L’intervento del sostituto procuratore nazionale antimafia all’evento organizzato da Schierarsi con Alessandro Di Battista
“Oggi paradossalmente la vera battaglia è quella di conservare gli strumenti normativi che sono stati faticosamente acquisiti. Altri Stati invidiano il sistema normativo italiano sulle intercettazioni, sulle misure di prevenzione patrimoniale, sulle confische dei beni, sul 41bis, sulla partecipazione a distanza ai processi dei detenuti sottoposti a carcere duro. Mentre gli altri Paesi cercano di copiare la nostra legislazione, noi la mettiamo in discussione e la modifichiamo“. Con queste parole il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo ha aperto il suo intervento durante l’evento “Contro la mafia e la corruzione, Schierarsi dalla parte della legalità“, organizzato ieri dall’Associazione Schierarsi presso l’Auditorium Seraphicum di Roma. Un dibattito intenso, condotto dal reporter e attivista politico Alessandro Di Battista, davanti a una platea gremita.
Di Matteo ha posto l’accento sul legame indissolubile tra mafia e corruzione: “Sono due facce della stessa medaglia. Per sconfiggerle entrambe bisogna parificare il regime processuale previsto per i reati e le indagini di mafia estendendolo anche ai fatti di corruzione, concussione e associazione a delinquere finalizzata a questi reati“. Tra le riforme proposte dal magistrato, vi sono l’abrogazione della legge Cartabia e della riforma Nordio, la reintroduzione del reato di abuso d’ufficio e il ripristino della stesura originaria del reato di traffico di influenze. “Quanto alle pene previste, non c’è bisogno di innalzare i massimi ma di innalzare i minimi“, ha aggiunto.
La corruzione, come la mafia, si è trasformata nel tempo. “Un tempo c’erano le tangenti, oggi invece le maxi consulenze – ha sottolineato Di Battista –. Lecite, però se fatte da un politico in carica che potrebbe restituire un favore in cambio magari di futuri gettoni strapagati in presenza in summit internazionali, per me dovrebbe essere normato soprattutto se si lavora all’interno delle istituzioni“.
Il Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia Nino Di Matteo
Un altro aspetto cruciale toccato da Di Matteo è la responsabilità politica che “resta il grande nodo irrisolto”, difficile da affrontare attraverso una previsione normativa. “La responsabilità politica che dovrebbe derivare da certi comportamenti non viene mai fatta valere – ha sottolineato il magistrato –. Mi chiedo rispetto a chi si rifà all’esempio di Paolo Borsellino o di altri, com’è compatibile questo con l’allearsi con soggetti che, secondo sentenze definitive, si sono resi protagonisti di patti con la mafia. Questo è un profilo di incoerenza che purtroppo non riesco proprio a immaginare risolto“.
Di Matteo ha ricordato che la lotta alla mafia in Italia ha una storia di oltre 160 anni, ma nonostante le 17 commissioni parlamentari antimafia e il sacrificio di numerosi magistrati, carabinieri, poliziotti, giornalisti, imprenditori e sacerdoti, la vittoria sembra ancora lontana: “Io credo che probabilmente questa guerra lo Stato italiano non l’ha voluta vincere”.
Le parole del magistrato sono state elogiate da Di Battista: “Un uomo coraggioso – ha detto –. Lo stimo da tanti anni non soltanto per la qualità del suo lavoro ma anche per il suo coraggio. Di Matteo ci ha sempre messo la faccia, ha sempre parlato nonostante sapesse perfettamente che parlare gli avrebbe potuto creare una serie di problematiche, come già avvenne all’epoca di Falcone e Borsellino, subendo una serie di rappresaglie mediatiche. Eppure non si è mai fermato. È una persona estremamente coraggiosa. E in un’epoca di conformismo dilagante, essere coraggiosi, avere voglia di schierarsi, di metterci la faccia, esporsi pubblicamente è veramente un sinonimo di grande qualità“.
Di Matteo, nel corso di numerosi interventi pubblici, ha difeso il diritto dei magistrati di esprimere il proprio pensiero e la propria opinione, considerandolo un modo per offrire un servizio ai cittadini e spiegare i fatti in maniera chiara e comprensibile, senza mai perdere di vista l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.
“Non sto zitto rispetto a certe cose – ha ribadito –, perché i nostri colleghi che sono stati uccisi credevano nella Costituzione, credevano nell’eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, sapevano che il potere mafioso è il più grande fattore di inquinamento e condizionamento della democrazia e delle libertà nel nostro Paese. Credo che non si possano accettare le commemorazioni retoriche magari ad opera di chi poi quella eguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla legge, quella indipendenza e quell’autonomia della magistratura la vuole mortificare con le riforme che sta portando avanti. Noi abbiamo il diritto e il dovere di far capire quello che sta accadendo a proposito delle riforme, ad esempio. Che è un’ondata lunga. Viene da lontano. Ha origine dall’insofferenza di parti del potere rispetto alla possibilità che il controllo di legalità sia esercitato a 360 gradi. E quindi che chi ha il potere possa essere controllato dalla magistratura per vedere se ha commesso dei reati e dalla libera informazione per capire e vedere come viene esercitato il potere. È un’insofferenza al controllo di legalità che caratterizza ancora parti importanti di chi ha pubbliche responsabilità nel nostro Paese.
Alessandro Di Battista
Anche su argomenti di respiro internazionale non si è tirato indietro. Alle domande di Alessandro Di Battista in merito alla situazione in corso in Palestina, Di Matteo non ha esitato a definire quanto sia accaduto dopo il 07 ottobre come un “genocidio contro la popolazione palestinese”. “Noi abbiamo giurato sulla Costituzione, quindi dovremmo cercare di non accettare l’odiosa ipocrisia di Stato che ci fa ritenere che non ci sia nulla di strano e di anomalo nel momento in cui l’articolo 11 della Costituzione afferma che l’Italia ripudia la guerra e però noi continuiamo a costruire, ad esportare in tutti i teatri di guerra del mondo armi che vengono utilizzate per soffocare la libertà dei popoli”, ha spiegato. “Non riesco ad accettare e mi indigno rispetto alla posizione di chi vuol fare credere che sia legittimo che la reazione agli atti terroristi del 07 ottobre sia legittima quando ha riguardato l’uccisione di decine di migliaia di persone, di migliaia di donne, di migliaia di bambini, di migliaia di malati in ospedale, di migliaia di soggetti che scappavano da Gaza, di altri soggetti che sono stati uccisi mentre si accalcavano per poter prendere qualcosa per nutrirsi in occasione della distribuzione di aiuti umanitari – ha aggiunto –. Questa non è la legittima reazione di uno Stato ad un atto terroristico, questa è un’opera di sterminio”.
A seguire le domande dal pubblico in cui, tra le altre cose, ha chiarito nuovamente la vicenda della mancata nomina a capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria proposta dall’allora Guardasigilli Alfonso Bonafede (M5S). Una proposta ritirata nell’arco di 24 ore senza alcuna motivazione. “Non ho nessun dubbio sul fatto che il Ministro non fece marcia indietro per le pressioni dei mafiosi dal carcere, anche perché altrimenti non mi avrebbe fatto la proposta. Però non ho mai avuto spiegazioni del perché in 24 ore sia cambiato qualcosa – ha detto –. Posso avere i miei sospetti e posso questi sospetti indirizzarli verso diciamo esponenti istituzionali non mafiosi. Ambienti istituzionali”.
Foto © Imagoeconomica
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