Liberi tre israeliani e 369 palestinesi, ma la tregua vacilla

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Non sono necessarie fonti ben informate nella Casa Bianca e nel governo israeliano per sapere che il viaggio di Marco Rubio, cominciato ieri sera, in Medio oriente, quattro giorni durante i quali visiterà Israele, Arabia saudita ed Emirati, sarà fondamentale per capire che cosa Washington e Tel Aviv pianificano per Gaza nelle prossime settimane. All’inizio di marzo terminerà la prima delle tre fasi dell’accordo di cessate il fuoco e sono fermi al palo i negoziati per l’attuazione della seconda: rilascio di altri ostaggi israeliani, vivi e morti, e di prigionieri palestinesi, oltre al ritiro delle forze militari israeliane dalla Striscia. Lo spettro della guerra tornerà su Gaza.

Donald Trump non ha nascosto la sua delusione quando è scaduto senza alcuna reazione israeliana l’ultimatum che aveva posto per ieri alle 12 per la liberazione di tutti gli ostaggi a Gaza altrimenti, aveva minacciato, «sarà l’inferno». Benyamin Netanyahu non ha mosso un passo. Ieri sera però il premier israeliano si è riunito con i vertici militari e di sicurezza per decidere le prossime mosse. Il suo obiettivo principale, non è un mistero, resta la ripresa dell’attacco militare una volta che i primi 33 ostaggi torneranno liberi. Però vuole raggiungerlo nel quadro di un disegno strategico con gli Stati uniti. Cercando di realizzare almeno in parte il piano di pulizia etnica di Gaza proposto da Trump.

Ieri si è concluso il sesto scambio di prigionieri tra Hamas e Israele. Al mattino il movimento islamico e Jihad hanno consegnato, a Khan Yunis, alla Croce rossa tre ostaggi israeliani: Sagui Dekel-Chen, Sasha Troufanov e Iair Horn, tutti del kibbutz Nir Oz, apparsi in condizioni fisiche soddisfacenti. Sono rientrati in Israele dopo 498 giorni: a Reim, hanno trovano ad accoglierli i parenti. Migliaia di persone hanno festeggiato l’avvenuta liberazione in Piazza dei Rapiti a Tel Aviv. Da parte sua Israele ha scarcerato 369 prigionieri palestinesi: 36 condannati all’ergastolo e 333 presi a Gaza dopo il 7 ottobre. Sono stati accolti dall’abbraccio di centinaia di persone e delle loro famiglie. Alcuni hanno denunciato abusi e maltrattamenti in carcere. Il più noto è Ahmed Barghouti, nome di rilievo durante la seconda Intifada.

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I prossimi due rilasci riguarderanno altre centinaia di prigionieri palestinesi e gli ultimi 14 ostaggi del primo gruppo di israeliani: 8 sono vivi e sei deceduti. È quasi certo che sabato prossimo Hamas libererà alcuni di quelli vivi assieme a salme. Solo a inizio del mese prossimo i rimanenti in vita. Punta a guadagnare giorni preziosi per impedire che Israele rilanci l’offensiva e per permettere lo svolgimento dei vertici a Riyadh e al Cairo in cui saranno resi noti i piani arabi, in realtà quello egiziano, per il cessate il fuoco definitivo e la ricostruzione di Gaza. Certo, non è escluso che Netanyahu, spinto anche dall’Amministrazione Usa, scelga ugualmente la via della guerra. Finita la prima fase della tregua, a Gaza infatti rimarrebbe un numero più basso ostaggi vivi: la metà degli oltre 60 da liberare nella seconda fase sono morti. Le pressioni dell’opinione pubblica potrebbero attenuarsi.

I paesi arabi alleati degli Usa la prossima settimana si vedranno a Riyadh, poi terranno un summit il 27 febbraio al Cairo. La loro è una corsa contro il tempo per mettere da parte il piano di Trump. Non hanno a cuore le sorti del popolo di Gaza, più semplicemente non intendono assorbire palestinesi come chiede il tycoon. Sanno però di dover presentare una proposta alternativa accettabile dalla Casa Bianca e da Israele. Pensano a una zona cuscinetto e a una barriera fisica per impedire la costruzione di tunnel lungo il confine tra Gaza e l’Egitto. Pianificano 20 aree da far diventare zone abitative temporanee. E all’impiego di fondi internazionali e del Golfo. Il punto centrale resta la governance di Gaza. Gli arabi vorrebbero coinvolgere l’Anp di Abu Mazen, ma Israele si oppone con forza. Hamas ha già detto di essere disposto a cedere il governo di Gaza a un comitato nazionale, ma vorrebbe avere un ruolo nella scelta dei suoi membri. Netanyahu si opporrà anche in questo caso e a Marco Rubio chiederà il pieno appoggio degli Usa alla sua posizione.

 

 

 



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