TRENTO. Il sistema della medicina generale in Trentino sta affrontando una crisi che potrebbe privare decine di migliaia di cittadini dell’assistenza primaria. I numeri sono chiari: la carenza di medici di medicina generale e il crescente numero di pensionamenti rischiano di compromettere gravemente la stabilità del servizio sanitario territoriale. A peggiorare la situazione, secondo gli addetti ai lavori, potrebbe esserci anche la tanto discussa riforma di cui si è parlato nelle scorse settimane, sebbene non vi siano ancora documenti ufficiali. La riforma porterebbe i medici, da liberi professionisti, a diventare dipendenti dell’Apss.
Il rischio è quello di privare le zone periferiche del territorio di un servizio fondamentale. “Attualmente, in Trentino, ben 65 medici di medicina generale sono in età pensionabile e, nel caso in cui il loro rapporto di lavoro fosse trasformato in regime di dipendenza, potrebbero decidere di dimettersi immediatamente. Questo scenario lascerebbe circa 100 mila cittadini senza medico di base, creando un’emergenza sanitaria senza precedenti”, ha spiegato al Dolomiti il dottor Valerio di Giannantonio, segretario generale provinciale della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale del Trentino.
Di Giannantonio parla di una “emergenza annunciata” e a supporto di questa affermazione cita il trend delle cessazioni per pensionamento nei prossimi anni, dati che mostrano chiaramente l’entità del problema. Se nel 2025 sono previsti 14 pensionamenti, nel 2026 si arriverà a 19 medici in pensione e nel 2027 altri 15.
“Questi numeri – spiega la Fimmg – potrebbero essere ancora più elevati considerando che alcuni medici anticipano la pensione e che, nonostante la possibilità di restare in servizio fino ai 72 anni in caso di carenza, molti potrebbero decidere di ritirarsi”.
A preoccupare è anche la scarsa “attrattività” della professione, un dato che si riflette nelle iscrizioni ai corsi. Mentre aumentano i pensionamenti, il numero di nuovi medici di medicina generale in formazione non è sufficiente a garantire un adeguato ricambio generazionale. Nel triennio 2024-2027, infatti, solo 13 medici si sono iscritti al corso di formazione specifica in medicina generale, a fronte di 44 posti disponibili.
La situazione attuale è già critica: un medico di medicina generale su due nella Provincia Autonoma di Trento (59,1%) supera il massimale di 1.500 assistiti. La media di pazienti per medico è di 1.415 (dati Gimbe al 1° gennaio 2023), un numero destinato a crescere ulteriormente con il calo del personale medico. Senza interventi concreti, il rischio è che una parte sempre più ampia della popolazione resti senza un medico di riferimento, con pesanti ripercussioni sulla salute pubblica e sull’intero sistema sanitario trentino.
“Le proposte legislative, per ora note solo attraverso indiscrezioni stampa e non tramite testi ufficiali, che mirano a ridefinire il ruolo giuridico dei medici di medicina generale trasformandoli in lavoratori dipendenti del sistema sanitario pubblico, non risolverebbero i problemi attuali. Al contrario, priverebbero i cittadini della figura fiduciaria del medico di famiglia, una presenza centrale per la salute territoriale”, ha sottolineato il dottor Valerio di Giannantonio.
Le ripercussioni sarebbero significative per diversi territori. Concentrando i medici nelle Case di Comunità, che saranno prevalentemente localizzate nei comuni più grandi, come spiega il segretario di Fimmg, “si rischia di privare migliaia di piccoli centri di un’assistenza capillare”. In Trentino, infatti, ci sono 355 studi di medicina generale, uno ogni 17 chilometri quadrati. Le Case e gli Ospedali di Comunità attivi in provincia saranno solo 14. Eliminare la rete capillare equivarrebbe a desertificare il territorio sanitario e rendere difficile, se non impossibile, l’accesso alle cure per milioni di anziani e persone fragili. Ad esempio, spiega di Giannantonio, un cittadino di Bondone per raggiungere la Casa di Comunità di Riva del Garda dovrebbe camminare per 11 ore o fare un’ora di macchina. Ci saranno numerosi cittadini, come quelli di Pietramurata, a protestare in varie parti d’Italia e del Trentino, mentre i Sindaci di molti piccoli Comuni rimarrebbero con le mani legate.
