BCE & POLITICA/ Redditi, credito e Patto di stabilità: le sviste pericolose dell’Eurotower

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Donald Trump vorrebbe che i tassi di interesse negli Stati Uniti scendessero, ma gli ultimi dati sull’inflazione relativi al mese di gennaio, diffusi mercoledì, sembrano “obbligare” la Federal Reserve a lasciarli invariati. Senza dimenticare che i dazi su cui il Presidente americano pare voler puntare hanno come conseguenza un aumento dei prezzi per i consumatori del suo Paese. Intanto la Bce, nel suo ultimo Bollettino economico, riconosce le difficoltà dell’economia europea, ma ritiene vi siano i presupposti per una ripresa. Abbiamo chiesto un commento a Domenico Lombardi, professore di politiche economiche e governance dell’Eurozona alla Luiss, di cui dirige il Policy Observatory.



Il dato sull’inflazione Usa di gennaio ha riportato timori sulla discesa dei prezzi oltreoceano. Visto l’effetto inflazionistico che hanno i dazi, l’Amministrazione Trump potrebbe dover procedere con più cautela nella loro introduzione rispetto a quanto previsto solo il mese scorso?

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L’impatto sull’inflazione delle politiche della nuova Amministrazione Trump è difficile da stimare poiché, in vari casi, le misure sono state annunciate ma non effettivamente introdotte. Certo, l’espansione fiscale, le restrizioni sull’immigrazione e i dazi eserciteranno una pressione al rialzo su un’inflazione che, tuttavia, già da qualche mese non accenna a convergere sul target del 2%, mantenendosi su livelli più elevati delle attese. L’inflazione core, al netto delle componenti volatili di cibo ed energia, è stata del 3,3% a gennaio. Nello stesso mese, i salari orari sono anch’essi aumentati, come, del resto, le aspettative di inflazione per il prossimo anno nel sondaggio regolarmente effettuato dall’Università del Michigan.



Potrebbe a questo punto esserci un solo taglio dei tassi da parte della Fed nel corso dell’anno. Questo potrà avere qualche implicazione per le scelte di politica monetaria della Bce?

Già a dicembre, il Fomc prevedeva per l’anno in corso solo due tagli rispetto ai ben quattro attesi poche settimane prima. Il Presidente Powell sta veicolando una postura attendista riguardo le prossime decisioni sui tassi di intervento. In effetti, occorre considerare che, retrospettivamente, il taglio di mezzo punto deciso a settembre, seguito da ulteriori riduzioni a novembre e dicembre di un quarto di punto ciascuna, è stato imprudente, almeno sulla scorta degli ultimi dati che si sono materializzati. Del resto, i tassi di mercato negli Stati Uniti sono già aumentati incorporando il nuovo outlook inflazionistico.



Continuano a crescere i prezzi energetici in Europa. Questo potrebbe creare dei problemi a livello inflattivo e di scelte sui tassi d’interesse da parte della Bce?

Ci sono diverse dinamiche in atto che si riverberano sui prezzi energetici. Una di queste dovrebbe portare all’ampliamento dell’offerta di petrolio se l’Amministrazione Trump riesce a convincere l’Arabia Saudita ad aumentarne l’estrazione con gli Stati Uniti che contribuirebbero nella stessa direzione. La prospettiva imminente di una stabilizzazione del conflitto in Ucraina e la ripresa del dialogo con la Russia – a parte ogni valutazione politica – dovrebbe esercitare una pressione nella stessa direzione.

Nel Bollettino economico della Bce diffuso giovedì scorso viene riconosciuta la difficoltà attuale dell’economia europea, ma si punta per una sua ripresa sia sul recupero del potere d’acquisto delle famiglie, determinato dal calo dell’inflazione, sia sulle esportazioni, purché non crescano le tensioni commerciali. Non sono condizioni piuttosto fragili visto che i prezzi energetici potrebbero far salire l’inflazione e i dazi frenare il commerciale internazionale?

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La lettura dell’ultimo Bollettino evidenzia una difficoltà da parte della Bce nell’internalizzare gli attuali sviluppi congiunturali. Il loro impianto concettuale non è infatti mutato rispetto ai mesi scorsi, anche se la congiuntura lo è. L’aumento del reddito reale in seguito alla stabilizzazione del quadro inflattivo non ha generato la trazione prevista e, nonostante i tagli ai tassi di intervento avviati dallo scorso giugno, gli standard creditizi applicati dalle banche rimangono nel complesso restrittivi, contenendo pertanto l’espansione del credito.

Secondo la Bce, è importante che i Governi diano piena e tempestiva attuazione alle nuove regole del Patto di stabilità. Insistere tanto su politiche fiscali restrittive non rischia di essere controproducente per l’economia europea?

A maggior ragione nell’attuale contesto di crescita piatta dell’Eurozona e prolungata stagnazione della sua più grande economia, la Germania. Mi sembra un avviso reiterato in modo meccanicistico o, piuttosto, un avvertimento mandato alla Francia senza menzionarla direttamente: la sua postura fiscale desta preoccupazione – e non solo a Francoforte.

La produzione industriale italiana continua a calare, ormai da quasi due anni, rappresentando un problema importante da risolvere per il Governo. Come può cercare di farlo?

Il costante calo della produzione industriale in Italia va visto nel più generale contesto europeo dal momento che l’economia tedesca, nella cui catena del valore le imprese italiane sono tradizionalmente collocate, esibisce una analoga dinamica. Questo aspetto è rilevante poiché indica anche la dimensione entro cui agire per risolvere il problema – quella, appunto, europea piuttosto che meramente nazionale. Il Governo italiano deve agire – e sta agendo – in quell’ambito per contribuire a una soluzione condivisa.

(Lorenzo Torrisi)

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