Ministri finti e milioni veri

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Nel mondo realmente rovesciato, si sa, il vero è un momento del falso. Ma nell’epoca in cui il mondo al contrario è quello del generale Vannacci, anche Debord serve a poco, perché le notizie scorrono impazzite e non concedono il tempo necessario a riflettere. La cronaca giudiziaria, del resto, è il sottofondo di ogni giornale. Può nascondersi ovunque: nella politica, certo, ma anche negli esteri, nello sport, negli spettacoli. O in una terra sospesa tra l’assurdo e l’incredibile, quasi come il film di Orson Welles sui falsari, quello che si apre con la frase di Picasso che era bravissimo a dipingere dei finti Picasso.

C’ERA DUNQUE una volta, un paio di settimane fa in Italia, una banda di truffatori che aveva preso di mira un certo numero di noti imprenditori. Parliamo di nomi, anzi di cognomi, di peso: Massimo Moratti, Giorgio Armani, Diego Della Valle, Marco Tronchetti Provera, Patrizio Bertelli, i Beretta, i Caltagirone, gli Aleotti. Il trucco funzionava così: prima c’era l’aggancio, con i truffatori che si presentavano come funzionari del ministero della Difesa. Poi arrivava la telefonata con la voce, simulata forse attraverso un software o per merito di un talentuoso imitatore, di Guido Crosetto in persona. Infine la richiesta: soldi per liberare concittadini, per lo più giornalisti, prigionieri in Siria e in Iran. La scusa era che il governo non poteva trattare con i rapitori né pagare loro direttamente un riscatto, quindi serviva del cash istantaneo. Ma niente paura, poi ci avrebbe pensato la Banca d’Italia a rimborsare il tutto con un bonifico. Se questo non sembra un piano geniale è perché in effetti non lo è. La storia fa evidentemente acqua da tutte le parti. Ma qualcuno c’è cascato lo stesso. Sin qui l’unico che lo ha ammesso è Massimo Moratti, che avrebbe sganciato quasi un milione di euro sull’unghia. Mistero sugli altri, ma è probabile che il petroliere non sia stato il solo a versare l’obolo al fino Crosetto. La procura di Milano indaga: ci sarebbero già due persone nel mirino (stranieri, pare), via via stanno venendo fuori i conti correnti esteri sui quali i soldi estorti viaggiavano come palline da ping pong tra Hong Kong e i Paesi Bassi e già si sprecano le ipotesi su chi avrebbe architettato la truffa.
«C’è di mezzo la criminalità estera», dicono alcuni. «Ma i mandanti sono sicuramente italiani», sostengono altri. Non che la questione abbia grande importanza, anche se nel paese dei complotti, delle congiure e delle verità dette quasi sempre a sproposito, leggere nella stessa storia nomi di miliardari e di ministri fa sempre effetto.

C’È CHI si è concentrato sul lato umano della dura vicenda, soprattutto da un punto di vista classista: la plebe invidiosa non vedeva l’ora di prendere in giro i ricchi, ha scritto il noto corsivista di un grande giornale convinto che in Italia la vera categoria discriminata sia quella di chi ha i milioni in banca. Pochi hanno sottolineato che in realtà è vero il contrario: la signora di mezza età che cade nelle grinfie del tizio che si spaccia per ufficiale in pensione su Facebook è un’ingenua sprovveduta sulla quale è lecito riversare il nostro feroce e compiaciuto cinismo. Il ricchissimo che crede davvero alla favola del ministro che chiede l’elemosina invece merita tutta la comprensione del mondo. Questi software sono micidiali, no?, e se ti chiama Crosetto che vuoi fare?

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ECCO, forse il vero punto della vicenda è questo: se il ministro, un qualsiasi ministro, chiama, che si fa? La storia dei rapporti tra imprenditoria e politica, in Italia, rientra a pieno titolo nel romanzone tricolore della criminalità. Per dire, un formidabile cronista di giudiziaria come Luigi Ferrarella, un giorno del 2022, scrisse sul Corriere della Sera che su 2.565 indagati per Tangentopoli le condanne e i patteggiamenti alla fine sono stati 1.408, con 448 prosciolti per prescrizione, amnistia o morte del reo: significa 4 su 5, in proporzione. Mani pulite di certo è stata costellata di eccessi inquisitori ai limiti del tollerabile e inappropriati atteggiamenti da rockstar da parte di molti dei componenti del famoso pool, e probabilmente l’ordine dal caos andava cercato con gli strumenti della politica e non con quelli dei tribunali, ma, numeri alla mano, ha anche prodotto risultati processuali difficili da discutere. Con buona pace dei tanti garantisti per mancanza di prove, quelli che per i ricchi e potenti mettono mano a Beccaria, mentre per i poveri e disgraziati basta Lombroso.

Hanno individuato delle persone disponibili per l’Italia, per l’amore che hanno per l’Italia, a fare un bonificoGuido Crosetto (quello vero)

AD OGNI MODO, la parabola dei finti crosetti – incidentalmente ambientata a Milano proprio come Tangentopoli – forse autorizzerebbe a porsi qualche domanda sulla facilità con cui i portafogli si aprono in certi ambienti. Non lo sta facendo nessuno, per il momento. Quindi, che fare se chiama il ministro? Va detto che in questa storia Crosetto è stato bravo. È stato il primo a insospettirsi, ha sporto denuncia e ha aperto il caso. Il resto è arrivato di conseguenza. Ha raccontato il ministro, infatti, di aver ricevuto una telefonata da un amico imprenditore che gli chiedeva conto di una chiamata della sua segreteria. Un fatto strano, perché Crosetto e questo imprenditore si conoscono bene e non hanno alcun bisogno di fare passaggi formali per parlarsi. Da qui la rivelazione del misfatto: tanti capitani d’impresa contattati, la voce di un tale generale Giovanni Montalbano che parlava di sicurezza nazionale e raccontava delle difficoltà di gestione della vicenda di Cecilia Sala, detenuta a Teheran per tre settimane e poi riportata a casa con uno scambio. Sarebbe bastato pochissimo però per capire che la situazione non quadrava neanche un po’: Sala era sì prigioniera, ma di uno stato straniero non di un’organizzazione terroristica. E lo scambio è sì avvenuto, ma non per un pugno di dollari: quello che voleva l’Iran era la liberazione di un suo ingegnere esperto di droni arrestato a Malpensa su ordine degli Usa. E poi, insomma, nei casi «veri» di sequestri in zone calde del pianeta, l’Italia ha la fama di essere uno di quei paesi che paga (per fortuna) e nessuno ha mai minimamente pensato che lo Stato potesse avere problemi a trovare i soldi necessari.

RESTA, a fondo pagina, spazio per una frase che ha detto Crosetto sui truffatori e sui truffati: «Hanno individuato delle persone che magari alla richiesta di un ministro erano anche disponibili per l’Italia, per l’amore che hanno per l’Italia, a fare un bonifico». Nel mondo realmente rovesciato in cui non sta bene fare domande su chi tira fuori i milioni, l’amore è l’alibi perfetto.



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