Secondo le testimonianze di 30 persone migranti raccolte in un nuovo report, la polizia e i militari tunisini catturano, torturano ed espellono sistematicamente persone nere oltre il confine orientale del Paese, dove entrano a far parte dell’“industria del sequestro nelle prigioni libiche”.
Il report “State Trafficking” (“Tratta di Stato”) denuncia che questi “crimini di Stato” si sono sviluppati anche come conseguenza del supporto di Italia e Unione europea ai due Paesi nordafricani.
“Finanziando e collaborando con regimi come quelli libici e tunisini, l’Europa ha scelto di esternalizzare i propri confini, chiudendo un occhio su pratiche orribili come la vendita di esseri umani, che non possono più essere ignorate”, ha dichiarato Ilaria Salis, europarlamentare del gruppo della Sinistra (The Left), durante la conferenza stampa presso il Parlamento europeo a Bruxelles lo scorso 29 gennaio, in occasione della pubblicazione del rapporto.
La Tunisia governata dal presidente Kaïs Saied ha impresso negli ultimi anni una forte svolta autoritaria e una retorica razzista nel Paese. A febbraio 2023 ha indetto “misure urgenti” per fermare l’immigrazione “illegale” di persone subsahariane, che secondo il presidente farebbero parte di “piano criminale ordito all’alba di questo secolo per modificare la composizione demografica della Tunisia”. Nei mesi seguenti le persone nere sono state vittime di aggressioni e rapine da parte di cittadini tunisini, sfratti arbitrari e licenziamenti. Molti migranti sono stati arrestati, detenuti e in certi casi deportati nel deserto, senza cibo né acqua. A marzo 2024 l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom) ha denunciato il ritrovamento di almeno 65 corpi di migranti in una fossa comune in Libia, vicino al confine con la Tunisia. A inizio febbraio 2025 ne sono state trovate altre nel Sud del deserto libico, a Jakharrah e Alkufra, quindi in un contesto territoriale diverso, con decine di corpi all’interno, e oltre 25 organizzazioni per i diritti umani (da Asgi ad AlarmPhone, da Borderline Europe a Sea-Watch, da SOS Humanity al Border violence monitoring network) hanno chiesto il congelamento dei fondi europei alla Libia per la “gestione” delle migrazioni.
Questo nuovo report rivela un ulteriore tassello: la responsabilità degli apparati statali tunisini nella tratta di esseri umani alla frontiera libica. Ad essere prese di mira sono sempre le persone nere: “Studenti o lavoratori con documenti di soggiorno, persone con passaporto e timbro di entrata in Tunisia, persone con documenti rilasciati dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) o dal consolato di pertinenza, persone prive di ogni tipo di documentazione”, si legge nel report.
Realizzato dal gruppo Ricercatrici/Ricercatori X, che preferisce rimanere anonimo per non mettere in pericolo le persone coinvolte, come spiega uno dei ricercatori parlando con voce modificata durante la conferenza stampa, insieme all’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), Border forensics e OnBorders, il documento contiene le esperienze di 30 migranti. Tutti sono stati vittime di queste operazioni di espulsione dalla Tunisia.
Cinque le fasi evidenziate nel rapporto. La prima è la cattura e la detenzione delle persone a opera della Garde nationale tunisina. Diversi i luoghi dove i migranti vengono catturati, “in mare, sul posto di lavoro, di fronte a banche e agenzie di trasferimento di denaro, per strada, nelle abitazioni, dentro il perimetro del carcere e nel corso dei raid in cui vengono distrutti gli accampamenti informali delle partenze nella zona a Nord di Sfax”. Eppure, il modus operandi si ripete secondo i ricercatori: spesso i migranti sono portati via grazie a scuse, dicendogli ad esempio che si tratta solo di un controllo di routine; gli vengono sottratti soldi, documenti e telefoni, per evitare che allertino qualcuno o documentino quello che succede; sono sottoposti a violenze e la loro detenzione non viene documentata.
Nell’ultimo anno si è registrato un calo del 59% degli arrivi in Europa attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, che parte proprio da Libia e Tunisia. Dai dati di Frontex, nel 2024 ci sono stati 67mila attraversamenti, contro i 158mila del 2023, quando i numeri erano raddoppiati rispetto all’anno precedente. Secondo il report, questo calo è “direttamente riconducibile alla violenza e all’intensità delle intercettazioni in mare dei migranti”.
Quando i migranti vengono raggiunti in mare, infatti, alcuni naufragi sono provocati proprio dalla guardia costiera tunisina secondo il rapporto. “Ci hanno chiesto di dargli il motore. Noi gli abbiamo chiesto di trainarci a terra. Loro hanno detto no e hanno iniziato a fare le onde. Arrivati al porto, ci hanno ammanettato e nel mentre ci picchiavano”, racconta un ragazzo di 18 anni della Costa d’Avorio nel report.
