In Italia, è altamente improbabile che si potesse immaginare un film come quello di Angelo Duro, che è stato campione d’incassi per le prime settimane di gennaio, e che ha tenuto testa a pellicola varie, non così seduttive come la sua.
La ragione? Il cinema, come tutto in questo Paese, procede per abitudini “distorte”, al punto che anche un film congeniato in maniera piuttosto semplice, come quello di Duro e di Nunziante, fa scalpore, perché seduttivo per le masse. Quelle masse che come i buoi fuori al carro vanno per i fatti loro, in maniera diversa dalle consuete aspettative, ma comunque pur sempre in maniera conforme. Solo che è un conformismo, il loro, in chiaro scuro e quindi non governabile con gli standard, e cioè usando il solito schemino comunicativo, che suddivide i buoni dai cattivi, come da sempre accade nelle relazioni di potenza, che oggi non possono essere più solo bipolari.
E cosa ha di seduttivo “Io sono la fine del mondo”?
Andiamo per ordine, per quanto il film o meglio l’argomento che il film va a dipanare: la difficile convivenza tra un figlio non capito e i genitori anziani, ed arroccati nelle proprie convinzioni, sia ben più che noto, ma per la prima volta qualcuno ne parla facendo venire fuori il nero, l’oscuro di questi rapporti, come se chi narra stesse seduto sul lettino dell’analista, e invece lo sta raccontando ai quattro venti, contravvenendo alla regola universale della famiglia perfetta e cioè che: i panni sporchi non si lavano in pubblico.
Per questa ragione, ma non solo per questa è stato “ritirato” troppo in fretta dalle sale, per fare spazio al film con Fabio De Luigi “10 giorni con i suoi” di Alessandro Genovesi, terzo capitolo della saga, dopo “10 giorni senza mamma” – remake di una commedia argentina – e “10 giorni con Babbo Natale”.
“Io sono la fine del mondo” ha incassato dal 9 Gennaio otto milioni di euro, un’enormità per un film che dopo tre settimane è stato “bruciato”, ma soprattutto considerando il fatto che non ha goduto di alcun battage pubblicitario, se escludiamo l’acquisto il 25 Gennaio, della pagina bianca sul Corsera, succesivo al lancio, e il messaggio di Duro che invitava i lettori del giornale a fare disegnare su quella pagina i propri figli.
Un’altra mossa dissacratoria su quello che una volta era il giornale dei borghesi in questo Paese, non lo è più.
La capacità di mettere in luce Il nostro lato stronzo, per quelle che sono le relazioni familiari, abbattendo e per sempre, a picconate, la retorica del figlio buono, che si consuma per aiutare il genitore in difficoltà, è da questo momento in poi finita, e accanto a questa si fa spazio la narrazione, realissima, di un figlio che aiuta a cadere i propri genitori nel baratro, possibilmente eterno.
Per quanto questa narrazione possa sembrare forzata, riesce anche ad essere liberatoria, e cioè ci libera dai sensi di colpa e dalla perfezione, una miscela micidiale capace di rendere le vite di ognuno ingestibii.
I genitori rimangono per sempre sullo sfondo, anche quando non ci sono più, e con loro rimangono un groviglio di sentimenti pronti ad esplodere nei momenti più impensati e con le modalità più assurde, perché i sentimenti negativi sono quelli meno inutili, fanno venire a galla le nostre vere inclinazioni, che non possono essere continuamente foderate di ipocrisia e di finto savoir fare.
In pratica Angelo Duro mette in chiaro ciò che ci raccontiamo quando ci pressano e cercano di instillare in noi sensi di colpa esagerati. Dinamiche queste che in qualsiasi famiglia sana o malata esistono, e che sono il risultato proprio di un’ anaffettività instillata con il biberon e quindi cromosomicamente esistente.
È chiaro che l’impostazione è forse anche un po’ forzata, ma ciò che Angelo Duro afferma è in moltissimi casi assolutamente condivisibile, che si tratti di parenti, di amici, di passanti.
Lui smonta l’ipocrisia e la rende innocua, attraverso l’utilizzo della logica in luogo delle buone intenzioni, che non esistono e se esistono necessitano di una vita più leggera.
È facile essere ottimisti quando non ci si deve arrabattare e non si deve necessariamente incontrare la difficoltà di vivere degli altri, anzi è facile non prendere posizione e stare nella terra di mezzo per ogni cosa, come se fosse un merito ed una necessità.
Ad essere sinceri il film è la trasposizione cinematografica dell’attività di cabarettistica di Angelo Duro, che comunque incontra il successo del pubblico. I centoventi spettacoli da lui approntati, fin qui, sono stati sold out, come lo saranno i prossimi. Un’abitudine che in Italia trova poco spazio sul grande schermo, la trasposizione cabarettistica dei testi, sempre per il famoso ed annoso problema della mancanza di una adeguata scrittura cinematografica che imbrachi e valorizzi gli attori, anche quelli meno dotati. Tutte cose che negli altri paesi non esistono. Pure Dustin Hoffman in “Tootsie”, che gli portò un po’ di premi e una nomination all’Oscar, fa in un certo senso cabaret, e nessuno se ne è stupito.
E poi c’è da tenere conto della miopia tutta italiana di fare cinema solo per accedere ai fondi pubblici, senza riuscire ad uscire da questo gap, che garantisce il piatto a tavola per chi di cinema vive, ma che non fa spostare di un millimetro il sistema cinema e gli spettatori, negando al più potente mezzo di espressione, perché interclasse, di lavorare al meglio non solo per le coscienze ma anche per il potere stesso.
Ovviamente, se in contemporanea con Angelo Duro esce il film di Fabio De Luigi, che pure a suo modo contribuisce ad innalzare le sorti economiche del mercato cinematografico, ed è ritenuto dai gestori delle sale cinematografiche un più intelligente interprete, diventa evidente che “Io sono la fine del mondo” venga stritolato, con conseguente perdita economica, che non sarà recuperata dalla pellicola che lo ha seguito, per la semplice ragione che sono due prodotti differenti perché usano linguaggi tra loro differenti ma speculari, uno pettinato, l’altro no, per raccontarci delle famiglie, quei luoghi in cui la sanità mentale è molto spesso una chimera, ma che poiché servono a rendere più fluida la vita sociale devono rimanere il luogo dell’amore, dei buoni sentimenti, del sacrificio e dell’abnegazione, e se se ne parla male deve essere fatto con le pinze, senza imbruttire o peggio ancora senza metterne in luce i veri problemi, e cioè che le famiglie determinano, in maniera abnorme, la vita di chiunque, e che fare figli è sì un istinto, ma poi diventa l’unico atto di responsabilità civile e morale consentito a qualsiasi essere umano.
Ora in maniera imperfetta, a volte un po’ macchinosa Angelo Duro ha messo in scena tutto questo e il pubblico lo ha premiato.
Del resto è una ex iena, uno dei programmi più seguiti della Tv, “Iene”, proprio perché infarcito di stereotipi al contrario, quelli che piacciono a chi vive nella famiglia del Mulino Bianco, a chiacchiere, mentre nei fatti neppure sa cosa sia una famiglia, una società civile, uno Stato, tanto d’avere bisogno di qualcuno che armato di microfono, occhiali scuri e strafottenza, rompa il vetro dell’ipocrisia al posto suo, per liberarlo una volta e per sempre dalla fatica di credere alle fiabe, che non sono le favole e per questo valgono meno delle amlire.
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