Che la tensione tra le fila di Hezbollah fosse alta era evidente già da settimane. Ciò che ha scatenato la protesta – nella quale un convoglio Unifil sul luogo per altre ragioni è stato attaccato – è stata la decisione del governo di non far atterrare venerdì a Beirut un volo civile proveniente da Teheran, dopo le dichiarazioni di Israele sull’uso da parte dell’Iran delle linee civili per inviare denaro a Hezbollah.
Manifestanti e membri del partito sciita si sono riversati nel tardo pomeriggio nella principale via d’accesso all’aeroporto, bloccandone l’accesso. In serata si sono registrati nuovi blocchi stradali fuori e dentro Beirut.
IL CONVOGLIO che stava accompagnando in aeroporto il generale maggiore Chok Bahadur Dhakalm di Unifil, allo scadere della sua missione in Libano, è stato prima bloccato e poi dato alle fiamme da un gruppo di manifestanti. Dhakalm e un altro peacekeeper non identificato sono rimasti feriti, nonostante l’intervento dell’esercito libanese. Gli scontri sono poi proseguiti fino a tarda sera, quando l’esercito è riuscito a ripristinare la viabilità.
Dura condanna della missione Onu, che parla di «crimine di guerra». Il neo-premier Nawaf Salam lo ha chiamato un «crimine contro il Libano», aggiungendo che se «alcuni credono che un attacco a Unifil possa far slittare (il ritiro israeliano) del 18 febbraio, si sbaglia». Salam ha definito la libertà di manifestare sacra, ma qanto successo «inaccettabile». 25 i fermi ieri: il neo presidente Joseph Aoun aveva promesso linea dura e tolleranza zero per chi stava provando a «destabilizzare il paese».
Condanna pure da Hezbollah. Wafiq Safa, capo delle relazioni esterne, ha chiesto di distinguere «tra un sit-in pacifico contro la decisione sull’aereo iraniano e l’attacco inaccettabile a Unifil», frutto della frustrazione di una parte del popolo libanese messo sotto pressione dalla guerra e, nel caso specifico, dall’esercito libanese.
IERI POMERIGGIO un nuovo sit-in di Hezbollah, sempre sulla strada dell’aeroporto, questa volta con rappresentanze politiche di rilievo. Mahmud Qamatim, vice presidente del consiglio politico di Hezbollah, ha così sintetizzato le ragioni dei manifestanti: «La decisione di interdire l’atterraggio all’aereo (iraniano) in Libano è una violazione dello Stato e delle forze di sicurezza. Perché vi sottomettete ai diktat americani e israeliani? (…) Noi non accetteremo l’umiliazione che la nostra patria cada nelle loro mani». Durante il discorso di Qamati l’esercito libanese ha lanciato fumogeni sui manifestanti, creando panico e confusione.
Alle 18.30 locali di oggi è atteso il discorso di Naim Qassem, segretario generale di Hezbollah, succeduto a Hassan Nasrallah, il carismatico leader ucciso in un violentissimo attentato il 27 settembre scorso dall’esercito israeliano a Dahieh, periferia sud di Beirut, e di cui sono stati annunciati i funerali ufficiali domenica 23 febbraio.
Le proteste arrivano a pochi giorni dalla data fissata per il ritiro definitivo delle truppe israeliane dal Libano. Allo scadere dei due mesi della tregua tra Hezbollah e Israele, il 26 gennaio Tel Aviv ha prorogato unilateralmente il suo ritiro fino al 18 febbraio. Ora però ha manifestato l’intenzione di mantenere cinque posizioni strategiche nel sud libanese fino al 28 febbraio.
IN LIBANO il nuovo governo è stato appena formato. Molti i profili tecnici a capo dei ministeri, più spendibili a livello internazionale, anche se le influenze politiche su di essi sono tutt’altro che scomparse. Hezbollah ne è uscito molto ridimensionato e la perdita del ministero dei lavori pubblici rispetto alla precedente amministrazione, in un momento in cui mezzo paese è stato distrutto da Israele, è significativa.
Israele continua intanto ad attaccare il sud del Libano. Il Canale 12 israeliano ha dichiarato che l’esercito ha ieri ucciso un membro dell’unità 127 di Hezbollah, responsabile del lancio di un drone su Israele la settimana scorsa. Tra narrazioni spesso ideologiche e gli ultimi sviluppi non è più così scontato che il 18 la guerra finirà. Così come non è scontato che Hezbollah accetterà passivamente, nonostante il suo evidente indebolimento, le decisioni interne ed esterne al Libano che lo riguardano.
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