Rapina in gioielleria, in collegamento dal carcere il boss di mafia viterbese Giuseppe Trovato

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Tribunale – È accusato di essere il mandante del colpo da centomila euro messo a segno il 14 marzo di sette anni fa a piazza del Teatro


Il boss Giuseppe Trovato

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Antonio Loria

Antonio Loria

L'avvocato Giuseppe Di Renzo

L’avvocato Giuseppe Di Renzo

La perita trascrittrice Maria Mammolo

La perita trascrittrice Maria Mammolo

Viterbo – (sil.co.) – Rapina da Bracci, rinviato il processo al boss calabrese di mafia viterbese Giuseppe Trovato e al presunto complice campano Antonio Loria. Trovato, per l’occasione, questo martedì era in collegamento video dal carcere con l’aula 5 del tribunale di Viterbo, dove si è svolta l’udienza lampo davanti al collegio. Non c’erano i due coimputati, tra cui una delle donne che fecero da palo.

Al centro ancora la rapina da centomila euro alla gioielleria Bracci del 14 marzo 2018. Imputati i due presunti mandanti e una delle due donne che hanno fatto da palo alla coppia di esecutori materiali del colpo, Lo scorso primo ottobre era stato rinviato per dare tempo alla perita Maria Mammolo, nominata dal collegio, di trascrivere le intercettazioni che hanno incastrato il ristoratore Antonio Loria e l’allora titolare di tre compro oro Giuseppe Trovato.

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La perita ha nel frattempo chiesto una proroga e di essere affiancata da un traduttore di dialetto casertano. Ieri invece l’udienza è stata rinviata a giugno per il legittimo impedimento dell’avvocato del boss, il legale Giuseppe Di Renzo, impegnato in un maxi processo contro la criminalità organizzata a Vibo Valentia.  

All’udienza dello scorso 14 maggio si è parlato del ruolo di Loria, il ristoratore 53enne d’origine campana accusato con il boss di mafia viterbese Giuseppe Trovato, 50 anni, di essere il basista del blitz messo a segno in piazza Verdi da due banditi la cui pistola era un ferrovecchio che si è inceppato e dalle rispettive mogli, una incinta, che facevano da palo in auto sulla salita di Santa Rosa. 

A tradire Loria sarebbe stata, in particolare, una intercettazione ambientale del successivo 31 marzo di un colloquio del rapinatore Ignazio Salone, un ex pentito detenuto dal giorno successivo a Mammagialla. Non esisterebbero però intercettazioni tra Loria, Salone e i numerosi familiari di quest’ultimo, che dopo la fuga si era rifugiato con la banda nella casa di Montalto di Castro della sorella, dove furono catturati il giorno successivo e dove furono trovati in un cofanetto in un armadio i pochi monili rimasti della refurtiva di cui si erano già disfatti. Ma parlando tra loro, i parenti di Salone avrebbero più volte nominato Loria, indicandolo come l’ispiratore della rapina.

Pesanti condanne agli esecutori materiali. Teneva in mano la pistola l’ex collaboratore di giustizia Ignazio Salone, condannato in via definitiva a 8 anni e 9 mesi di reclusione. Il complice 33enne Stefan Grancea sta scontando 11 anni e mezzo, la sorella Elena Grancea, 38enne, è stata condannata a 4 anni. In attesa di giudizio la 28enne Jenela Grancea, d’origine polacca, incinta all’epoca della rapina.


Presunzione di innocenza

Nel sistema penale italiano vige la presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva. Presunzione di innocenza che si basa sull’articolo 27 della costituzione italiana secondo il quale una persona “non è considerata colpevole sino alla condanna definitiva”

16 febbraio, 2025

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