Diciamolo subito: l’Ucraina fuori dalla Nato è l’unico punto fermo degli imminenti negoziati, e lo è da mesi. Gli Usa si sono lanciati nella guerra per procura contro la Russia e quest’ultima ha invaso il Paese confinante proprio perché entrambe le potenze non volevano una Kiev atlantica.
Fatta questa necessaria premessa, la nebbia delle migliaia di dichiarazioni vuote piovute negli ultimi giorni si dirada un po’. E si intravede chiaramente ciò che più volte abbiamo sottolineato in questi tre anni di conflitto: i veri negoziati per una tregua si possono svolgere soltanto tra Russia e Stati Uniti.
Perché Usa e Russia ora vogliono la tregua in Ucraina
Quando, otto anni fa, Donald Trump volle aprire a Mosca, gli apparati statunitensi glielo impedirono (con tanto di impeachment). Una Russia nemica era vista come il principale fondamento per compattare i Paesi europei e per giustificare l’allargamento e la missione della Nato nel Vecchio Continente, nonché per sottolineare una necessità di riarmo e spesa del Pil per la Difesa che già nel 2017 si cominciava a delineare. Anche all’epoca il tycoon promise ai suoi elettori che gli Usa avrebbero “mollato” l’Europa, richiamando ad esempio molti militari di stanza in Germania. Risultato: i soldati americani nel cuore d’Europa aumentarono. Non sono cose che decide il presidente, semplicemente.
Oggi ci troviamo in un inedito momento storico in cui le grandi potenze del pianeta sono stanche al punto da non permettersi altre escalation che le chiamino direttamente in causa. Usa, Cina e Russia hanno gravi problemi interni e troppi fronti aperti. C’è però un grande motivo strategico che ha spinto Washington ad accelerare per i negoziati russo-ucraini: il rischio sempre più reale che Mosca diventi preda della più scaltra e potente Pechino. Se la Repubblica Popolare cinese dovesse approfittarsi di una Russia sconfitta o umiliata all’estero, e dunque probabile vittima di una rivoluzione interna, arriverebbe forte di risorse, grano e idrocarburi russi alla grande partita per l’egemonia finale.
Che la guerra avrebbe conosciuto una pausa negoziale nel 2025 noi l’avevamo previsto con largo anticipo. Anche per necessaria volontà dello schieramento russo, che versa in difficoltà militari ed economico-industriali nonostante le apparenze non lo mostrino con evidenza. La volontà di Mosca è quella di evitare qualunque esito che possa somigliare a una sconfitta, avendo abbandonato da tempo il perseguimento di quella che inizialmente si pensava come “vittoria totale”. Con Trump alla Casa Bianca, gli Usa in crisi e un’Europa in cerca di identità, Vladimir Putin ha colto il momento propizio per scendere a patti con Washington. Perché, sì, i veri negoziati per l’armistizio (di certo non pace) i russi sono disposti a farli solo con gli americani. Con Kiev e Bruxelles a origliare fuori dalla stanza.
Il negoziato parallelo fra Zelensky e l’Ue
La vera partita del dopoguerra ucraino si gioca sulla sicurezza. La domanda topica cioè diventa: chi proteggerà il Paese dopo la tregua con la Russia? Con l’avvento di Trump alla Casa Bianca, gli Usa hanno però istituzionalizzato la volontà di volersi disimpegnare in termini materiali dal supporto militare al Paese invaso. Scaricando di conseguenza l’onere pratico ed economico di proteggere fisicamente l’Ucraina sulle spalle degli Stati Ue. Ma questi ultimi non hanno affatto una linea comune, figurarsi se possono dotarsi di una difesa comunitaria. Una parte vuole decisamente riagganciarsi al gas e agli affari russi, mentre un’altra (soprattutto Polonia e Repubbliche Baltiche) vogliono annientare la Federazione. In mezzo ci sono Francia e Germania, in bilico tra velleità di guida del continente e necessità di obbedire ai dettami degli egemoni americani.
In mezzo c’è anche però Volodymyr Zelensky, destinato dall’amministrazione Trump a cedere il passo a nuove elezioni nel Paese. Mentre il tempo verso la tregua si assottiglia, il presidente ucraino si sbraccia per garantirsi alleati sulla sponda europea, nella consapevolezza (da noi anticipata) che Kiev non entrerà nella Nato e sarà “compensata” con una qualche forma di affiliazione politico-economica all’Unione europea. Alla Conferenza sulla Sicurezza tenutasi a Monaco di Baviera, il leader ucraino e vari suoi colleghi europei, a partire da Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron, hanno gridato la necessità che l’Ue e Kiev partecipino alle trattative di pace. Ma la verità è però che subiranno le decisioni dall’alto.
E allora che ne sarà dei faraonici piani di riarmo e investimenti comunitari nella Difesa, per non parlare del già dismesso Green Deal? La nuova postura statunitense inguaia la posizione della Commissione guidata da Ursula von der Leyen, almeno quanto quella di Zelensky. Il primo termometro della nuova insoddisfazione europea saranno le elezioni in Germania, che vedono l’avanzata del partito di estrema destra di Alternative für Deutschland. Da una parte gli Usa che vogliono concentrarsi sull’Indo-Pacifico e sul benessere interno, dall’altra una Russia sempre più sodale con la Cina, in mezzo un’Europa che teme di dover inviare i propri soldati a garantire la sicurezza ucraina e di dover sacrificarsi economicamente. Senza attenderne l’esito, i negoziati per la tregua presentano già due grandi scontenti: Ucraina e Unione europea.
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