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di Giuseppe Gagliano –
L’Australia si avvicina alle elezioni federali del 2025 con un tema centrale nel dibattito politico: il futuro energetico della nazione. Da un lato il governo laburista guidato da Anthony Albanese punta con decisione sulle energie rinnovabili, forte di una politica che ha già portato il 36,5% dell’elettricità nazionale a essere prodotta da fonti pulite. Dall’altro la Coalizione conservatrice con Peter Dutton in prima linea, la quale propone un cambio radicale di rotta: il nucleare come soluzione per garantire una fornitura elettrica più efficiente e sostenibile nel lungo periodo.
Il 13 dicembre 2024 Peter Dutton ha presentato un piano dettagliato per introdurre l’energia nucleare in Australia. Il progetto prevede la costruzione di centrali in sette località sparse tra Nuovo Galles del Sud, Victoria, Queensland, Australia Occidentale e Australia Meridionale, con un costo stimato di 331 miliardi di dollari australiani e l’obiettivo di iniziare la produzione entro il 2040. Un investimento che, secondo i promotori, risulterebbe comunque inferiore ai 591 miliardi di dollari previsti per l’attuale strategia energetica basata sulle rinnovabili.
David Littleproud, leader del National Party, ha definito l’iniziativa come “la soluzione più realistica”, sottolineando la necessità di una fonte energetica stabile e affidabile, in grado di garantire emissioni nette zero entro il 2050. Tuttavia, le proposte della Coalizione hanno incontrato resistenze sia a livello politico che nell’opinione pubblica.
L’Australia è un Paese che, pur avendo ingenti riserve di uranio, non ha mai sviluppato un settore nucleare civile. L’unico reattore presente, quello dell’ANSTO a Sydney, è dedicato esclusivamente alla ricerca medica. L’introduzione di centrali nucleari su larga scala comporterebbe quindi la creazione di un’infrastruttura del tutto nuova, con costi, tempistiche e complessità che sollevano molte incognite.
Un punto critico riguarda i costi effettivi del nucleare. Gli esempi internazionali non giocano a favore di Dutton: negli Stati Uniti, il progetto Vogtle ha visto il suo budget iniziale di 21,8 miliardi di dollari lievitare fino a 53 miliardi, mentre nel Regno Unito, la costruzione di Hinkley Point C è passata da una stima di 35,8 miliardi a quasi 70 miliardi di dollari.
Anche il CSIRO (Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation), l’ente scientifico nazionale australiano, ha bocciato l’ipotesi nucleare, definendola economicamente non competitiva rispetto alle rinnovabili. Secondo le sue analisi, l’energia atomica porterebbe a un raddoppio del costo dell’elettricità rispetto al solare, rendendola insostenibile dal punto di vista economico.
A tutto questo si aggiunge il tema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi, un aspetto che il governo di Canberra deve già affrontare nell’ambito dell’accordo AUKUS sui sottomarini nucleari. La gestione delle scorie ad alta radioattività pone interrogativi di sicurezza e impatto ambientale che, in un Paese con un’opinione pubblica tradizionalmente scettica sul nucleare, rappresentano un ostacolo politico significativo.
Il governo laburista non sembra intenzionato a fare passi indietro sulla strada delle energie rinnovabili. Il primo ministro Albanese punta a raggiungere il 50% di elettricità da fonti pulite entro il 2030, forte di un Paese che già oggi conta oltre 39 milioni di pannelli solari installati. Il partito laburista ritiene che l’energia solare ed eolica, integrate da sistemi di accumulo e investimenti nelle reti di trasmissione, siano sufficienti a garantire la sicurezza energetica della nazione senza il bisogno di ricorrere al nucleare.
La Coalizione invece punta sulla paura di blackout e sul costo crescente dell’elettricità per spingere la propria agenda. La narrazione di Dutton si basa sull’idea che il nucleare possa offrire energia più stabile e a costi più bassi rispetto alle rinnovabili, un’argomentazione che però non sembra trovare un sostegno unanime tra gli esperti.
L’Australia è a un bivio. Da un lato, il Labour continua a puntare sulle rinnovabili come unica via per la decarbonizzazione, dall’altro la Coalizione prova a riaprire il dibattito sul nucleare come alternativa più affidabile. Ma tra proiezioni economiche incerte, rischi ambientali e una forte resistenza politica, la proposta di Dutton rischia di rimanere più uno slogan elettorale che un vero piano d’azione.
Le elezioni del 2025 saranno quindi decisive non solo per la politica energetica del Paese, ma anche per il suo ruolo nel contrasto ai cambiamenti climatici. Gli australiani dovranno scegliere tra un futuro basato sulle rinnovabili e una scommessa sul nucleare che, almeno per ora, appare più una chimera che una soluzione concreta.
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