I prigionieri riferiscono di essere poi portati dalla Garde nationale su grandi bus fino al confine libico. Durante questi viaggi le richieste di cibo e acqua si traducono in percosse e le perquisizioni si trasformano spesso in molestie sessuali. Mentre alcuni sono portati direttamente alla frontiera, molti migranti raccontano “di essere filtrati” attraverso una rete di campi di detenzione, l’ultimo dei quali per gli uomini è spesso una famigerata gabbia a pochi chilometri dalla Libia. Secondo i ricercatori, questo iter permette di gestire grandi numeri di persone, “trattenendo e muovendo i prigionieri sulla base dei tempi definiti dagli accordi di scambio con gli acquirenti libici”. Può durare da uno a 30 giorni, scanditi da violenze e torture “sistematiche”. In alcuni casi i prigionieri muoiono a causa delle violenze e della mancanza di cure. Altri scompaiono, e una testimonianza parla di fosse comuni. “Ci hanno picchiato come delle bestie, come delle bestie. Ci hanno fatto giurare di non tornare mai più in Tunisia”, racconta un ragazzo di 29 anni del Camerun ai ricercatori.
Al confine, i gruppi di prigionieri sono scambiati con “denaro, hashish e carburante -si legge nel report-. Una costante fra i venditori è la presenza di personale in uniforme dal lato tunisino. Variabile è la tipologia degli acquirenti dal lato libico”, quindi gruppi in uniforme, milizie in abiti civili o gruppi misti.
Il prezzo oscilla tra 12 e 90 euro a persona, “in funzione del valore finale che il soggetto venduto può generare attraverso il riscatto in Libia”. Le donne hanno un valore superiore. Dalla testimonianza video di un giovane di origine camerunense di 25 anni, “quando siamo arrivati ci hanno diviso in gruppi di 10 persone, i coxeur e i soldati libici ti comprano, pagano i tunisini di fronte a te”.
Parte dello scambio sono spesso anche i documenti e telefoni dei prigionieri, utili per chiedere i riscatti nelle prigioni libiche. Una tra le principali è quella di Al Assah, gestita dalla Libyan border guard (Lbg) e dal Department of combating illegal migration (Dcim), entrambe sotto l’ombrello del ministero dell’Interno di Tripoli. “In molte interviste, vengono menzionati giorni fissi collegati all’arrivo di nuovi gruppi dalla Tunisia, evidenziando così il funzionamento di una macchina logistica coordinata in modo transfrontaliero”, è la conclusione dei ricercatori.
In Libia, i migranti entrano in un circolo di centri di detenzione, dove vengono “rivenduti i prigionieri insolventi”. Quelli per cui la famiglia può immediatamente pagare il riscatto vengono liberati per circa mille euro, racconta il report, mentre per gli altri la cifra varia tra i 400 e i 700 euro. I prigionieri vivono in condizioni disumane, vengono sottoposti a torture, violenze e lavori forzati. Una volta liberati quasi tutti arrivano nella città di Zwara, dove rischiano di ricadere “dentro gli ingranaggi dell’economia del sequestro e della detenzione”.
Non si sa esattamente quante persone migranti ci siano in Tunisia e Libia. Secondo dati dell’Oim, la a maggio 2024 si contavano oltre 725mila migranti in Libia. Le autorità tunisine hanno invece annunciato che nel 2024 hanno arrestato 80mila migranti mentre 20mila sono passati da Al Amra a Sfax, dove partono molte delle barche organizzate dai trafficanti.
Secondo quanto scrive Asgi, le testimonianze evidenziano diverse violazioni del diritto internazionale, come crimini contro l’umanità, detenzione arbitraria, discriminazione razziale, respingimenti collettivi, sparizioni forzate, tortura, e tratta e violenza di genere.
“Sul versante tunisino tutte le infrastrutture di base sono costruite e gestite da attori statali -ha sottolineato uno dei ricercatori del gruppo X durante la conferenza stampa-. Autobus, auto, barche, armi, benzina, stipendi, uniformi, droni e altri dispositivi e tecnologie che rendono possibile la cattura dei migranti e il traffico di Stato si basano su cospicui fondi europei stanziati per rafforzare le politiche di frontiera”.
L’Italia è in prima linea tra i Paesi europei nel portare avanti i rapporti con Tunisi. Secondo dati raccolti dal report, a partire dal 2017, sono 75 i milioni spesi da Roma nell’equipaggiamento e nella formazione delle guardie di frontiera tunisine (la Garde nationale, appunto). Ed è stata proprio l’Italia a giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della firma del Memorandum tra Ue e Tunisia dell’estate 2023, con il quale l’Unione ha trasferito 150 milioni al regime di Saied, in buona parte per la gestione delle frontiere.
“Esortiamo l’Ue a sospendere la cooperazione con le autorità tunisine”, ha concluso Andreina De Leo di Asgi. Perché è urgente riconsiderare la classificazione italiana della Tunisia come “Paese sicuro”.
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