergenza che Emmanuel Macron sta tentando di organizzare a Parigi con una girandola di chiamate e contatti tra i 27 che va avanti da venerdì sera. Obiettivo studiare una reazione unitaria alla corsa americana all’accordo che rischia di mandare fuori strada europei e ucraini.
All’ultimo Consiglio Ue informale di inizio febbraio la premier aveva invitato gli altri leader ad evitare il «muro contro muro» con Washington. Certo, non era ancora arrivato il piano choc di Trump per Gaza, né tantomeno il tycoon aveva lanciato strali all’Europa annunciando una guerra all’insegna dei dazi. Da qui un profilo più defilato, improntato alla prudenza. Ma a Palazzo Chigi resta ferma la volontà di «evitare lo scontro o operazioni di allontanamento», tanto più su un terreno delicato come la guerra in Ucraina. Il fronte deve essere comune, anche a protezione di Kiev semmai si arriverà alla pace. «Bisogna dialogare», il must che Meloni porterà ancora una volta al tavolo europeo, dicendosi pronta a fare la sua parte, forte di quel rapporto privilegiato che la premier pensa di aver instaurato con Trump, complice il blitz a Mar-a-Lago.
«Trasformare le difficoltà in opportunità», si era detto, richiamando un vecchio motto caro alla premier. Ebbene, la sterzata di Trump sull’Ucraina per Meloni può rappresentare un’occasione per dare la sveglia all’Europa, puntando a una maggiore autonomia strategica, anche in campo militare. Un obiettivo destinato a restare chimera se Bruxelles rimarrà imprigionata nella gabbia delle ferree regole che la governano. Per questo, l’annuncio di Ursula von der Leyen – scorporare le spese militari dal Patto di stabilità – per Roma deve diventare realtà prima possibile. «Il passo da bradipo dell’Ue stavolta non è ammesso». La presidente del Consiglio intende fare pressing sugli alleati europei, tentando di sconfiggere i dubbi di chi teme che i conti del Vecchio Continente saltino tenendo le armi fuori dai vincoli di bilancio. Gli ossi duri da convincere sono soprattutto Germania – con l’incognita del voto tra una manciata di giorni – e Olanda. I paesi frugali, pur da sempre restii ad allentare i paletti, sono più sensibili al tema della difesa, quindi potrebbero mitigare le loro posizioni. Su questa partita, Meloni potrebbe trovare un alleato in Macron, per una volta dalla stessa parte della barricata. Del resto aumentare le spese in difesa per l’Italia è diventata una priorità. Netta, certa, assoluta. E non è più solo una questione di “compiti da fare a casa”, con l’asticella della spesa sul Pil da portare al 2%. Sulla deadline del 2028 si può trattare: l’Italia ha già in corso un dialogo con la Nato per includere nel “paniere” delle spese anche gli acquisti digitali. Leggi satelliti, IA, superpc, componenti cyber. Spese oggi tenute fuori dai conteggi. «Se li includessimo, saremmo già al 2% o poco sotto. Quando Trump batte i pugni chiedendo si arrivi al 5% è anche a quella sfera lì che sta alludendo», spiega un autorevole fonte. Del resto, il mondo sta cambiando. Anzi, è già cambiato da un pezzo.
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