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Il fossato tra Stati Uniti ed Europa si va ampliando sempre più. Sono ormai innumerevoli i temi sui quali i due mondi viaggiano divisi. Sull’intelligenza artificiale gli Stati Uniti hanno decisamente preso la strada della piena liberalizzazione e deregolamentazione. Mentre qualche giorno fa, a Parigi, sulla linea del regolamento Ai già approvato nel 2024, è stata lanciata la strategia europea per una intelligenza artificiale “umanistica”.
In campo ambientale, gli Stati Uniti hanno deciso di uscire dagli accordi di Parigi, abbracciando le tesi dei negazionisti. L’Europa, al contrario, dopo il New green deal, continua a credere che la sostenibilità debba rimanere centrale, pur con qualche correzione rispetto alle posizioni degli ultimi anni (vedi la decisione di ammettere le macchine ibride anche dopo il 2035).
Sull’Ucraina Trump ha avviato una trattativa diretta con Putin, saltando completamente le consultazioni con gli alleati europei. La Ue è rimasta spiazzata, ritrovandosi isolata sul piano internazionale. Così come sono state diverse le posizioni nei confronti di Israele e della Palestina. Già nei mesi scorsi le differenze di valutazione tra Usa e Ue erano state evidenti. Ma ora la distanza è ulteriormente cresciuta, dopo l’ipotesi lanciata da Trump che Gaza possa passare sotto il controllo americano.
Divergenze emergono anche sul ruolo della religione nella sfera pubblica. Mentre l’Europa si persegue la strada laicità alla francese, con una sorta di allergia a ogni riferimento religioso, Trump ha creato alla Casa Bianca l’Ufficio della fede. Nei suoi discorsi il riferimento religioso ritorna insistentemente, mentre gli orientamenti in favore delle politiche pro life costituiscono un punto importante del suo programma.
E tutto questo nella cornice degli annunciati dazi che la nuova amministrazione americana si accinge a imporre ai partner europei, con pesanti conseguenze economiche e sociali e con lo strascico delle inevitabili (e già annunciate) ritorsioni dell’Unione Europea.
Difficile ricordare, negli ultimi ottant’anni, un frangente storico in cui le divergenze sono state così tante e sostanziali. La domanda è, dunque, che cosa tutto ciò possa comportare. Almeno fino a oggi non sembrano esserci conseguenze sulla stabilità della Nato. Anche se la vicenda ucraina getta qualche ombra sul futuro dell’Alleanza. Nel quadro del riassetto degli equilibri politici globali, l’allontanamento tra Usa e Ue potrebbe avere però conseguenze rilevanti nel medio periodo.
Per quanto riguarda l’Europa, il punto di caduta di questi rapidissimi sconvolgimenti è molto chiaro. La nuova situazione costituisce una vera e propria emergenza per l’Ue, che si trova davanti a un bivio storico: decidere se vuole esistere come entità politica oppure disgregarsi nella pluralità dei suoi interessi nazionali.
La situazione non è facile, perché il quadro europeo è molto fragile. Macron in Francia ha perso gran parte del consenso popolare e non può avere un ruolo credibile sulla scena europea. La Germania sta attraversando una grave crisi economica e politica. Friedrich Merz, il favorito per la corsa alla cancelleria alle prossime elezioni, ha appena compiuto un passo falso provando ad allearsi con l’Afd sul tema dell’immigrazione. Ma al di là di questo incidente, il rischio è che la probabile vittoria della Cdu torni a imporre la logica dell’austerity all’intero continente europeo, con effetti che potrebbero essere devastanti. In questo momento l’Italia viene indicata come il Paese che può fare da ponte nei confronti degli Stati Uniti, anche se, nella situazione descritta, si tratta di una posizione molto difficile da tenere. Non si dimentichi poi che, pur considerata l’abilità politica della premier, il governo italiano non è parte della maggioranza europea. Ed è per ciò improbabile che possa avere una leadership significativa a livello continentale. Insomma, per fronteggiare il decisionismo esplosivo di Trump, servirebbero coesione e coraggio politico. Mentre invece l’Unione Europea si ritrova divisa e debole.
Serve un miracolo. Magari che il futuro cancelliere tedesco (fosse Merz o un altro) sia capace di un colpo d’ala, sbloccando l’impasse in cui si trova l’Unione e avviando un’iniziativa per rimettere insieme i cocci di un disegno che rischia di andare in pezzi.
Certo, il modello non può essere Maastricht. I tempi sono cambiati. L’Europa ha urgente bisogno di diventare un’unità politica che, nel rispetto delle tante ricchezze nazionali, la metta finalmente nella condizione di fare scelte e di avere gli strumenti di governo necessari per poter esistere nel mare tempestoso del mondo contemporaneo. Mai come in questo momento l’Europa ha bisogno che l’ottimismo della volontà sia più forte del pessimismo della ragione.
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