Usa. Trump mette in pericolo la libertà di stampa?

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di Domenico Maceri *

SAN LUIS OBISPO (Usa). “E’ molto triste vederlo giustificare gli sprechi, la frode, e la corruzione di USAID con le sue patetiche diatribe radicali… dovrebbe essere licenziato immediatamente!”. Con queste parole pubblicate nella sua piattaforma Truth Social Donald Trump ha attaccato il columnist Eugene Robinson del Washington Post. Il peccato di Robinson? Il giornalista, vincitore di un Pulitzer per i suoi editoriali, aveva avuto la “temerità” di pubblicare un articolo in cui ha dichiarato che i senatori repubblicani “dovrebbero vergognarsi” per la loro condiscendenza a confermare le nomine di Trump. Inoltre Robinson, che collabora anche con la Msnbc, rete pendente a sinistra, aveva giustamente accusato i senatori repubblicani di rimanere silenziosi sugli eccessi di Elon Musk che sta agendo come una palla demolitrice sui programmi del governo.
Gli attacchi di Trump ai media sono notissimi, come abbiamo visto dai tempi della sua scesa in campo politico nel 2015. Ogni qualvolta si è visto attaccato Trump ha reagito con parole durissime, etichettando giornalisti di essere latori di fake news, minando la loro credibilità. In un’intervista concessa a Leslie Stahl del programma 60 Minutes della Cbs dopo la sua vittoria nell’elezione del 2016, Trump spiegò perché attaccava i media. Rispondendo a una domanda della Stahl che le chiese perché non smettesse di attaccare i media, l’allora neo eletto presidente disse che lo faceva perché in tal modo, quando i giornalisti “scrivono cose negative su di lui, nessuno li crederà”.
Gli attacchi di Trump ai media sono stati efficaci, come dimostrano anche la loro debolezza nel difendere la libertà di stampa emersa verso la fine della campagna elettorale del 2024, aumentata notevolmente dopo l’esito elettorale che ha ingigantito la spavalderia dell’inquilino alla Casa Bianca.
Nel mese di dicembre dell’anno scorso la Abc News ha patteggiato con Trump riconoscendo la colpa del conduttore George Stephanopoulos, il quale aveva accusato il tycoon di essere stato condannato per stupro nel caso di E. Jean Carroll. La definizione legale di stupro non si applicava in quel caso e in realtà la condanna era stata di aggressione sessuale, anche se il giudice aveva chiarito che nel linguaggio non legale si trattava di stupro. L’accordo includeva un risarcimento di 15 milioni di dollari da destinare all’eventuale costruzione della biblioteca presidenziale di Trump, 1 milione per le spese legali, e una scusa pubblica nel sito della Abc. Molti analisti hanno concluso che la Abc si era piegata, ma avrebbe con ogni probabilità vinto il processo.
Ma anche prima dell’esito elettorale i media si sono rivelati influenzati dalla possibilità che Trump avrebbe prevalso. I consigli editoriali del Washington Post e del Los Angeles Times erano quasi pronti ad annunciare il loro endorsement per Kamala Harris pochi giorni prima dell’elezione del 2024. All’ultimo minuto furono bloccati dai proprietari Jeff Bezos e Patrick Soon-Shiong.
Anche le piattaforme social, che dopo gli assalti al Campidoglio avevano chiuso gli account di Trump, poco a poco hanno fatto marcia indietro. Facebook, Instagram, X (già Twitter) hanno riaperto le porte a Trump, ma lui ha preferito concentrarsi ad usare la sua piattaforma Truth Social anche per ragioni finanziarie. Mark Zuckerberg, padrone di Meta, ha recentemente patteggiato con Trump pagandogli 25 milioni di dollari per avergli sospeso l’account nel 2021. Anche X ha concluso una denuncia di Trump per simili ragioni pagando 10 milioni di dollari al 47mo presidente.
Queste azioni si collegano a quelle debolissime dei media tradizionali di avvicinarsi a Trump temendo giustamente possibili ritorsioni dal nuovo presidente. Difatti il nuovo ministro di Giustizia di Trump ha appena annunciato di indagare chiunque cerchi di impedire il lavoro di Elon Musk e del suo gruppo DOGE, che sta investigando la frode nei programmi governativi. La minaccia include anche i giornalisti che potrebbero danneggiare i compiti del padrone di X. Da aggiungere un’indagine lanciata dalla Federal Communication Commission, agenzia del governo che regola le comunicazioni, sulle fonti finanziarie di PBS e NPR, rispettivamente le due reti di televisione e radio pubbliche. Inoltre la decisione della Corte suprema, cha garantisce la libertà di stampa, reiterata dalla Corte suprema nel 1964 nel caso di New York Times vs. Sullivan, è stata attaccata recentemente. L’ex ceo di un casinò di Las Vegas, Steve Wynn, ha fatto ricorso proprio in questi giorni alla Corte suprema dopo avere perso una causa nel 2018 in cui asseriva di essere stato diffamato da una giornalista della Associated Press. Wynn ha richiesto che la Corte suprema riconsiderasse la decisione del 1964, secondo cui per vincere casi di diffamazione contro i media l’accusa deve dimostrare “malizia” da parte di chi pubblica le notizie.
I danni principali potrebbero avvenire ai media tradizionali mettendo un serio pericolo il Primo emendamento della costituzione, che garantisce la libertà di stampa. Preoccupa il fatto che i media non difendono il loro scudo che gli permette di continuare il loro compito di agire da cani da guardia al potere.
Nonostante la debole situazione dei media Trump si è persino rifiutato di ammettere un cronista della Associated Press a una conferenza stampa perché la nota agenzia non aveva riconosciuto il cambiamento da Golfo del Messico a Golfo d’America.

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