Sul piano economico, gli effetti del passaggio al “lavoro dipendente” nella pubblica amministrazione sarebbero enormi. I costi per lo Stato sarebbero insostenibili, senza considerare la perdita di posti di lavoro. “A livello nazionale – spiega il segretario trentino di Fimmg – i medici di medicina generale, come liberi professionisti convenzionati, generano circa 7 miliardi di euro, che salgono a 16 miliardi considerando l’indotto e le ore di lavoro. La chiusura di migliaia di studi e la riduzione del personale amministrativo e infermieristico coinvolto nel loro lavoro provocherebbero danni economici enormi. Si stima che circa 30 mila collaboratori amministrativi e 10 mila infermieri perderebbero il loro posto di lavoro, con gravi ripercussioni sulle famiglie di tutto il Paese. In Trentino, ad esempio, circa 300 famiglie rischiano di trovarsi in difficoltà economiche a causa di questo cambiamento”.
Fortunatamente, in Trentino la Provincia è riuscita a creare un sistema che permette una gestione condivisa dei pazienti grazie alla presenza di personale amministrativo e infermieristico nei team di medicina di gruppo. Questo approccio ha dimostrato di migliorare l’efficienza e la qualità delle cure, ma potrebbe essere compromesso se venisse introdotto un modello di lavoro dipendente che non consenta la stessa flessibilità e collaborazione.
Il contratto nazionale dei medici di medicina generale prevede già un impegno orario per attività condivise nelle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) e nelle Case di Comunità, ma questo modello potrebbe essere ampliato e incentivato con accordi locali. “Piuttosto che passare a un modello rigidamente dipendente, sarebbe più utile continuare a sviluppare una collaborazione tra medici, specialisti, infermieri, psicologi e altre figure professionali. Questo permetterebbe di migliorare l’accesso alle cure e la gestione delle malattie croniche senza sacrificare il rapporto fiduciario tra medico e paziente”, conclude Di Giannantonio. “Per garantire un futuro sostenibile per il nostro sistema sanitario territoriale – conclude – è fondamentale che le soluzioni proposte siano frutto di un dialogo e di un confronto tra le istituzioni, i professionisti e i cittadini, in modo da preservare il valore di una medicina di prossimità, capillare e basata sulla fiducia reciproca”.
A considerare chi si schiera contro la dipendenza dei medici di medicina generale “fuori contesto rispetto al momento storico che stiamo vivendo in Provincia” è invece Nicola Paoli, segretario di Smi del Trentino.
“Legittima posizione – spiega – ma non è questo, a nostro avviso, il momento di discutere dello stato giuridico del medico di medicina generale, alle porte di un cambiamento epocale con Aft, Case di Comunità, bandi di concorso a ruolo unico e riorganizzazione della continuità assistenziale”.
Piuttosto, spiega sempre il segretario di Smi, è importante “concentrarci sulle garanzie in ambito organizzativo, lavorativo, retributivo, contributivo, di tutele a cui abbiamo diritto tanto quanto gli attuali dipendenti medici della Provincia autonoma di Trento”, come si sta facendo in un tavolo con l’assessorato.
“Come Smi Trentino non chiudiamo ai concorsi sulla dipendenza dei medici di medicina generale, per i medici specializzati nella nostra Università, anche trentina, purché sia la strada giusta per dare un servizio migliore ai nostri cittadini. Tutti i nostri medici di medicina a ruolo unico sono però liberi di pensiero e di decisione sulla scelta del loro presente e futuro economico e di professione unica e fiduciaria”.
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